L’Europa di fronte alle sfide dell’Economia Politica

Paolo Paesani riflette sulle ragioni che hanno determinato le difficoltà dell’Unione Europea negli ultimi anni prendendo spunto dalle tesi sostenute in un recente libro di Sergio Cesaratto. Paesani sostiene che il riconoscimento dei limiti dell’Europa di Maastricht e degli errori commessi nella gestione della crisi dei debiti sovrani dell’eurozona costituisce una premessa fondamentale per progettare un futuro diverso e migliore per la società europea e per la sua economia.

In queste settimane, i paesi membri dell’Unione Europea stanno definendo i rispettivi piani d’investimento nell’ambito del NextGenerationEU. Dal successo di questi progetti dipende il consolidamento dell’economia e del modello sociale europeo e la ripresa dell’integrazione europea su basi di rinnovata fiducia. Almeno questo è l’auspicio, a fronte di un’emergenza pandemica che ha trovato l’Europa divisa, preda di rivendicazioni contrapposte, e con disuguaglianze crescenti. Tale situazione è il risultato di molteplici cause, in parte strutturali, in parte legate agli effetti della crisi dei debiti sovrani che ha coinvolto alcuni paesi dell’eurozona tra il 2011 e il 2012, a partire dalla Grecia.

Alla genesi di questa crisi, agli errori commessi dalle autorità europee e nazionali (tedesche e francesi in primis) nella gestione delle prime fasi, agli interventi successivi messi in campo dalla Banca Centrale Europea per salvaguardare l’integrità dell’eurozona, sono dedicati gli ultimi capitoli del nuovo libro di Sergio Cesaratto, Heterodox Challanges in Economics – Theoretical Issues and the Crisis of the Eurozone, pubblicato nel 2020 dalla casa editrice Springer, come versione inglese del precedente Sei Lezioni di Economia Politica (editore Diarkos).

Il libro, pensato come strumento didattico e base per approfondire un’analisi critica dell’Europa di Maastricht, presenta una ricostruzione della crisi dell’eurozona, delle politiche economiche che hanno contribuito a determinarla, del paradigma teorico che ha ispirato quelle politiche. Nell’analisi di Cesaratto, la crisi dei debiti sovrani è il risultato di un modello economico europeo caratterizzato da una tendenza strutturale alla deflazione dei salari e dei prezzi, dalla disattenzione verso gli squilibri economici e finanziari all’interno della zona euro, dall’assenza di meccanismi fiscali capaci di correggere tempestivamente questi squilibri.

Alla base di questo modello, c’è l’economia tedesca, centrata sulla stabilità del cambio nominale, sul miglioramento della produttività e della qualità dei beni, sulla compressione sistematica della domanda interna, dei salari e dei prezzi a favore delle esportazioni. Attraverso il rigore fiscale e una forte politica della concorrenza sul mercato del lavoro e dei beni, la Germania, insieme ad alcuni paesi fortemente integrati con essa (Olanda e Austria in primis), guadagna competitività a scapito dei paesi della periferia mediterranea, dove la produttività langue, i prezzi e i salari crescono più rapidamente e più difficilmente si raggiunge il pareggio nel bilancio pubblico. Tutto ciò fa sì che i paesi periferici registrino deficit sistematici nella bilancia dei pagamenti e un parallelo aumento del debito estero nei confronti della Germania e degli altri paesi nord-europei. Nei primi dieci anni dell’Unione Monetaria, la disponibilità dei risparmiatori e delle banche dei paesi centrali ad acquistare titoli emessi dai debitori e dalle banche dei paesi periferici ha permesso al sistema economico europeo di proseguire, garantendo una convergenza parziale dei paesi più arretrati. Con la crisi del 2011, questo processo si è bruscamente interrotto, i membri più fragili dell’eurozona sono ricaduti all’indietro, in termini di reddito aggregato e pro-capite, di occupazione e di parametri della finanza pubblica.

Gli interventi messi in campo dalla Banca Centrale Europea, guidata da Mario Draghi, hanno salvato l’integrità dell’Eurozona senza incidere in maniera significativa sulle cause strutturali della sua crisi. Cesaratto giudica positivamente il pragmatismo di Draghi, senza cadere nell’agiografia, e non mostra stupore di fronte alle critiche mosse alle misure convenzionali e non convenzionali, adottate negli anni del suo mandato: critiche feroci da parte di ambienti politici ed economici nordeuropei, talvolta con il sostegno di una parte dei membri del Comitato esecutivo dell’Eurosistema. Nella visione di Cesaratto quelle critiche sono il riflesso di un problema di fondo, che rende l’Europa irriformabile; troppo forti gli interessi costituiti, troppo forte il paradigma economico dal quale quegli interessi traggono ispirazione e argomenti.

Gli elementi di questo paradigma sono ben noti. Neutralità della moneta e della politica monetaria rispetto al reddito, all’occupazione e alla distribuzione del reddito. Ricerca del pareggio di bilancio e preferenza per una politica economica basata su regole chiare. Forte impegno dello Stato nel tutelare la concorrenza, sul piano interno e su quello internazionale, per il contributo positivo che essa può dare all’efficienza allocativa e all’occupazione. Visione armonica del processo distributivo, per il quale i fattori produttivi, lavoro e capitale, riceverebbero una remunerazione proporzionale al contributo che ciascuno di essi fornisce alla produzione, misurato in termini di produttività media e marginale.

