L’eterno ritorno delle classi sociali

Armanda Cetrulo, Angelica Sbardella e Maria Enrica Virgillito presentano i risultati di uno studio longitudinale sul mercato del lavoro italiano tra il 1983 e il 2018 che documenta la progressiva compressione salariale e la proletarizzazione dei ceti medi. Oltre che di variabili consuete in letteratura, come età, genere e provenienza geografica, lo studio tiene conto dei divari tra categorie occupazionali e la loro rilevanza porta le autrici a sostenere che occorre ridare importanza alle classi sociali come determinanti della diseguaglianza salariale.

A partire dagli anni Ottanta, il dibattito politico ed economico ha progressivamente oscurato il ruolo delle classi sociali nella spiegazione della crescita delle disuguaglianze, prediligendo approcci che riconducono le differenze di reddito al livello di istruzione, alle abilità o alle mansioni dei lavoratori. Tuttavia, l’esplosione della pandemia Covid-19 ed il suo impatto particolarmente accentuato su alcune fasce della popolazione hanno confermato la centralità della dimensione di classe nell’analisi dei problemi socio-economici contemporanei, a partire dalla profonda stratificazione di rischi legati a salute, reddito e stabilità occupazionale.

In un recente lavoro (Cetrulo, A., Sbardella, A., & Virgillito, M.E. (2021) Vanishing social classes? Facts and figures of the Italian labour market. LEM Working Paper Series No.29/2021, Sant’Anna School of Advanced Studies, Pisa), abbiamo provato ad approfondire le relazioni tra classi sociali, intese come macro-categorie professionali, salario ed una serie di caratteristiche quali il settore industriale, la tipologia di contratto di lavoro, l’area geografica, il genere e l’età della forza lavoro. La nostra analisi si inserisce all’interno di un filone di letteratura che studia l’evoluzione delle disuguaglianze in Italia e ha l’obiettivo di esplorare la dimensione della classe sociale in maniera inter-sezionale rispetto agli attributi definiti sopra.

Grazie alla disponibilità dei dati longitudinali dell’INPS (INPS-“Rilevazione dei contratti di lavoro”) su un campione rappresentativo dei lavoratori dipendenti del settore privato – ad eccezione dei lavoratori agricoli e domestici – è stato possibile analizzare l’evoluzione della distribuzione del reddito dal 1983 al 2018, lungo cioè un orizzonte temporale caratterizzato da una serie di trasformazioni cruciali dell’assetto istituzionale, politico ed economico del Paese, con particolare riferimento al mercato del lavoro. Ogni osservazione del dataset dell’INPS presenta cinque caratteristiche che identificano specifici segmenti della forza lavoro: regione (20 regioni italiane) ed area geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Sud, Centro, Isole); genere (uomo, donna); classe di età (sotto i 30, 30-50, oltre i 50 anni) e professione (apprendista, operaio, impiegato, quadro, manager). In ogni anno, il numero massimo teorico di segmenti dato da tutte le combinazioni delle caratteristiche socio-professionali è 600 (20 regioni, 5 occupazioni, 3 gruppi di età, 2 generi). Per ognuna di queste combinazioni, è disponibile la media delle seguenti grandezze: i) salario lordo di ogni lavoratore; ii) settimane retribuite durante l’anno; iii) età di ingresso nel mercato del lavoro; iv) percentuale di lavori part-time (dal 1985), lavori a tempo indeterminato (dal 1998) e lavori in settori ATECO 2007.

Data la presenza del solo dato salariale, non risulta possibile studiare altre fonti di reddito che contribuiscono a determinare in maniera rilevante la ricchezza complessiva di un individuo. Nonostante tale limitazione, riteniamo che un’analisi specifica sui salari sia estremamente utile, considerato che le retribuzioni rappresentano la principale fonte di reddito disponibile per la maggior parte dei lavoratori. Inoltre, il nostro intento è proprio quello di identificare eventuali trend di convergenza o divergenza nei salari derivanti da diverse posizioni all’interno della struttura gerarchica dei rapporti di lavoro.

Data la ricchezza del database, nel nostro studio proponiamo diverse analisi empiriche. In primo luogo, guardiamo all’evoluzione delle diseguaglianze lungo l’intero periodo in esame, evidenziando alcuni processi strutturali quali la terziarizzazione della struttura produttiva, l’intensificarsi dei divari regionali, la frammentazione delle carriere lavorative ed il progressivo ingresso femminile nella forza lavoro occupata. Successivamente, procediamo con un esercizio di regression decomposition per individuare quale attributo tra quelli considerati (genere, età, professione, provenienza geografica) si caratterizza per una maggiore o minore disuguaglianza salariale all’interno di ciascun gruppo (within component) e tra gruppi (between component). In seguito, analizziamo in che modo la perdita annuale di salario si distribuisce tra i gruppi, verificando se l’appartenenza ad uno di essi contribuisca a spiegare la frequenza di tale evento. Infine, verifichiamo empiricamente la presenza nel mercato del lavoro italiano di un maggiore incremento dei lavori a basso ed alto reddito rispetto ai lavori a reddito medio, un fenomeno di rilievo per valutare la teoria della polarizzazione della struttura occupazionale, su cui tuttavia avanziamo alcune critiche.

