L’Europa alla prova del TTIP: un’occasione per affermare la propria identità?

Giuseppe De Arcangelis si occupa dell’accordo di libero scambio TTIP tra l’UE e gli USA, cioè tra le due economie più grandi e più aperte del pianeta. Dopo aver presentato i punti principali in discussione e aver ricordato che l’accordo esclude, come già quello di libero scambio del Pacifico, la Cina, De Arcangelis sostiene che il TTIP rappresenta un’occasione per l’UE di presentarsi finalmente coesa e, soprattutto, di affermare i propri principi sulla salvaguardia dell’ambiente e sulla salute dei consumatori.

Se nell’Unione Europea c’è una politica economica che possiamo considerare “federale”, questa è certamente la politica commerciale. L’Unione Europea partecipa alle negoziazioni internazionali con un unico rappresentante, il Commissario al Commercio Internazionale (ora Cecilia Malmström), che agisce su mandato del Consiglio e del Parlamento Europeo. Al Fondo Monetario Internazionale o alla Banca Mondiale, invece, l’Unione Europea partecipa come osservatore, mentre gli Stati Membri conservano la loro completa autonomia (senza neanche formare una constituency unica).

Eppure la politica commerciale non appassiona quanto la politica monetaria e il dibattito sull’euro. Ciò che funziona da tempo e che ci unisce sembra essere dato per scontato, anche se scontato non è. Forse anche per questo le negoziazioni avviate nel 2013 tra la Commissione Europea e gli Stati Uniti sull’accordo commerciale più importante al mondo in quanto a dimensioni dei partner commerciali – ovvero il Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP – non ricevono la dovuta attenzione.

Il TTIP si propone come uno delle centinaia di accordi commerciali regionali (o preferenziali) che si sono moltiplicati dal 1992 ad oggi. Il fallimento dell’Agenda di Doha nella Conferenza Interministeriale di Nairobi di dicembre 2015 ha definitivamente certificato l’incapacità dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di portare a compimento accordi multilaterali significativi con l’attuale governance. Nel frattempo gli Stati nazionali si sono auto-organizzati e hanno sottoscritto accordi di commercio preferenziali con un gran numero di paesi in composizioni variabili, dando vita a un intreccio da spaghetti bowl, come lo ha definito Jagdish Baghwati.

Il TTIP, come molti degli altri accordi commerciali recenti, ha lo scopo di abbassare reciprocamente i costi commerciali di accesso ai mercati nazionali generando un miglioramento di efficienza – soprattutto per le imprese esportatrici – e un effetto pro-competitivo di contrazione dei margini di sovraprofitto. In un contesto di rendimenti crescenti di scala, la grande dimensione delle due economie coinvolte fa prevedere che questi effetti saranno particolarmente significativi. Tuttavia, come vedremo più avanti, c’è non poco scetticismo sulla dimensione di questi effetti e nella valutazione complessiva di TTIP occorre necessariamente includere anche considerazioni di carattere geopolitico.

Al riguardo, occorre ricordare che recentemente si sono concluse le negoziazioni di un’altra Partnership, la Trans-Pacific Partnership (TPP) tra gli USA e altri 11 paesi asiatici, tra i quali c’è  il Giappone, ma non la Cina. Sul versante europeo,   la Commissione Europea e il Canada nel settembre 2014 hanno firmato un importante accordo commerciale – il Comprehensive Economic and Trade Agreement, CETA – che merita attenzione anche perché ha caratteristiche simili a quello che potrà avere il TTIP.

I giocatori in campo. Le negoziazioni sul TTIP, cominciate nel 2013, si svolgono tra due economie di dimensioni enormi, sia in termini di PIL, sia per il commercio mondiale. Secondo i dati di Eurostat e dell’OMC (si veda http://ec.europa.eu/trade/policy/eu-position-in-world-trade/) l’UE è il primo importatore e il primo esportatore mondiale, con flussi annui, nel 2013, di 2,2 e 2,4 trilioni di euro, rispettivamente. Gli USA sono il terzo esportatore (1,7 trilioni di dollari) e il secondo importatore (2,1 trilioni di dollari).

Ugualmente rilevante il ruolo per gli investimenti diretti esteri (IDE). In termini di stock, dall’UE origina il 45% degli IDE mondiali e l’UE riceve il 36% degli IDE in entrata. Per gli USA le percentuali sono pari, rispettivamente, al 36% e 26%.

La struttura del TTIP. Le negoziazioni riguardano 24 capitoli raggruppati in tre parti. La novità rispetto al passato è che la Commissione Europea sta applicando un principio di grande trasparenza sulle negoziazioni in corso, ma vi sono alcune eccezioni.