A questo paradigma, frutto del connubio tra ordo-liberalismo, sul piano politico-economico, e marginalismo, sul piano teorico, Cesaratto contrappone una visione alternativa basata sull’integrazione tra il pensiero economico di J.M. Keynes e la ripresa dell’approccio classico per opera di P. Sraffa.

Il paradigma alternativo parte dalla non neutralità della moneta e della politica monetaria. La Banca centrale, forte della capacità d’influenzare l’attività delle banche e i tassi d’interesse e di cambio, svolge un ruolo determinante nel processo di formazione del reddito aggregato e della sua distribuzione. Da qui la necessità che le autorità monetaria agiscano di concerto con quelle fiscali nel tutelare l’occupazione e nel correggere tempestivamente gli squilibri macroeconomici, interni ed esterni, anche attraverso il ricorso a misure discrezionali. Concorrenza e libertà di scambio sono importanti per stimolare l’innovazione e il progresso materiale, ma non garantiscono efficienza e pieno impiego e possono anzi alimentare il conflitto distributivo tra profitti e salari, l’esito del quale dipende principalmente dai rapporti di forza all’interno del corpo politico e sociale.

In questo paradigma è centrale il concetto di sovrappiù sociale, fondamento della teoria economica classica ripresa e sviluppata da Piero Sraffa. Dato il prodotto aggregato, la tecnologia e il livello dei salari, riflesso dei rapporti di forza tra lavoratori e datori di lavori e di altre considerazioni economiche, tecnologiche e sociali, si determina la ripartizione del reddito aggregato tra salari e profitti (sovrappiù). Se i profitti sono impiegati per ampliare la produzione, aumentando la quantità e la qualità dei posti di lavoro disponibili e l’offerta di beni di consumo a prezzi accessibili, il benessere economico aumenta. Se invece i profitti rimangono inerti o sono utilizzati per alimentare sterili speculazioni, la loro stessa esistenza è messa a rischio, a meno di non esercitare una continua pressione al ribasso sul livello della domanda interna, dei salari, dei prezzi e sull’occupazione, sfruttando tutte le occasioni che la globalizzazione e il progresso tecnologico offrono in questa direzione.

Partendo da questa interpretazione, l’Europa di Maastricht appare come uno strumento creato per disciplinare il conflitto distributivo all’interno dei paesi europei, creando le condizioni per preservare il modello economico tedesco, centrato sulle esportazioni, all’interno dell’economia globale. Ai lavoratori europei, la parte più debole, rimane la speranza sulla tenuta della congiuntura economica internazionale e la fiducia nella protezione (sempre più fragile) dello Stato sociale, messo sotto pressione dai vincoli di bilancio, dell’invecchiamento della popolazione, dalle migrazioni interne ed esterne, dalla trasformazione dei processi produttivi.

Adottando quest’ottica, che enfatizza la dimensione degli interessi economici e geopolitici, ponendo in secondo piano gli aspetti ideali e le ragioni originarie alla base del processo d’integrazione europea, l’Unione Europea – secondo Cesaratto – è destinata a implodere sotto il peso delle sue contraddizioni o ad andare avanti passando da un compromesso all’altro e fidando sulla resilienza dei gruppi sociali a vivere in condizioni difficili. In entrambi i casi un futuro assai gramo. E’ parte di questa visione, l’idea che gli Stati Uniti d’Europa non vedranno mai la luce, vittima degli egoismi nazionali e di un impianto regressivo dal punto di vista economico e sociale.

È però possibile individuare alcuni elementi che possono temperare il pessimismo sul futuro dell’integrazione europea che emerge dalla visione di Cesaratto e si tratta di elementi compatibili con una critica serrata all’Europa di Maastricht e ai suoi molti difetti. Un primo fattore importante in questa direzione, messo in luce da molti studiosi fra cui, di recente, Francesco Saraceno, riguarda l’indebolimento nella spinta propulsiva del modello tedesco trainato dalle esportazioni. Le tensioni sul fronte del commercio internazionale, tra USA e Cina e non solo, acuite dalla crisi pandemica obbligano a rivalutare modelli di sviluppo basati sul sostegno alla domanda interna. Questa offre alle forze progressiste l’occasione per riorientare la lotta politica verso il raggiungimento di nuovi e più avanzati traguardi, sul piano dei diritti economici e sociali, come osservano Celi, Ginzburg, Guarascio e Simonazzi al termine della loro analisi sullo stato dell’Unione Europea. Un secondo fattore importante è legato al maggiore o minor successo che avranno il progetto NextGenerationEU e le molte recenti proposte di riforma della governance economica europea, dal superamento del Patto di Stabilità e Crescita alla riforma della strategia di politica monetaria della BCE, dal completamento dell’unione bancaria europea all’introduzione di un sussidio di disoccupazione europea.

Un impegno di questo genere richiede idee nuove e un ottimismo progettuale di tipo keynesiano che non si arrenda di fronte allo status quo ma cerchi continuamente vie nuove e intelligenti per convincere gli scettici e sospingere la società europea sulla strada del progresso materiale, culturale e civile. Anche per questo, lavori come quello di Cesaratto sono utili per il contributo che possono dare alla formazione di una visione critica, alla riscoperta di approcci di teoria e politica economica, dimenticati o distorti, e al recupero di una prospettiva analitica capace di aderire con forza alla realtà, combinando economia politica, politica economica, storia dei fatti e del pensiero economico.

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