L’eguaglianza fa bene alla concorrenza e la concorrenza fa bene all’eguaglianza

Andrea Pezzoli si occupa del contributo che la politica per la concorrenza e l'applicazione del diritto antitrust possono dare al contrasto delle diseguaglianze. In particolare, Pezzoli ricorda che l'Autorità antitrust può concentrarsi sui settori di maggiore impatto sui consumatori più poveri e che le rendite monopolistiche spesso sono un ammortizzatore sociale improprio. Su queste basi Pezzoli sostiene che per evitare la difesa di un iniquo status quo occorre che la promozione della concorrenza si accompagni a una riforma del sistema di welfare.

E’ difficile mettere in dubbio che l’eguaglianza delle condizioni di partenza faccia bene alla concorrenza.

Pensiamo alle competizioni sportive: uno squilibrio eccessivo tra i partecipanti, in termini di risorse economiche etalenti, riduce non soltanto gli spazi per un confronto vero ma lo stesso interesse sportivo e di mercato. Che noia, le partite e i campionati dei quali si conosce già in anticipo il vincitore!!

Di qui i tentativi, in realtà solo parzialmente efficaci, per agevolare l’accesso alle risorse delle squadre meno ricche. Nel calcio europeo il mutualismo si traduce soprattutto in una redistribuzione progressiva delle risorse garantite dalla principale fonte di finanziamento, la vendita collettiva dei diritti tv. Permangono tuttavia squilibri, anche marcati.

Nel basket e nel baseball statunitense l’esigenza di un level playing field si concretizza nel tentativo di introdurre e monitorare il rispetto dei tetti salariali (salary cap) e nel meccanismo del cookie raft, una sorta di “bim-bum-bam” dovele squadre più povere beneficiano della possibilità di scegliere per prime i migliori talenti dei campionati non professionistici. Ancora di più, la “riduzione delle diseguaglianze” si ricerca con l’abolizione delle retrocessioni, delle promozioni dalle serie inferiori e con la formazione di Leghe chiuse e non inclusive.

Dal mondo dello sport, dunque, vengono suggerimenti interessanti non soltanto sulle relazioni ma anche sulle contraddizioni tra eguaglianza e competizione. Le contraddizioni nascono, soprattutto, dal mancato livellamento delle condizioni di partenza cosicché circoscrivere il confronto ai soli soggetti già sostanzialmente omogenesi traduce inevitabilmente anche in esclusioni basate non sui meriti ma più prosaicamente sulle risorse economiche. Addio favola del Chievo! Anche se occorre chiedersi in che misura il Chievo possa costituire una minaccia concorrenziale per la Juventus. E la risposta potrebbe trovarsi nella vittoria del Leicester in Premier League, dove militano i ben più ricchi Chelsea e Manchester United…

Si potrebbe continuare con le metafore calcistiche ma la questione più interessante è l’assai meno immediata relazione tra concorrenza e eguaglianza che porta a riflettere sul ruolo che l’autorità antitrust può svolgere per ridurre le diseguaglianze, restando, però, un’istituzione indipendente e non ancillare a politiche economiche legittimamente legate alle diverse maggioranze di governo.

Va da sé che per affrontare il crescere delle diseguaglianze c’è bisogno di una pluralità di politiche pubbliche: fisco, welfare, istruzione, salute(cfr. M. Franzini e M. Pianta, Diseguaglianze. Laterza, 2016 e Oecd, Focus on Inequality and Growth, 2014). Tra queste può senz’altro essere inclusa la promozione della concorrenza.

Un numero sempre più ampio di contributi accademici, e non, negli anni più recenti mira a sottolineare l’impatto potenzialmente progressivo della promozione della concorrenza sull’eguaglianza fino ad auspicare una maggiore sensibilità nell’applicazione delle regole antitrust anche per gli aspetti distributivi (cfr. J. Stiglitz, The Price of Inequality. Norton&Company, 2012; L. Zingales, A Capitalism for the People, Basic Book, 2012; J.B. Baker e S.C. Salop, Antitrust, Competition Policy, and Inequality, The Georgetown Law Journal, 2015; American Antitrust Institute, A National Competition Policy, 2016). Le evidenze sono particolarmente robuste per i Paesi più poveri dove l’introduzione della concorrenza si coniuga più direttamente con una maggiore crescita e con l’erosione delle rendite, soprattutto fondiarie e immobiliari (World Bank, Breaking down barriers: Unlocking Africa’s Potential through Vigorous Competition Policy, 2016).

