L’espansione della categoria dei doveri costituzionali nella riforma costituzionale sull’ambiente

Giorgio Grasso esamina la riforma costituzionale sull’ambiente, che ha modificato gli artt. 9 e 41 Cost., tentando di offrirne una lettura costituzionalmente orientata che potrà favorire l’espansione dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, valorizzando l’inciso «anche nell’interesse delle future generazioni», che sembra rappresentare il plusvalore dell’inserimento della tutela dell’ambiente tra i Principi fondamentali della Costituzione.

Con la legge costituzionale n. 1/2022, entrata in vigore il 9 marzo scorso, sono stati modificati due distinti articoli della Costituzione, l’art. 9, posto tra i Principi fondamentali, e l’art. 41, inserito nella Parte Prima del testo costituzionale, nel Titolo dedicato ai Rapporti economici. In particolare, con la legge di riforma si è aggiunto, all’art. 9, un terzo comma del seguente tenore: la Repubblica «[t]utela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali»; poi si sono integrati il secondo comma dell’art. 41, stabilendo che l’iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente, oltre che alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, e il terzo comma del medesimo art. 41, accostando ai fini sociali, cui indirizzare e coordinare – con programmi e opportuni controlli determinati per legge – tutta l’attività economica, pubblica e privata, anche i fini ambientali.

Le implicazioni che una revisione costituzionale comporta devono essere sempre considerate rispetto all’intero testo della Costituzione, se è vero che nessuna disposizione costituzionale può essere mai isolata pienamente dalle altre, ma tutte si tengono insieme a sistema. È in tale prospettiva, allora, che si deve riflettere brevemente anche sulla recente riforma costituzionale sull’ambiente, la quale – come si cercherà di sostenere – finisce per espandere positivamente i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale sanciti già dall’art. 2 Cost.

La circostanza di aver toccato, per la prima volta – ma vedi, in realtà, già la legge costituzionale n. 1/1967, che senza modificare espressamente l’art. 10 Cost. aveva stabilito che l’ultimo comma di tale articolo e l’ultimo comma del successivo art. 26 «non si applicano ai delitti di genocidio» –, una disposizione collocata tra i Principi fondamentali potrebbe destare qualche preoccupazione, soltanto a ritenere che il testo di riforma finisca per determinare un arretramento nella tutela di un principio fondamentale o un’erosione della prescrittività e del contenuto di dover essere di uno di quei medesimi principi. Cosa che, tuttavia, non sembra sia accaduta in alcun modo con la revisione costituzionale in commento, che semmai nel richiamare esplicitamente la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi – rispetto alla tutela degli animali va svolto, come si dirà tra poco, un ragionamento in parte diverso – ha ampliato la protezione che dell’ambiente (nozione entro cui poter far confluire sinteticamente biodiversità ed ecosistemi) si era ricavata in dottrina e nella giurisprudenza costituzionale, attraverso il rimando ad altre disposizioni costituzionali, l’art. 9, nella parte dedicata alla tutela del paesaggio, e l’art. 32, in riferimento alla tutela della salute come diritto fondamentale. Senza tacere poi la circostanza che, nel contesto della riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta con la legge costituzionale n. 3/2001, e quindi all’interno della ripartizione dei poteri tra Centro e Periferia e della dislocazione della competenza legislativa statale e regionale, la materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» era stata assegnata alla potestà legislativa esclusiva statale, con l’art. 117, comma 2, lettera s), con ciò rafforzando il fondamento costituzionale della protezione del valore ambientale. Insomma, essere intervenuti sulla disciplina dell’art. 9 Costituzione ha significato estendere la portata di un articolo che racchiudeva al suo interno la promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, dovendosi di conseguenza individuare la cifra della riforma costituzionale, per prefigurare l’impatto che la revisione costituzionale potrà avere, da ora innanzi, su altre norme costituzionali, a partire da quelle contenute nell’art. 41, anch’esso oggetto della medesima revisione costituzionale.

