L’economia del calcio e le sue contraddizioni

Pippo Russo entra in quel sistema complesso e in piena trasformazione che è l’economia del calcio. La sua trasformazione è trainata soprattutto dai processi di spettacolarizzazione e finanziarizzazione, che vedono nella dipendenza da diritti televisivi e negli abusi sul players trading delle derive preoccupanti. In generale, l'economia del calcio globale sta crescendo su un debito esorbitante e alimenta una gigantesca bolla speculativa, la cui esplosione, secondo Russo, è forse l'unica soluzione per porre il sistema su basi più sane.

Il calcio del Ventunesimo secolo dà vita a un sistema economico estremamente complesso. Profondamente radicato in uno dei principali territori economici del Ventunesimo secolo, quello di loisir & entertainment, esso mostra un dinamismo che però troppo spesso non riesce a governare, con l’effetto di generare contraddizioni e rimanervi intrappolato. La sua dinamica di trasformazione industriale ha assunto delle linee di sviluppo ben precise, con due in particolare fra esse a fare da driver: la spettacolarizzazione e la finanziarizzazione. Due concetti la cui applicazione al calcio e alla sua economia necessita di essere chiarita.

Il concetto di spettacolarizzazione, va da sé, si relaziona con quello di spettacolo, che a sua volta va inteso sociologicamente come una “circostanza costruita per generare emozioni collettive”. In questo senso lo sport è spettacolo dacché esiste poiché le sue competizioni richiamano l’interesse e la partecipazione di un vasto attore collettivo non coinvolto direttamente nella gara, quell’attore che è stato etichettato come “pubblico”. Il pubblico dello sport è destinatario delle operazioni di spettacolarizzazione, relative alla confezione dello spettacolo sportivo (e calcistico, nello specifico caso) e al suo consumo in diversi format. La commercializzazione di tali format si è convertita, nel periodo a cavallo fra i secoli Ventesimo e Ventunesimo, nel principale motore per l’economia calcistica ma al tempo stesso rappresenta un forte elemento di dipendenza economica.

Per quanto riguarda la finanziarizzazione, si tratta di una dinamica che porta a far pendere il primato dell’attività delle società di calcio dalla dimensione sportiva alla dimensione finanziaria. Ciò comporta anche una sempre più spiccata propensione a utilizzare la leva della compravendita dei diritti economici dei calciatori e a generare plusvalenze di bilancio. Quest’ultimo aspetto è essenziale per mantenere in equilibrio i conti societari e renderli presentabili in sede di valutazione per ottenere le licenze nazionali e Uefa, ma sempre più spesso determina artifici contabili molto pericolosi.

L’individuazione della spettacolarizzazione e della finanziarizzazione come driver fondamentali dell’odierna economia calcistica fa da premessa all’illustrazione delle principali chiavi di lettura che possiamo adottare per leggere la trasformazione in corso. Di tali chiavi di lettura è possibile isolarne 7, la cui importanza e incidenza verranno esposte a seguire.

Centralità dei diritti televisivi – Il principale effetto della spettacolarizzazione si sostanzia nell’offerta di pacchetti multimediali di eventi sportivi, da mettere a disposizione del pubblico il più possibile vasto. L’accelerazione su questo fronte si è avuta col matrimonio di convenienza fra l pay tv e le leghe detentrici dei diritti televisivi sui tornei nazionali. L’apertura alla trasmissione in diretta delle gare di campionato ha allargato a dismisura la platea televisiva pagante e messo a disposizione del business calcistico una possibilità di guadagni smisurati. Ma questa pioggia di denaro ha provocato anche degli scompensi. Non tutti i sistemi calcistici nazionali sono stati capaci di patrimonializzare questa ricchezza, trasformandola anzi in ulteriore spesa e premessa di altro indebitamento. Inoltre, la presenza di una così munifica fonte di entrata ha portato sovente a fare troppo affidamento su essa, con l’effetto di lasciar deperire altre fonti di ricavo e strutturare una condizione di dipendenza da diritti televisivi. Le cifre pubblicate ogni anno dall’Uefa, relativamente alla struttura del business che si è affermata nelle cinque principali leghe continentali e in tutte le altre che le seguono per importanza agonistica e economica, fa emergere dati molto significativi per ciò che riguarda questa situazione di dipendenza televisiva. Il rapporto pubblicato nel 2020 (l’ultimo prima della pandemia, e che per questo motivo può ancora consentire di fare valutazioni credibili) riferiva di un 53% di ricavi derivati da diritti televisivi in Premier League, con la Serie A attestata sul 47% e la Liga spagnola sul 42%. Con riferimento alla Serie A spicca in particolare il fatto che gli incassi da botteghino incidano soltanto per il 12% sulla struttura del business. Ovviamente si tratta di un dato di media, che ingloba differenze anche molto elevate fra club calcistici in materia di presenze sugli spalti. E tuttavia non si può non rilevare che una percentuale così bassa prefiguri una situazione in cui le società della Serie A italiana possano, con uno sforzo minimo ricompensabile dagli sponsor, fare a meno del pubblico negli stadi che anzi è sovente percepito da molte fra esse come una fonte di costi.