In via preliminare è bene chiarire, seppur schematicamente, la differenza tra la politica per la concorrenza e l’applicazione della disciplina antitrust. La prima rientra nelle competenze del governo, è una “politica” e,come tale, assolutamente libera nei fini. Saranno gli elettori a valutarla e apprezzarla con il loro voto.

L’applicazione del diritto antitrust gode invece di spazi di discrezionalità assai più limitati, in quanto di competenza di un’autorità indipendente che per legge tutela, seppur indirettamente, il benessere dei consumatori e non può distinguere tra diverse categorie di essi. (cfr. le osservazioni di G. Amato nella Tavola Rotonda sul contributo di Baker e Salop in Mercato, Concorrenza e Regole, 2016).

Ciononostante anche l’applicazione della disciplina antitrust può incidere sensibilmente sulla diseguaglianza e la distribuzione del reddito.

In primo luogo, incide nella misura in cui riduce le rendite e combatte il potere di mercato ottenuto per vie diverse dal merito nonché il suo esercizio abusivo. In questa prospettiva si registra un ormai ampio consenso sul fatto che l’indulgenza accordataai fenomeni concentrativi per tutti gli anni novanta e i primi anni duemila, soprattutto negli Stati Uniti, ha portato con sé un notevole aumento del potere di mercato, dei profitti ad esso connessi e ha contribuito non poco all’ampliamento della forbice tra l’1-2% più ricco della popolazione e le classi medie e povere.

Ciò è reso ancor più grave dal fatto che, diversamente dal passato, negli anni della crisi il potere di mercato viene esercitato anche nei confronti del fattore lavoro. In altri termini, mentre nelle fasi di crescita i monopolisti distribuivano in modo consociativo almeno parte della rendita a lavoratori e dirigenti, oggi sono i solimanager a beneficiare di parte della rendita.

Un atteggiamento più severo nella valutazione delle concentrazioni è pertanto un primo strumento per contribuire alla lotta contro le diseguaglianze.

La concentrazione e il potere di mercato possono tuttavia aumentare anche grazie all’innovazione, agli investimenti e alla crescita interna. Il rigore delle autorità antitrust in questi casi deve esercitarsi solo laddove il potere di mercato venga sfruttato abusivamente, altrimenti si rischia di minare la concorrenza dinamica, l’innovazione e i loro riflessi sulla crescita, senza i quali il legametra concorrenza e riduzione delle diseguaglianze inevitabilmente si indebolisce. Il contributo che la concorrenza può offrire alla ripresa della crescitarappresenta, infatti, l’altra strada attraverso la quale le autorità di concorrenza, senza forzature, possono aiutare a ridurre le diseguaglianze, almeno in una prospettiva di medio periodo (Oecd, Innovation Policies for Inclusive Growth, 2015).

Analogamente non richiede forzature che l’autorità antitrust abbia come obiettivo il benessere del consumatore piuttosto che altri obiettivi più sensibili anche al benessere dei percettori di profitti. Non necessariamente l’attenzione alla generalità dei consumatori implica la tutela delle categorie più povere ma è indubbio che, al netto dei consumatori più ricchi, difficilmente può favorire le diseguaglianze. Più spesso avviene il contrario.

Se è vero poi che nel breve termine la concorrenza può danneggiare i lavoratori “protetti”, vanno tuttavia considerate, accanto ai benefici per i consumatori, anche le opportunità per i lavoratori sino ad oggi esclusi, prevalentemente giovani e donne. Considerazioni tutt’altro che agevoli sotto il profilo distributivo!

Meno discutibile, invece, appare la possibilità per le autorità antitrust di includere tra le priorità quei settori che maggiormente impattano sul potere di acquisto dei consumatori, in particolare, quelli a più basso reddito. L’individuazione, più o meno esplicita, degli ambiti da privilegiare con la propria azione è ormai prassi diffusa (oltre che auspicabile per il miglior utilizzo delle risorse e una più agevole accountability) in gran parte delle autorità antitrust. Nulla di eversivo, dunque, che a fronte dell’ampliamento delle diseguaglianze, si decida di intervenire soprattutto sulle restrizioni concorrenzialiche interessano i servizi pubblici, il farmaceutico ovvero i beni e servizi di prima necessità.

