L’elefante della disuguaglianza globale

Michela Boldrini, Gabriele Dente e Ludovica Galotto si occupano della nota curva dell’“elefante delle disuguaglianze globali” proposta nel 2013 da Lakner e Milanovic esaminando una recente rivisitazione della curva proposta da Kharas e Seidel. Il loro studio fornisce alcune elaborazioni utili per meglio comprendere il significato della curva, per confutare alcune fallaci e diffuse interpretazioni della stessa e per arricchire l’esame dell’andamento della disuguaglianza a livello globale.

L’“elefante della disuguaglianza”, proposto nel 2013 da Lakner e Milanovic in un lavoro per la World Bank, è presto diventato uno dei grafici più citati quando si parla degli effetti della globalizzazione sulla disuguaglianza mondiale, ma anche uno dei più fraintesi dalla stampa e dalla politica.

Lo studio di Milanovic e Lakner è stato rivisitato nel 2016 da Corlett, per contrastare l’idea che la stagnazione dei redditi della classe media dei paesi sviluppati fosse la chiave per comprendere la Brexit. Di recente, due economisti del Brookings Institute, Kharas e Seidel, hanno ri-analizzato la “curva dell’elefante” con nuovi dati e metodologie per chiarire cosa il grafico è effettivamente in grado di spiegare e per correggere alcune interpretazioni inaccurate.

Il lavoro originale di Lakner e Milanovic nasce come tentativo di misurare la disuguaglianza personale globale dei redditi a livello mondiale, senza tener conto dei paesi di residenza, come se il mondo fosse un unico paese. In base all’indice di Gini, tra il 1988 e il 2008 il livello della disuguaglianza globale dei redditi non è cambiato. È noto tuttavia che questo indicatore nasconde le variazioni nella composizione della distribuzione e ciò è molto distorsivo con riferimento a un ventennio che ha conosciuto enormi trasformazioni, dalla caduta del muro di Berlino, all’affermarsi della globalizzazione, all’incredibile sviluppo di Cina e India.

Diversamente dall’indice di Gini, che è un indicatore aggregato, il grafico dell’elefante fa riferimento a ogni singolo decile di reddito e permette di individuare l’andamento dei corrispondenti redditi nel ventennio di riferimento. È importante specificare che la composizione dei decili cambia nel tempo con il mutare della posizione degli individui nella scala globale dei redditi: se, ad esempio, nel 1988 il 10% più povero del mondo era composto per il 69% da cittadini cinesi, nel 2008 lo stesso decile contiene per larga parte indiani e cittadini di paesi subsahariani e del sud-est asiatico, poiché molti cinesi hanno raggiunto gradini più alti nella distribuzione. L’anonimità dei decili di reddito è stata spesso fraintesa dai commentatori dell’elefante, portando ad interpretazioni imprecise.

Ciò che è noto, e da qui la forma dell’elefante, è che la cosiddetta curva di crescita evidenzia quattro aree distinte (figura 1): la coda, formata dai poveri mondiali, con una crescita prossima allo zero; il torso, che mostra lo sviluppo più consistente dei redditi, con un picco verso la mediana; la base della proboscide, dove la profonda caduta mostra un’acuta stagnazione; e infine la punta della proboscide, che rappresenta il decile più ricco della popolazione, il cui picco indica una forte crescita dei redditi dei più abbienti.

 

Figura 1: Il “grafico dell’elefante” originale (1988-2008) – fonte: Kharas & Seidel, 2018

Tra le varie conclusioni dedotte della sagoma dell’elefante, ve ne sono due politicamente rilevanti ed intrinsecamente sbagliate, a detta di Corlett e dei due economisti del Brookings Institute.

La prima riguarda la coda dell’elefante, che viene utilizzata per dimostrare che i paesi più poveri sono rimasti poveri negli ultimi 20 anni. Questo ragionamento sarebbe esatto solo se la composizione dei quantili e i paesi inclusi nell’analisi fossero rimasti invariati tra i due periodi di riferimento. In realtà, il campione del 1988 non è comparabile con quello del 2008, perché i dati di molte nazioni sono disponibili in solo uno dei due periodi, e questo fa sì che il risultato sia trainato da alcuni paesi molto poveri che subentrano nel campione nel periodo finale. Perciò, qualsiasi conclusione che tratta i “poveri globali” come se fossero un gruppo ben identificato tradisce la metodologia utilizzata e non tiene in considerazione importanti cambiamenti nella posizione relativa dei paesi nel tempo.

