L’educazione di partito e la vita reale delle persone

Nel febbraio del 1980, sindaco Luigi Petroselli, si inaugura a Roma la nuova linea A della Metro. Un evento che non sarebbe dovuto sfuggire a un politico attento alle condizioni di vita delle persone, ai territori. Eppure sfuggì a Luciano Barca immerso nei pensieri che gli aveva procurato una riunione di Rinascita che allora dirigeva. Quando se ne rese conto restò profondamente amareggiato. Partendo da questo episodio, di cui fu testimone, Leonardo Loche ci rende partecipi, con precisi riferimenti, dell’attenzione di Luciano per i territori, per la vita reale delle persone e ricollega tutto ciò a quella che allora si chiamava educazione di partito.

La redazione di Rinascita si trovava in una splendida palazzina Liberty nel quartiere di San Lorenzo a Roma, incastrata tra la federazione romana del PCI e la redazione de l’Unità, in via dei Caudini.

Rinascita era una rivista con uno spessore culturale non indifferente e la sua redazione era di altrettanto spessore: Maria Luisa Boccia, Fabrizio De Agostini, Massimo Loche, Federico Rampini, Chiara Valentini e tanti altri nomi del giornalismo e della cultura con cui Luciano si “incontrava” quotidianamente durante la sua direzione della rivista.

Era febbraio 1980, una riunione di redazione di Rinascita come tante altre che, come tante altre, lo faceva uscire pensieroso, a volte adombrato, spesso decisamente disturbato.

Quel pomeriggio era già buio, Luciano uscì ancora più buio e, come ci eravamo tacitamente accordati, andammo in giro senza una precisa meta, alla ricerca al massimo di una strada o di un parco nel quale passeggiare scaricando la tensione.

Mi raccontò alcuni dei passaggi che lo avevano innervosito. Non sono importanti ai fini di quanto voglio raccontare, e devo dire che alcuni proprio non riuscivo a sentirli miei, non sentivo la necessità di approfondirli, pensavo all’ultima riunione di direttivo in Sezione e non trovavo alcun motivo di collegamento.

Mi venne spontaneo esternare questo pensiero e iniziammo a confrontarci. Luciano cercava di spiegarmi il valore, comunque, di quegli argomenti ed io gli risposi che se avessimo fermato dieci persone incontrate nella nostra passeggiata forse uno, ma non credo, si sarebbe appassionato, gli altri nove ci avrebbero guardati come marziani e sarebbero corsi verso la metropolitana per tornare a casa. La nuova metropolitana, la Linea A, quella che il nostro Sindaco Luigi Petroselli aveva inaugurato il sabato precedente.

Luciano si trovò spiazzato. La concentrazione e le energie richieste da altri argomenti, molto meno pratici, lo avevano distolto dalla sua abituale attenzione al territorio. Amava poi questa città e ne conosceva angoli e piazze, aneddoti e costumi; mi chiese allora di andare a vederla e così facemmo.

La cosa che lo colpì molto erano le facce e i commenti della gente. Era per tutti una sorta di festa, al di là del fatto che si dimezzavano i tempi dei tragitti casa-lavoro, sentivano che Roma era diventata un po’ meno provinciale, un po’ più Capitale Europea, insomma meno Cenerentola di quanto si sentisse abitualmente.

Questo episodio avviò in Luciano una riflessione, tanto che mi raccontò che nella successiva riunione di Direzione Nazionale del Partito aveva voluto affrontare questo argomento quale esempio di come, a volte, presi dai grandi temi politici, si poteva correre il rischio di allontanarsi da quanto, invece, accadeva nella vita reale e pratica della società.

Non mi stupì questa sua sensibilità. Avevo già avuto modo di apprezzare, e col passare degli anni si sarebbe confermato, il suo interesse e anche e soprattutto la sua curiosità verso l’ambiente che lo circondava, nel quale viveva il suo impegno politico, ma anche semplicemente il suo passaggio come viaggiatore.

Nei frequenti viaggi, quasi tutti i fine settimana, verso il suo collegio elettorale, le Marche, notava e annotava i cambiamenti che, ad esempio, portava nel territorio la costruzione della nuova strada a scorrimento veloce. Mi esternava le sue perplessità e le preoccupazioni nei confronti di quei centri abitati che sarebbero stati tagliati fuori dalla vita e probabilmente avrebbero pagato in termini di perdita di ricchezza quella conquistata serenità.

Conoscere e sentire propri i territori era una sua costante, frequentare i Compagni, la gente del posto era per lui imprescindibile, lo faceva sentire in grado di ascoltare le questioni che di volta in volta gli venivano poste parlando la stessa lingua, e questo faceva sì che si instaurasse subito un rapporto di condivisione anche umana molto gradevole.