In questo contesto si registra un crescente interesse per una fattispecie di abuso piuttosto controversa per la sua natura quasi regolatoria e comunque assai complessa da accertare: l’imposizione di prezzi “ingiustificatamente gravosi”. Il diritto comunitario prevede esplicitamente questa fattispecie, anche se la Commissione Europea sino ad oggi si è avvalsa di questa possibilità molto raramente e in casi molto peculiari. Coerentemente anche gli interventi dell’Autorità italiana in tema di prezzi “troppo alti” si contano sulle dita di una mano e trovano giustificazione nella specificità dei singoli casi.Tra questi va senz’altro segnalata la recente decisione A480 Incremento prezzi dei farmaci Aspen, relativa ad un abnorme aumento del prezzo di alcuni farmaci “salvavita”.

Ma persino oltre Oceano, dove la disciplina antitrust non prevede una simile violazione, sembra essersi riaperto il dibattito sull’opportunità di intervenire a fronte di prezzi “troppo alti”.

 Se, per un verso, appare comprensibile che l’insostenibilità delle diseguaglianze spinga a considerare anche rimedi estremi, per un altro, si ritiene che gli argomenti che sconsigliano un ricorso ingiustificatamente esteso ai prezzi ingiustificatamente gravosi non per questo perdano di spessore. Le sirene dei tetti di prezzo, le distorsioni ad essi connesse e le oggettive difficoltà di monitoraggio sono solo alcuni degli argomenti che invitano alla cautela.

Più in generale, e per concludere, non si può non ribadire come spetti alle politiche pubbliche e non all’autorità antitrust adottare misure esplicitamente volte alla riduzione delle diseguaglianze. Tuttavia, affinché anche la politica della concorrenza possa offrire un utile contributo in termini di equità, le politiche pubbliche dovrebbero mostrare maggiore consapevolezza della natura potenzialmente pro-mercato delle istituzioni di welfare.

A fronte delle sfide poste dai processi di globalizzazione l’Italia non ha saputo ridisegnare le proprie istituzioni di assicurazione sociale in forme adatte al nuovo contesto e l’inadeguatezza delle risposte alle crescenti richieste di protezione è stata fonte di incentivi perversi per la crescita del Paese (cfr, M. Grillo, Mercato e Crescita in Italia: Quale Ruolo per l’Antitrust, Relazione al Convegno su “Concorrenza, Mercato e Crescita”, Banca d’Italia, 29-30 ottobre 2014.). Gli incentivi perversi hanno innanzitutto condizionato la propensione alla competizione, all’innovazione e al rischio del sistema delle imprese ma anche la disponibilità del mondo del lavoro a confrontarsi con le opportunità (oltre che con gli indubbi rischi) offerti dal cambiamento tecnologico e dalle nuove forme assunte dai processi competitivi.

Ancor più direttamente: a fronte di fenomeni come Booking, Airbnb o Uber, le reazioni del settore alberghiero, delle agenzie di viaggio e persino dei tassisti avrebbero potuto caratterizzarsi per una maggiore disponibilità ad “accettare la sfida” se il sistema di assicurazione sociale fosse già oggi in grado di attenuare gli effetti “distruttivi” delle nuove tecnologie e una regolazione non invasivaavesse adeguatamente fronteggiato i nodi relativi alle relazioni industriali, al fisco ealla sicurezza.

Lo stesso Schumpeter, che una qualche simpatia per la “distruzione creatrice” ha avuto modo di manifestarla, sottolinea che ” …there is certainly no point in trying to conserve obsolescent industries indefinetely; but there is point in trying to avoid their coming down with a crash and in attempting to turn around which may become a center of cumulative effects, into orderly retreat…” (Can Capitalism Survive?, Harper Perennial Modern Thought, 1942, pag. 54).

Un sistema di assicurazione sociale in grado di sdrammatizzare le scelte innovative e rischiose può infine contribuire a ridurre la pressione con la quale le stesse autorità antitrust si trovano a fare i conti quando devono adottare decisioni che, a fronte di benefici significativi ma diffusi e differiti nel tempo, nell’immediato possono penalizzare categorie specifiche (non sempre classificabili tra le più ricche). Questapressione viene utilizzata, spesso strumentalmente, per captare la benevolenza dell’Autorità di fronte a distorsioni concorrenziali che, almeno per una parte del mercato, svolgono impropriamente la funzione di ammortizzatore sociale, così generandosoluzioni subottimali, a dir poco inefficaci per contrastare sia le “diseguaglianzeinaccettabili” (M. Franzini, Diseguaglianze Inaccettabili, Laterza, 2013)sia le micro diseguaglianze che inquinano la quotidianità (M. Ainis, La piccola eguaglianza, Einaudi, 2015). Per molti versi, anzi, soluzioni decisamente funzionali al mantenimento dello status quo.

* Le opinioni espresse sono solo dell’autore e non coinvolgono necessariamente l’istituzione di appartenenza

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