La seconda conclusione erroneamente attribuita all’elefante è che la stagnazione dei redditi della classe media nei paesi sviluppati sia un chiaro indizio della rinascita del populismo in America ed Europa e della Brexit in Inghilterra e, soprattutto, che la causa fondamentale di tutto ciò sia la globalizzazione. Per quanto suggestiva, questa conclusione non è supportata dai dati di Lakner e Milanovic. Infatti, come prova Corlett, il decile incriminato (l’ottavo della distribuzione mondiale), corrispondente alla base della proboscide, in realtà non è composto dalla classe lavoratrice inglese, e ciò esclude che l’elefante abbia qualcosa da dire sulla Brexit. La stessa argomentazione vale per l’elettorato di Trump, che si trova ben al di sopra della base della proboscide, tra il 90esimo e il 99esimo percentile della distribuzione mondiale del reddito. Senza dubbio la crescita americana nell’ultimo ventennio è stata estremamente diseguale, ma non può essere questo grafico a provarlo: la scarsa mobilità di redditi della classe media globale risente in realtà di altri grandi fenomeni del ventennio che poco hanno a che fare con l’America o l’Inghilterra. Giocano una parte fondamentale, infatti, il “ventennio perso” del Giappone e le dinamiche dei paesi socialisti dopo la caduta del muro di Berlino.

Kharas e Seidel si propongono di districare i fili delle interpretazioni finora proposte, apportando alcune modifiche metodologiche con l’obiettivo di illustrare con più chiarezza quali tesi l’elefante sia effettivamente in grado di supportare.

Rispetto alla prima di queste due erronee conclusioni, gli autori apportano una modifica alla metodologia originariamente impiegata da Milanovic e Lakner tentando di rispondere alla seguente domanda: come sarebbe l’elefante se il grafico comprendesse gli stessi paesi nel ventennio? Come detto, il grafico originale di Milanovic e Lakner subisce l’effetto dell’inclusione nel 2008 di paesi i cui dati non erano disponibili nel 1988. Tra questi molti sono a basso reddito come Russia, Ucraina, Vietnam, Kenya, Tanzania e Congo, ma ve ne sono anche alcuni ricchi come il Lussemburgo, la Norvegia e Singapore. Il campione “bilanciato” (costituito solo dai paesi inclusi in entrambi i periodi) è composto da 60 paesi invece degli originari 130, e riesce a catturare solo il 77% della popolazione globale. Analizzare un insieme di paesi così ristretto tradisce l’idea originale di “mondialità” ma è comunque utile per esaminare in modo coerente le dinamiche dei redditi nei paesi considerati. Il grafico così costruito (Figura 2), mostra uno sviluppo più sostenuto per ogni livello di reddito, e in particolare un innalzamento del tasso di crescita per i due decili alla coda e alla base della proboscide dell’elefante. Per il resto, il profilo dell’elefante rimane invariato. Dunque, occorre più cautela nel valutare le sorti dei poveri, perché la diversa composizione del campione fa apparire la situazione peggiore di quanto effettivamente sia.

 

Figura 2: L’Elefante con un campione consistente (1988-2008) – fonte: Kharas & Seidel, 2018

Un ulteriore punto di interesse riguarda la stabilità dell’elefante: quanto di ciò che viene osservato dipende dal periodo e dal campione utilizzato?

Un incremento del campione “bilanciato” di paesi, da 60 a 77, e uno slittamento in avanti di cinque anni determinano alcune interessanti variazioni illustrate dalla Figura 3: innanzitutto, l’inclusione di paesi a basso reddito ma che hanno mostrato una crescita veloce incide positivamente sulla crescita globale. Rilevante è anche il periodo storico di riferimento, a dimostrazione del fatto che l’elefante è estremamente sensibile ai cicli economici. Un’altra interessante caratteristica è la sparizione della proboscide: nei percentili più alti si collocano i paesi più sviluppati che sono anche quelli più colpiti dalla crisi finanziaria del 2008 e dalla crisi Europea del 2011, e la debole crescita è influenzata non solo da questi eventi, ma anche dall’incapacità dei paesi di riprendersi velocemente.

 

Figura 3: L’Elefante con un campione consistente e più esteso (1993-2013) – fonte: Kharas & Seidel, 2018

Nel tentativo di tracciare il profilo della curva che sia veramente una fotografia dei redditi mondiali, Kharas e Seidel sfruttano poi tutti i dati campionari disponibili. Derogando alla regola di Milanovic e Lakner, che hanno utilizzato soltanto le indagini campionarie effettuate nel 1988 e nel 2008, i due economisti dell’Istituto Brookings includono i dati raccolti durante l’intero periodo correggendoli con i tassi di crescita nazionali, in modo da creare un insieme di osservazioni fittizie per l’anno di inizio e di fine dell’analisi. Tale metodologia si basa sull’ipotesi critica che la crescita sia stata neutra dal punto di vista distributivo, cioè che i redditi di ogni cittadino siano cresciuti tutti allo stesso tasso. Nulla di più lontano dalla realtà, ma assumiamo per un momento che sia così a beneficio dell’analisi. Il nuovo campione comprende ora il 97,5% della popolazione mondiale e include ben 159 paesi (196 sono gli stati genericamente i riconosciuti).

