L’esclusione socio-economica a Roma

Federico Tomassi presenta alcune evidenze sulle disuguaglianze urbane nella città di Roma, basate sui dati di #mapparoma e relative a diverse dimensioni dell’esclusione socio-economica. Utilizzando l’indice di sviluppo umano municipale, Tomassi mostra come tali dimensioni siano correlate tra loro e sostiene che per contrastare le numerose e diffuse disuguaglianze che riguardano il welfare, la salute, la casa, la scuola, la formazione, l’occupazione e le differenze di genere occorrono non solo alcuni investimenti materiali ma anche ‘investimenti sociali’.

Le analisi condotte dal gruppo di ricerca #mapparoma, che oltre a me comprende Keti Lelo e Salvatore Monni dell’Università di Roma Tre (Lelo – Monni – Tomassi, Le mappe della disuguaglianza. Una geografia sociale metropolitana, Donzelli, 2019), mostrano come Roma sia oggi composta da due distinte città, intrappolate in una sorta di sviluppo a più velocità con differente qualità urbana: una parte capace di cogliere le opportunità della crescita e una esclusa da tale sviluppo.

Alcuni estratti del nostro lavoro sono già stati pubblicati sul Menabò, ed evidenziano proprio l’estensione e la gravità di queste disuguaglianze, peraltro non limitate solo alla capitale: il confronto tra Roma, Milano e Napoli; le differenze di istruzione, occupazione, reddito e sviluppo umano; il disagio sociale nelle case popolari; i risultati elettorali nel 2018. Più in generale, la prima Roma ha mantenuto un reddito medio stabile o persino crescente negli anni della crisi economica e finanziaria che ha colpito duramente l’Italia e ha beneficiato della successiva ripresa, per quanto debole sia stata: sono i quartieri più centrali all’interno dell’anello ferroviario (in particolare I e II Municipio), con le appendici benestanti a nord (da Ponte Milvio all’Olgiata) e sud (dall’Eur a Casal Palocco). La seconda Roma è stata invece pienamente colpita dall’impatto della crisi, e non ha neanche ancora recuperato il terreno perso su reddito, inclusione sociale e opportunità personali: questo è molto evidente nel quadrante est, dentro e fuori dal GRA (nel IV, V e VI Municipio), in gran parte dei quartieri periferici che sorgono intorno al GRA stesso e sul litorale di Ostia (X Municipio).

La parte più debole della società, peraltro concentrata nelle periferie, ha fortemente risentito dell’indebolimento delle politiche pubbliche nazionali e locali di protezione sociale e di redistribuzione, e in particolare la scarsa attenzione verso gli alloggi, la salute e le dipendenze, la marginalità sociale, la povertà, l’infanzia, i migranti. Questo è un problema non solo sociale, in termini di benefici e opportunità non equamente distribuiti tra i cittadini, ma anche economico, perché esiste nei quartieri un grande potenziale di sviluppo non adeguatamente sfruttato, e persino politico, in quanto le diseguaglianze influiscono anche sulla netta polarizzazione elettorale tra il centro e le diverse fasce periferiche che persiste da molti anni.

L’esclusione socio-economica appare in effetti un fenomeno multidimensionale, che può essere declinato in varie direzioni. Primo, tra i quartieri romani sono molto eterogenei i livelli di istruzione e di conseguenza di occupazione, tanto che a Parioli il tasso di laurea è 8 volte quello di Tor Cervara, mentre il tasso di disoccupazione è la metà. Secondo, sussistono impari opportunità tra donne e uomini, con tassi di laurea femminile superiori a quelli maschili nei quartieri periferici a ridosso e oltre il GRA, cui si accompagnano tassi di occupazione maschile superiori a quelli femminili ovunque a Roma. Terzo, esiste un preoccupante legame tra forme abitative, difficoltà educative e occupazionali dei giovani, prospettive di vita in salute e rischio di cadere nelle reti criminali, soprattutto nei quartieri del quadrante est e del litorale di Ostia che con maggiore frequenza appaiono nella cronaca nera. Quarto, la scarsità di spazi pubblici lontani dal centro crea poche occasioni di partecipazione civica e interazione sociale, cosicché la vitalità che pure mostrano varie periferie appare poco pianificata, frutto solo di episodici sforzi collettivi dal basso. Quinto, la dispersione dei residenti in quartieri periferici poco densi e slegati dal tessuto urbano preesistente aumenta il costo di gestione dei servizi pubblici e li rende meno efficaci ed efficienti, aggravando in particolare i problemi strutturali delle aziende comunali Atac e Ama.

I romani nelle periferie percepiscono se stessi – a torto o a ragione – come insicuri, lontani dalle istituzioni, preoccupati dall’immigrazione, carenti di servizi, infrastrutture e opportunità, e orientano le proprie scelte politiche ed elettorali di conseguenza, subendo la facile penetrazione di messaggi politici populisti, se non persino nazionalisti e xenofobi. Proprio fuori dal GRA i residenti sono molto aumentati tra il 2001 e il 2018, con una crescita del 39%, da meno di 500mila a quasi 700mila. Il numero di abitanti si è ridotto invece nei quartieri ben dotati di servizi e occasioni di interazione sociale: -11% in centro (scesi a 380mila), -9% nella periferia storica (circa 1.170.000) e -8% a Ostia (82mila), mentre nella periferia anulare dentro il GRA sono cresciuti solo dell’1% (oltre 510mila).