 

I nostri risultati mostrano prima di tutto come in un contesto generale di stagnazione e caduta salariale (si veda il contributo di Raitano e Subioli sul Menabò), riduzione del numero di settimane lavorative ed aumento della frammentazione (tema approfondito sul Menabò da Michele Bavaro) si registri un incremento del divario salariale tra impiegati/operai e manager (Figura 1.a, e 1.b), oltre che tra settori produttivi, classi di età e genere. Se da una parte, infatti, il gap salariale rispetto al top 10% sembra aumentare nel tempo (Figura 1.c), si riscontra a partire dal 2008 un trend di compressione e omogeneizzazione verso il basso dei salari di impiegati ed operai (Figura 1.d)

In un contesto di forte esplosione delle disuguaglianze salariali (come confermato da diversi indicatori di disuguaglianza presentati nel nostro paper) diventa importante provare a capire quali attributi possono contribuire a spiegarne l’origine. Attraverso un esercizio di decomposizione della distribuzione salariale, si evidenzia come la componente within della variazione salariale, ovvero la differenza media tra i salari all’interno dei vari gruppi, prevalga nelle dimensioni di genere, età ed area geografica. Al contrario, quando scomponiamo la forza lavoro in base ai macro-gruppi professionali, osserviamo come la componente between, ovvero la differenza tra i salari medi dei diversi gruppi (operai, impiegati, quadri, manager ed apprendisti), risulti essere prevalente e di gran lunga superiore alla variazione salariale osservata all’interno di ciascun gruppo professionale.

Oltre al forte incremento della disuguaglianza, nel periodo analizzato si registra una persistente caduta del salario medio. Nella seconda parte dello studio, indaghiamo proprio come questo evento si distribuisce tra i lavoratori. In primo luogo, sfruttiamo la struttura longitudinale del nostro dataset, individuando come osservazione di riferimento la “categoria” del lavoratore data dalla combinazione di genere, classe di età, regione e macro-gruppo professionale. Per ciascuna categoria calcoliamo il tasso di variazione salariale annuale. Dall’analisi risulta che la probabilità di registrare una perdita di salario non è indipendente dalle caratteristiche indicate sopra ed in secondo luogo che l’evento si concentra in misura più accentuata in specifiche tipologie di lavoratori. Prendiamo ad esempio la Figura 2, che riporta la distribuzione dell’evento di una perdita salariale all’interno dei macro-gruppi occupazionali. L’evento risulta piuttosto frequente, data la marcata presenza di aree blu (che indicano una crescita negativa del salario), lungo tutto l’asse temporale del grafico. Inoltre, le perdite salariali sono più frequenti tra impiegati ed operai rispetto alle altre occupazioni (così come tra le donne ed i giovani rispetto agli uomini ed ai lavoratori già anziani).

Infine, la nostra analisi empirica non conferma la presenza di un trend di polarizzazione della struttura occupazionale italiana (Figura 3a). Al contrario, si rileva una tendenza più marcata verso una generale compressione salariale, che si traduce in stagnazione o caduta delle retribuzioni, fatta eccezione per i percentili più alti (Figura 3b).

L’insieme dei risultati del nostro studio, qui illustrati sinteticamente, pone una serie di interrogativi sulle possibili determinanti delle disuguaglianze. L’importanza dei cambiamenti istituzionali è oggi al centro di un’intensa discussione negli Stati Uniti. Tra i fattori cruciali enunciati troviamo il progressivo indebolimento del sindacato e del potere contrattuale dei lavoratori, l’impatto delle politiche economiche neoliberiste, i processi di delocalizzazione aziendale e la privatizzazione dei servizi pubblici.

Dato l’ampio orizzonte temporale in cui si snoda il nostro studio, risulta fondamentale tener conto dei cambiamenti intervenuti nell’assetto istituzionale, economico e politico italiano. Tra essi, la crisi valutaria del 1992 e le conseguenti politiche di moderazione salariale e riduzione del debito pubblico, la Grande Recessione del 2008 seguita poi dalla crisi dell’Euro nel 2010 e dall’adozione delle politiche di austerità. Allo stesso tempo, a partire dagli anni Novanta su spinta del Jobs Study dell’OECD, ha avuto avvio una violenta stagione di deregolamentazione del mercato del lavoro, accompagnata da un profondo deterioramento del dialogo tra le parti sociali e delle relazioni industriali a livello nazionale ed europeo.

Diventa allora cruciale guardare alla dimensione di classe in un contesto in cui la ricchezza si concentra in un numero ristretto di individui, la mobilità sociale rallenta fino ad arrestarsi del tutto e le disuguaglianze si fanno già acute. A conferma di ciò, diverse pubblicazioni hanno sottolineato l’urgenza della ricostruzione di un’analisi di classe sia con l’ausilio di nuove indagini come la Great British Class Survey, che attraverso l’integrazione di banche dati europee. Alla luce delle profonde stratificazioni sociali ed economiche che interessano in maniera strutturale la popolazione italiana e considerato il rischio di un peggioramento dei divari a causa della pandemia, si rende allora necessario uno sforzo della ricerca scientifica per approfondire in maniera integrata il nesso tra classi sociali, genere, età e provenienza geografica al fine di orientare politiche economiche e sociali che sappiano ridurre in maniera efficace le disuguaglianze.

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