All’inizio a volte mi è venuto da pensare che avremmo potuto rinunciare a questa o quella cena a casa di questo o quello, soprattutto nei periodi di campagna elettorale quando le giornate si succedevano e la stanchezza si accumulava, poi ne ho capito il vero significato, l’adozione del territorio e l’accoglienza ricevuta in cambio.

Potrei riassumere le chiacchierate con quel produttore di scarpe, impegnato nel sociale nella zona di Fermo, gli incontri, spesso conviviali con i portuali, le loro preoccupazioni per quell’affaccio sull’Est del mondo tanto in fermento, i pescatori di Ancona, San Benedetto del Tronto, Civitanova Marche, Fano, Porto San Giorgio, Pesaro e Senigallia.

Forse definirle semplicemente chiacchierate è riduttivo e mette in ombra una parte del carattere di Luciano, la socialità ed il gusto per il mangiare bene in compagnia, soprattutto a cena quando la giornata di impegni era finita e ci si poteva rilassare; oltre le cene in casa del compagno ospitante di turno, veri spazi di libertà dal formalismo della politica, come non ricordare le cene con i portuali o addirittura le grigliate notturne sulla spiaggia di Porto San Giorgio con quel tizio che sfoggiava la sua carta d’identità con su scritto “Professione: benestante” e che ci fece ridere di gusto tutta la serata.

Voglio ricordare due episodi: la sera del 6 giugno del 1980, eravamo in giro da giorni per la campagna elettorale e referendaria, i compagni pescatori di Fano se non sbaglio, organizzarono una cena fantastica, entrammo nel locale e ricordai a Luciano che l’indomani a Roma si svolgevano i funerali di Giorgio Amendola, che la strada era lunga ed io ero già provato, quindi avremmo dovuto rinunciare alla cena. Ci accordammo, non senza difficoltà per rimanere solo il tempo dell’antipasto, io non mangiai e non bevvi nulla e verso le 21.40 partimmo; alle 23.30 circa arrivammo a Nocera Umbra, eravamo affamati e vedemmo un ristorante aperto e pieno di luce, entrammo e sentimmo una voce, da una grande tavolata invitare Luciano a sedere, era un noto e chiacchierato dirigente DC, Luciano lo guardò e rispose che non si sarebbe mai seduto a quel tavolo con quella persona ed uscimmo fieri ma affamati. All’uscita trovammo il giovanissimo Segretario della Sezione che ci portò in un bar a mangiare una piadina in tre! Non so se mi abbia mai perdonato l’aver perso quella splendida cena.

Arrivammo a casa alle tre circa, dormii a casa sua e al mattino allo 8 eravamo già in Piazzale del Verano!

Un’altra volta ci trovammo a Roseto degli Abruzzi verso le 13.30, cercammo un posto dove pranzare e capitammo nel ristorante di un compagno, dopo pochi minuti l’intero direttivo della Sezione era al nostro tavolo; all’uscita il proprietario mi impedì di pagare dicendo che era la prima volta che aveva la fortuna di avere un dirigente Nazionale suo ospite, la mia insistenza non lo smosse, alla fine uscimmo; raccontai questa cosa a Luciano che mi disse di segnare quel ristorante per non tornarci perché sarebbe sembrato un volere approfittare della generosità del gestore!

Tutto questo gli consentiva di avere un confronto “alla pari” con gli amministratori locali ma anche con le istanze del Partito, cogliendo anche il minimo cambiamento negli equilibri, spesso delicati, al loro interno, tanto da potere parlare con franchezza ed entrando a volte, pur con il rispetto che si deve alla vita privata, in questioni tipicamente emotive o addirittura affettive.

Insomma, era quella che si definiva l’educazione di Partito, il rapporto con la gente, quello che una volta chiamavamo il Popolo, le Masse Popolari; parlare alla testa della gente, non alla pancia era indispensabile per potere condividere progetti che guardassero al di là del confine dell’immediato e vederli accolti, coagulando attorno ad essi forze ed energie.

In questo Luciano era veramente bravo ed è stata per me una grande scuola, un osservatorio privilegiato che mi ha insegnato, quando vado in giro, a riflettere e tentare di analizzare quel che vedo, notare se nella cittadina che visito ci sono più banche, studi legali, scuole, attività produttive, insomma iniziare a conoscere il luogo non dai monumenti ma dalla sua struttura.

Credo che forse proprio per tutto questo l’avere lasciato passare in secondo piano l’inaugurazione della Metro A di Roma, in quel febbraio del 1980, l’abbia così colpito.

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