Seguendo la linea blu scura nella Figura 4, vediamo che la modifica influisce soprattutto sul 50% meno abbiente della distribuzione, la cui crescita appare più bassa rispetto al campione originale. Il risultato non sorprende, visto che proprio nei paesi più poveri le indagini nazionali sono meno frequenti. La conclusione rimane tuttavia più ottimistica rispetto all’elefante originale (linea rosa nel grafico a nella Figura 2): non vi è più traccia della ripida caduta della coda dell’elefante, ed emerge una moderata crescita anche tra i più poveri. Senza dubbio, questo risultato dipende anche dall’ipotesi sulle caratteristiche della crescita nei paesi inclusi nel grafico.

 

Figura 4: L’Elefante con un campione consistente e ampliato con tutti i dati disponibili (1993-2013) – fonte: Kharas & Seidel, 2018

Kharas e Seidel proseguono la loro analisi con altri due esercizi utili per comprendere le specificità e i limiti del grafico dell’elefante e mettere ancor più in evidenza i limiti delle precedenti interpretazioni. Per prima cosa affrontano la questione dell’anonimato e ripetono l’analisi della distribuzione globale della crescita tenendo fissa la composizione dei quantili, come per adattare il grafico alla sua erronea interpretazione.

La Figura 5 permette di analizzare questo nuovo Elefante, denominato “Quasi-Non-Anonymous”, il cui profilo è completamente diverso dall’originale. Con questa tecnica, applicata ai dati per il ventennio 1993-2013, è quindi possibile apprezzare la dinamica di crescita dei paesi che si trovavano nei diversi percentili della distribuzione del reddito globale nel 1993, e sono rimasti nella stessa posizione alla fine del periodo.

 

Figura 5: L’Elefante Quasi-Non-Anonymous (1993) – fonte: Kharas & Seidel, 2018

In questo caso (si noti che ci riferiamo alla composizione a livello di paesi, e non di individui) i decili inferiori sperimentano una buona crescita media annua – e ciò non sorprende se si considera che Cina e India rappresentano la maggioranza della popolazione.

È inoltre interessante notare come il tasso di crescita dei decili più poveri (che hanno visto aumentare il loro reddito di circa il 40%) sia quasi quattro volte superiore a quello della coda destra della distribuzione, che rappresenta i paesi più ricchi (Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone). Ciò è dovuto alla stagnazione verificatasi nella maggior parte di questi paesi, ma è anche una chiara indicazione di come l’utilizzo dei dati delle indagini sia, in realtà, poco informativo sulle code della distribuzione del reddito.

La seconda questione riguarda la natura dei dati usati nella costruzione dell’elefante. I due economisti del Brookings propongono un interessante confronto utilizzando i dati del World Wealth and Income Database per il periodo 1993-2013. Due sono le principali differenze rispetto ai dati utilizzati da Milanovic e Lakner: innanzitutto, l’analisi si focalizza sui dati di reddito, e non su un misto reddito-consumo; inoltre, questi dati derivano dalle dichiarazioni fiscali e sono aggiustati in modo da riflettere, l’importanza, in ciascun paese, del settore di riferimento nella Contabilità Nazionale. La situazione che emerge è ben diversa da quella dell’Elefante, e il grafico che ne deriva viene comunemente chiamato “Mostro di Loch Ness”, per via della sua proboscide molto accentuata, a favore dei top incomes (figura 6).

 

Figura 6: L’Elefante con un campione consistente e ampliato con tutti i dati disponibili (1993-2013) vs. “Il mostro di Lochness” ottenuto con dati WID – fonte: Kharas & Seidel, 2018

La crescita del decile più alto è sostanzialmente diversa rispetto all’elefante –si passa da circa il 25% al 120% –, ed è così anche per i decili intermedi. Benchè le dichiarazioni fiscali risultino più affidabili delle indagini campionarie per l’analisi delle code, anch’esse presentano punti deboli in quanto risulta difficile tener conto dei differenti regimi fiscali a distanza di 20 anni; inoltre, l’economia sommersa (dunque, non tassata) ha dimensioni rilevanti e raggiunge in alcuni paesi sub-sahariani quasi il 50% di quella formale. Infine, è importante considerare come il “Mostro di Lochness” rappresenti la crescita del reddito, e non del consumo, che viene calcolato prima delle politiche redistributive, ed è anche influenzata dal fatto che chi si trova nel decile più alto (i più ricchi) tenderà a consumare una percentuale minore del proprio reddito, pur consumando in assoluto molto più dei decili inferiori.

In conclusione, la comparazione tra il Mostro e l’Elefante permette di vedere come quest’ultimo non sia l’unica possibile rappresentazione della dinamica lungo la distribuzione della crescita mondiale. Inoltre, la revisione di Kharas e Seidel è utile per costruire un’interpretazione più realistica, più complessa e anche un po’ meno pessimistica dell’andamento della distribuzione globale del reddito negli ultimi vent’anni.

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