La prima parte comprende i capitoli relativi al cosiddetto “accesso ai mercati”. Ovvero riguarda gli argomenti più tradizionali delle negoziazioni commerciali, come dazi e tariffe su beni e servizi importati. Il commercio in servizi è particolarmente rilevante e su di esso si concentrano la gran parte delle discussioni con richieste di eccezioni da una parte e dall’altra. Particolarmente importanti sono il settore dei servizi finanziari – dove si fa sentire l’interesse di Londra (ma bisognerà vedere che ne sarà del Brexit) – e il settore dei media, soprattutto quando coinvolge lo streaming senza frontiere. Altro capitolo rilevante è quello dell’apertura degli appalti pubblici alle imprese provenienti dall’economia partner. Si ricorda che una legge USA del 1933 prescrive che il governo nordamericano dia preferenze a imprese nazionali; quindi un eventuale accordo dovrebbe includere un cambiamento nell’ordinamento interno USA.

Su questi capitoli la riservatezza delle negoziazioni prevarica il principio di trasparenza affermato in generale dalla Commissione Europea, suscitando molte critiche in diversi segmenti dell’opinione pubblica.

La seconda parte dell’accordo è una delle più rilevanti e riguarda la cooperazione nella determinazione di nuovi standard comuni a livello settoriale. Dazi e tariffe sono ad un livello già molto basso in quasi tutti i settori, mentre gli ostacoli al commercio provengono dalle cosiddette “barriere tecniche” e riguardano in particolare i settori automobilistico e chimico. In questa parte delle negoziazioni si iscrivono anche due capitoli molto sensibili. Il primo è quello degli standard sanitari e fitosanitari, ovvero delle regole che dovranno stabilire l’ammissibilità del contenuto di sostanze potenzialmente nocive nei prodotti commestibili, nonché la questione degli OGM in agricoltura e nei mangimi. Il secondo riguarda le denominazioni di origine dei prodotti e la loro protezione.

L’ultima parte dei capitoli di negoziazione comprende le regole commerciali e spazia dalla facilitazione delle operazioni di import ed export – nelle intenzioni, soprattutto a vantaggio delle piccole e medie imprese – all’adozione di regole che garantiscano lo sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente.

Tra le questioni più discusse troviamo la recente proposta di istituzione di una Corte preposta alla risoluzione delle controversie tra investitori e stati, che dovrebbe superare la pratica della legge internazionale (la cosiddetta Investor-State-Dispute Settlement, ISDS). Questa istituzione di ispira alla sezione del Gruppo Banca Mondiale predisposta alla risoluzione delle questioni tra stati e imprese (International Centre for Settlement of Investment Disputes) ed è pensata per proteggere gli investitori esteri da interventi governativi avversi, stimolando gli investimenti diretti esteri soprattutto verso i paesi in via di sviluppo.

Nel caso delle multinazionali USA ed europee, tuttavia, il timore è che la protezione degli investitori esteri attraverso la pratica dell’ISDS possa rappresentare un’arma in mano alle multinazionali per bloccare regolamentazioni più stringenti che uno dei due governi potrebbe adottare – ad esempio, legislazioni più severe in campo ambientale. È abbastanza scontato che i timori di limitazione della sovranità siano sentiti maggiormente sulla sponda Est dell’Atlantico, ma essi sono presenti anche negli USA (a dicembre 2014 cinque deputati della House of Representatives si sono formalmente opposti all’inclusione di ISDS nel TTIP). Tutto ciò significa che Microsoft o Google avranno uno strumento in più per opporsi alle decisioni che il Commissario Europeo sulla Concorrenza potrà prendere in futuro nei loro confronti? Oppure che la decisione di bandire l’energia nucleare possa essere portata in giudizio da qualche impresa estera che ha un ruolo importante nella filiera dell’energia bandita?

Le questioni sono tutte aperte e le negoziazioni vanno avanti. Nel Parlamento Europeo il dibattito su come limitare ISDS è molto acceso e sul tavolo si trova la proposta della Commissione (settembre 2015) di istituire una Corte (Investment Court System) in risposta alla richiesta di cautela nel modo di introdurre ISDS in TTIP. La pratica dell’ISDS è inclusa sia in TPP, sia in NAFTA, mentre nel recente accordo CETA tra UE e Canada si è presa la decisione di limitare l’applicazione dell’ISDS. Il peso dell’Europa si potrà giudicare valutando la sua capacità di ottenere un accordo diverso, così come è avvenuto per il CETA.

Le ragioni del TTIP. Non è un caso che le consultazioni sul TTIP (così come anche quelle sul TPP) siano state avviate dopo il punto più acuto della Grande Recessione. L’abolizione delle ultime barriere tradizionali al commercio internazionale tra USA e UE, ma soprattutto la possibilità di armonizzare le legislazioni e le pratiche commerciali, sono state pensate come opportunità per ampliare, reciprocamente, l’accesso ai mercati da cui ci si attende un effetto significativo sulla crescita potenziale.