Credo in proposito che sia l’inciso «anche nell’interesse delle future generazioni» a rappresentare, in una lettura costituzionalmente orientata del nuovo testo costituzionale, il plusvalore dell’inserimento della protezione dell’ambiente tra i Principi fondamentali della Costituzione. Questo rimando, infatti, opportunamente non declinato sotto l’allusiva formula dei diritti delle generazioni future, molto difficilmente esigibili, oltre tutto, anche con un’azione giurisdizionale, è capace di assicurare la responsabilità dei comportamenti di cittadini, imprese e pubblici poteri nei confronti del bene ambiente, in una collaborazione intergenerazionale che preservi nel tempo, per chi verrà dopo di noi, il margine di libertà garantito oggi ai cittadini del presente – portatori di un interesse comunque costituzionalmente salvaguardato ma che trova modo per essere ribadito proprio grazie all’impiego della congiunzione anche – e la cui concreta realizzazione non pare più rimandabile. Che ci si dovesse collocare, del resto, guardando alle problematiche ambientali, dal punto di vista della solidarietà e dei doveri inderogabili, piuttosto che da quello di meri diritti soggettivi della personalità o degli stessi diritti sociali, era chiaro già nell’opinione della dottrina più avvertita (basti qui citare, per tutti, il saggio davvero precursore di F. Fracchia, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà ambientale, in Il diritto dell’economia, 2002, 215 ss.), con tante conferme anche nel diritto costituzionale europeo dei Trattati e in larga parte delle Costituzioni dei Paesi democratici. Ecco, quindi, che l’interesse delle future generazioni costituisce, a seguito della revisione costituzionale, il modo per svolgere concretamente la solidarietà ambientale, sul versante politico, economico e sociale, impegnando, per esempio, lo Stato a promuovere, nel quadro della cooperazione internazionale, azioni forti di protezione ambientale, anche rispetto al profilo cruciale della gestione del cambiamento climatico, ovvero orientando, in ambito nazionale, Governo e Parlamento nel perseguimento dell’indirizzo politico, in particolare nei settori della politica industriale ed energetica, secondo modalità strettamente aderenti agli obiettivi di protezione ambientale (ma la discrasia tra le nuove norme costituzionali e tutta una serie di recentissime misure adottate da Governo e Parlamento è ben sottolineata da V. Cogliati Dezza, Ambiente in Costituzione, in questo Menabò, n. 168/2022, 14 marzo 2022).

Anche l’art. 9 rinnovato potrà quindi comportare, se la Corte costituzionale italiana intenderà seguire le orme calcate dal Tribunale costituzionale federale tedesco nella nota pronuncia del 24 marzo 2021, quella «dimensione internazionale» riconosciuta all’art. 20a della Legge fondamentale, con una responsabilità a cui nessuno Stato può sottrarsi, al contempo esigendo un dovere di protezione che, citando un passaggio cruciale di quella sentenza, «incorpora l’imperativo di prendersi cura dei fondamenti naturali della vita in un modo che permetta di trasmetterli alle generazioni future in uno stato che lasci loro una scelta diversa dall’austerità radicale, se vogliono continuare a preservare questi fondamenti».

Quanto alla tutela degli animali, sembra qui trattarsi di un principio fondamentale del tutto inedito, perché per la prima volta gli animali trovano un espresso riconoscimento costituzionale, con la previsione di una riserva (o forse di un mero rinvio) alla legge dello Stato, che dovrà disciplinare i modi e le forme di questa tutela. Un’espressione, legge dello Stato, che non è contenuta in nessun altro articolo dei Principi fondamentali (ma che è usata, invece, sei volte nel Titolo V della Parte Seconda), e che anche in ragione di quanto stabilisce l’art. 3 della legge costituzionale n. 1/2022 – «La legge dello Stato che disciplina i modi e le forme di tutela degli animali, di cui all’articolo 9 della Costituzione, come modificato dell’articolo 1 della presente legge costituzionale, si applica alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nei limiti delle competenze legislative ad esse riconosciute dai rispettivi statuti» – sembra destinata a ripercuotersi sulla distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, lungo una prospettiva tutta da decifrare, ma che certo non può essere ulteriormente indagata ai fini di queste brevi note.