In questo quadro di disuguaglianze e polarizzazioni romane, è interessante applicare a livello dei municipi la metodologia dell’indice di sviluppo umano dell’UNDP, proposto da Amartya Sen. È possibile utilizzare come indicatori il reddito per la dimensione dell’accesso alle risorse, gli anni di istruzione per la dimensione della conoscenza e il tasso standardizzato di mortalità per la dimensione della vita lunga e sana, in assenza di dati disaggregati sull’aspettativa di vita. Tutte e tre le dimensioni mostrano un quadro molto coerente e preoccupante, che lega insieme le disuguaglianze: dove il reddito è elevato, anche i livelli di istruzione sono più alti, e la salute è complessivamente migliore, mentre dove il reddito è basso si studia poco e i rischi relativi alla salute incidono maggiormente. II e VI Municipio rispettivamente aprono e chiudono le graduatorie in tutte e tre le dimensioni, nonché nell’indice finale. Riprendendo le definizioni UNDP, due soli municipi (I e II) a Roma presentano un valore molto alto di sviluppo umano, in altri due è alto (IX e XV), in sette è intermedio (III, VII, VIII, XI, XII, XIII e XIV), mentre negli altri quattro è basso (IV, V, VI e X), ed è particolarmente negativo nel VI (il Municipio delle Torri), l’unico dove risulta inferiore a 0,4.

Peraltro in alcune aree urbane si accumulano problemi di varia natura e criticità irrisolte – case popolari in contesti urbani degradati, scarsa accessibilità del trasporto pubblico, inadeguata gestione dei rifiuti e del verde, centri per migranti, campi rom, prostituzione – peggiorati dalla corruzione emersa proprio per alcuni di questi temi con le inchieste giudiziarie sul “Mondo di mezzo”. In molti nuclei di case popolari i tassi di laurea sono bassissimi, la disoccupazione è doppia rispetto alla media romana e troppe famiglie sono in condizioni di disagio economico. Qui basta una scintilla per sfociare in vere e proprie rivolte urbane contro gruppi deboli e minoritari, per quanto fomentate da politici locali di destra e movimenti neofascisti, come avvenuto in pochi anni prima a Tor Sapienza, poi a Tiburtino III e infine a Torre Maura e Casal Bruciato.

Le disuguaglianze tra quartieri esistono anche nelle altre grandi città italiane, e le evidenze empiriche mostrano similitudini e differenze con Roma, pur tenendo presente che l’enorme estensione comunale della capitale rende difficili i confronti. Il fenomeno è molto forte a Napoli, dove le condizioni di povertà strutturale sono ampiamente diffuse, sebbene gli indicatori migliori non siano nel centro storico, quanto nei quartieri collinari occidentali. E’ tuttavia presente anche a Milano, dove i livelli di istruzione, occupazione e reddito sono migliori della media italiana, ma le fasce popolari sono ormai sostanzialmente assenti nelle aree centrali e semicentrali, e la capacità di attrazione si manifesta a cerchi concentrici.

Se le politiche nazionali e locali sono state finora frammentarie ed emergenziali, incapaci di contrastare efficacemente questi fenomeni, serve una nuova e diversa strategia per ridurre l’eterogeneità tra quartieri, favorire la diffusione dei benefici della crescita anche nelle periferie e sostenere le opportunità di sviluppo su tutto il territorio metropolitano. A Roma, al contrario, in questo difficile contesto economico e sociale, la politica non appare in grado di incidere positivamente, e anzi a più riprese ha aperto gravi falle nella gestione della città. Alcune dinamiche dipendono da scelte (o mancate scelte) urbanistiche di lungo periodo, su cui potrebbe incidere una visione complessiva di largo respiro che punti a fermare il consumo di suolo nell’Agro romano, a fronte di una popolazione residente sostanzialmente stabile sui 2,8-2,9 milioni di abitanti fin dalla metà degli anni novanta. Ma su molti problemi si dovrebbe intervenire rapidamente, tramite una nuova stagione di forti investimenti pubblici, sia materiali che immateriali.

Tra gli investimenti materiali, i più urgenti riguardano ovviamente il trasporto su ferro e il ciclo dei rifiuti, per i quali va definita una pianificazione pluriennale delle infrastrutture e delle reti, combinando insieme risorse comunitarie, nazionali e locali. Gli investimenti immateriali includono invece gli “investimenti sociali” per contrastare le numerose e diffuse disuguaglianze che riguardano il welfare, la salute, la casa, la scuola, la formazione, l’occupazione e le differenze di genere. A tale scopo, servono progetti mirati e specifici che possano incidere seriamente nei quartieri che subiscono di più la contrazione delle opportunità dovuta ai bassi livelli di istruzione, all’abbandono scolastico, al difficile inserimento lavorativo, alla ridotta partecipazione al mercato del lavoro, all’elevata disoccupazione, all’inadeguata prevenzione sanitaria, alle impari opportunità tra uomini e donne. Ed è necessario che siano attuati in collaborazione con i diversi livelli di governo, con il ruolo decisivo della partecipazione civica e dell’associazionismo locale, concentrando le risorse che pure esistono su pochi progetti prioritari ed efficaci, invece di disperderle in troppi rivoli su tutto il territorio.

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