Quali i vantaggi stimati? Nel 2013 il CEPR ha pubblicato un rapporto sull’effetto atteso del TTIP in Europa stimando un aumento di reddito pari a € 545 annui per famiglia europea entro il 2027. Altri economisti sono più cauti, se non scettici. Alan Winters sottolinea che l’effetto potrà essere quello di aumentare il tasso di crescita dell’UE dello 0,025% (al massimo 0,05%); ma soprattutto egli sottolinea che il TTIP, assieme al TPP, sta mettendo fuori gioco il terzo giocatore più importante sulla scena mondiale, ovvero la Cina.

E qui è pertinente una riflessione sugli aspetti geopolitici. Secondo alcune interpretazioni, TTIP è strumentale per gli USA perché – soprattutto se associato al TPP – esclude definitivamente la Cina dai maggiori blocchi commerciali mondiali. Occorre chiedersi quanto questo sia conveniente per l’Europa, considerando che la Cina è il primo partner commerciale dell’UE per origine delle importazioni e il secondo per destinazione delle proprie esportazioni.

Anche in termini economici, l’esclusione della Cina da tutti questi accordi deve far riflettere. Il fallimento dell’Agenda di Doha a Nairobi nel dicembre 2015 rende sempre più scettici sulla possibilità di accordi genuinamente multilaterali, ma occorre anche ricordare che l’art XXIV del GATT (ora uno degli articoli costitutivi dell’OMC) ha un fondamento teorico importante: aperture parziali del commercio internazionale possono causare distorsioni del commercio mondiale (diversione di commercio maggiore di creazione di nuovo commercio mondiale). Solamente accordi multilaterali possono garantire l’aumento del benessere. Escludere la Cina da tutte le maggiori aree di libero scambio rende certamente più probabile l’eventualità di distorsioni con effetti globali negativi.

Un’opportunità per ritrovare l’identità europea? Sarà perché il TTIP è all’inizio delle sue consultazioni rispetto al TPP (che è già stato siglato a ottobre scorso), ma sta di fatto che nella stampa e nell’opinione pubblica statunitense l’attenzione è maggiormente rivolta verso il Pacifico. Mentre è possibile trovare numerosi studi sulle conseguenze di TPP sull’economia USA, non si riscontrano valutazioni empiriche delle conseguenze di TTIP per gli USA, se si escludono alcuni studi di organizzazioni non indipendenti (ad esempio, uno studio dell’Organization for International Investment).

Durante la sua visita Europa di fine aprile 2016, in coincidenza con l’avvio del 13mo round di negoziazioni tra USA e UE su TTIP, Obama ha cercato di dare una spinta al raggiungimento dell’accordo in tempi brevi, anche in considerazione dell’opposizione generalizzata ad accordi di libero scambio che sembra affermarsi tanto nel Congresso americano, quanto nell’opinione pubblica europea — un ritorno al protezionismo globale dopo l’ubriacatura della globalizzazione? A parte le dichiarazioni congiunte che auspicano la chiusura dei negoziati entro la fine del 2016, non si riscontrano ad oggi risultati concreti.

Ci si chiede se il giocatore che ha maggiore interesse nell’accordo sia l’UE piuttosto che gli USA. Con TPP gli USA si sono assicurati l’accordo con una delle parti più dinamiche del mondo in termini di domanda per i loro prodotti. Il TTIP rappresenta invece un accordo tra giganti, ma con potenzialità future di domanda piuttosto ridotte se confrontate con il resto del mondo.

Da un altro punto di vista, però, TTIP potrebbe rappresentare un’opportunità “culturale” per l’UE. Ai tavoli di negoziazione con gli USA la Commissione Europea deve necessariamente ricercare una posizione europea comune da contrapporre a quella nordamericana. Si tratta di uno sforzo politico e culturale rilevante, che porta necessariamente ad evidenziare “ciò che ci unisce nell’UE, rispetto a ciò che ci divide”.

La politica commerciale, come si diceva all’inizio, è forse l’unica politica “federale” a livello UE – se mettiamo da parte la controversa scelta della moneta unica e la politica monetaria del sottoinsieme dei paesi dell’Area dell’Euro. Il raggiungimento di un accordo tra USA e UE sul TTIP sembra dovrà superare diversi ostacoli e comunque richiederà tempi non brevi, nonostante gli auspici dei leader attuali. Tuttavia, qualora le posizioni che la Commissione dovrà tenere ai tavoli di negoziazione vengano convintamente condivise a livello europeo, il TTIP potrebbe svolgere un’utilissima funzione: far emergere posizioni condivise che potrebbero riflettersi anche su altre politiche e altri interventi comunitari. In questa prospettiva non sarebbe male se i media dedicassero più attenzione a questi negoziati, e in modo più approfondito (e meno ideologico), sottolineando il ruolo che potenzialmente possono svolgere per rendere più unita una UE divisa su molte, troppe questioni.

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