La legge costituzionale n. 1/2022 ha modificato, però, anche, come si è evidenziato in esordio, l’art. 41 Cost., che riguarda l’esercizio dell’iniziativa economica privata e l’attività economica pubblica e privata nel loro insieme. Nei cinque progetti di legge di iniziativa parlamentare, che hanno dato avvio alla revisione costituzionale e sui quali si erano svolte numerose audizioni parlamentari, progetti poi riuniti anche insieme ad altri in un testo unificato nel marzo del 2021, non era originariamente previsto alcun riferimento all’art. 41, entrato nella discussione proprio soltanto con l’adozione del testo unificato, recuperando la formulazione di un altro progetto di legge (Atti Senato n. 938, Collina e altri).

Che tra questo articolo di legge e due disposizioni dei Principi fondamentali, l’uguaglianza sostanziale dell’art. 3, comma 2, e il principio lavorista dell’art. 4, esista un rapporto di strumentalità, tale per cui «è l’intera società (…) che è titolare degli interessi sottesi al principio dell’utilità sociale», una società che coincide con quella dell’art. 4 e la cui organizzazione politica, economica e sociale è la medesima evocata dall’art. 3, comma 2, è stato già ampiamente dimostrato dalle più convincenti ricostruzioni della dottrina, funzionalizzando nel nome del primato della politica sull’economia l’iniziativa economica privata, non meno del diritto di proprietà e delle altre libertà economiche, al fine di contribuire alla realizzazione concreta di tali Principi fondamentali (si rimanda interamente a M. Luciani, Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, Relazione al Convegno annuale AIC, Costituzionalismo e Costituzione nella vicenda unitaria italiana, Torino, 27-29 ottobre 2011; vedi anche G. Grasso, Il costituzionalismo della crisi. Uno studio sui limiti del potere e sulla sua legittimazione al tempo della globalizzazione, ES, 2012, 11 ss.).

Ma ora che cosa può effettivamente cambiare con la previsione esplicita della salute e dell’ambiente, quali limiti allo svolgimento dell’iniziativa economica privata, e dei fini ambientali, quali vincoli verso cui indirizzare e coordinare con legge l’attività economica pubblica e privata? Riannodando i fili delle nuove disposizioni costituzionali, sembra che, almeno per quanto riguarda l’ambiente, i termini del bilanciamento che prima il legislatore e poi la Corte costituzionale devono compiere, ogni volta in cui serva realizzare la sintesi di interessi, diritti e valori in conflitto tra loro e spesso radicalmente contrapposti, dovranno necessariamente essere ricomposti. Ciò non significa però che l’ambiente assumerà un primato assoluto e/o diventerà tirannico, perché, pensando a vicende passate, come quella delle due pronunce costituzionali sul caso Ilva – che non a caso sono ora ricordate un po’ in tutti i primi commenti sulla riforma, come per esempio fa V. Cogliati Dezza, Ambiente in Costituzione, cit. –, la ben diversa conciliazione fatta allora dalla Corte nella sentenza n. 85 del 2013, rispetto alla sentenza n. 58 del 2018, reggerebbe anche oggi, di fronte alla revisione costituzionale degli articoli 9 e 41.

Il problema vero è che, secondo quanto indicato dal Tribunale costituzionale federale tedesco, nella decisione appena menzionata, considerando la questione dell’emergenza climatica, vero e proprio snodo di tutte le politiche di intervento sulla protezione dell’ambiente, «l’importanza relativa dell’obbligo di proteggere il clima continuerà ad aumentare più il cambiamento del clima progredirà».

Per questa ragione lo sforzo di tutti, cittadini privati, imprese, pubblici poteri, deve rivolgersi affinché quel “punto di non ritorno”, che potrebbe mettere in discussione l’idea stessa dell’uomo sulla terra, come ci ha insegnato molti anni fa Hans Jonas (a partire dal volume Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, 1990, ma soprattutto nel saggio Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura, Einaudi, 2000), si allontani il più possibile dall’orizzonte che abbiamo dinnanzi.

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