La prospettiva della Superlega – Per il grande pubblico la questione della Superlega europea per club è stata una novità improvvisa della primavera 2021. Per gli analisti che hanno seguito la svolta in senso elitista del calcio europeo per club essa è invece un processo di lungo corso che affonda le radici nel periodo a cavallo fra i secoli Ventesimo e Ventunesimo. Il primo progetto di Superlega risale al 1999 e fu oggetto di una richiesta avanzata da un soggetto chiamato Media Partners alla Direzione Concorrenza della Commissione Europea, con l’intento di attaccare l’Uefa sul terreno del monopolio di organizzazione delle manifestazioni calcistiche per club. In quello stesso periodo si costituì una lobby dei club europei autonominati più ricchi e potenti d’Europa. Questa lobby era denominata G-14 e era composta dai seguenti club: Ajax, Barcellona, Bayern Monaco, Borussia Dortmund, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester United, Milan, Olympique Marsiglia, Paris Saint Germain, PSV Eindhoven, Porto e Real Madrid. Ai 14 soci fondatori se ne aggiunsero 4: Arsenal, Bayer Leverkusen, Olympique Lione e Valencia. Il G-14 era una Superlega potenziale e ha usato per anni la minaccia del torneo europeo d’élite per ottenere dall’Uefa un format della Champions League sempre più favorevole ai club maggiori nonché profondamente iniquo verso le federazioni nazionali di ranking non elevato. Nel 2008 il G-14 si è sciolto per confluire nell’European Club Association (ECA), un organismo riconosciuto dall’Uefa che su essa ha continuato a operare come strumento di pressione. Rimane incomprensibile l’accelerazione di aprile 2021, che fra l’altro ha registrato la defezione dei club tedeschi e francesi. La concezione della Superlega è quella del torneo d’élite che prevedendo un gruppo di soci fondatori dalla membership assicurata non riconosce il merito sportivo. A fondamento di questo esperimento i soci fondatori hanno accampato la giustificazione secondo cui il loro arricchimento sarebbe andato a beneficio del resto del movimento calcistico europeo, ciò che riproduce plasticamente la concezione della trickle-down theory.

Plusvalenze – Tecnicamente, nel calcio, la plusvalenza da cessione di diritti economici di calciatori è la differenza positiva tra il prezzo di cessione e il residuo valore dei diritti economici ceduti iscritto a bilancio. Con le plusvalenze da players trading si tocca una delle anomalie dell’economia calcistica, poiché in genere una plusvalenza (che deriva dalla cessione di asset) è utile atipico e invece nel calcio diventa un utile ordinario. Ma il profilo più rischioso nell’uso delle plusvalenze, che troviamo particolarmente utilizzato nel caso italiano, si ha con le plusvalenze incrociate. Che consistono nello scambiare calciatori per un valore pari nonché molto elevato rispetto a quello effettivo. Il risultato è quello di generare ampi attivi sia sul lato della cessione che su quello dei diritti economici dei calciatori, ma senza che vi sia flusso reale di denaro in cassa. Inoltre vengono stressati gli ammortamenti col rischio di vedere compromessa la continuità aziendale nel giro di 4-5 esercizi annuali. Nel 2018 il Chievo è stata la prima società di Serie A penalizzata a causa di plusvalenze incrociate. E la recente indagine aperta dalla Consob sulle plusvalenze della Juventus, società quotata in Borsa, ha dato la misura di quale peso stia assumendo tale fenomeno.

Third party ownership (TPO) – Ufficialmente questa formula è stata messa al bando dalla Fifa a partire dal 2015, ma secondo ciò che riferiscono molte fonti giornalistiche, specie quelle sudamericane essa è ancora largamente praticata. La proprietà di terze parti si realizza quando uno o più investitori esterni (banche, privati, fondi d’investimento, agenti di calciatori) comprano una quota dei diritti economici di un calciatore. Ciò significa che quando quel calciatore verrà trasferito da un club a un altro, l’investitore avrà diritto a incassare una quota della cifra di cessione pari alla percentuale dei diritti in suo possesso. Si tratta di un meccanismo che porta fuori dal mondo del calcio denaro prodotto dal mondo del calcio. Si presenta inoltre un grave problema etico riguardo al calciatore e alla sua trasformazione in un asset finanziario frazionabile.

Fair play finanziario – Si tratta di una delle più ambiziose invenzioni che il mondo del calcio abbia approntato nel passato recente. Voluto da Michel Platini al tempo in cui era presidente Uefa, il FPF prova a affermare il principio secondo cui ciascun club dovrebbe spendere nella misura di ciò che riesce a produrre, senza ricorrere eccessivamente all’indebitamento né beneficiare di esagerati versamenti a fondo perduto da parte degli azionisti. Si persegue dunque l’ambizione di creare un campo di gioco livellato, incentivando i comportamenti virtuosi sul piano economico-finanziario. Il sistema di sanzioni, che può arrivare all’esclusione dalle coppe europee, dovrebbe disincentivare la tendenza a violare i vincoli. Ma le rivelazioni giornalistiche relative ai casi di Paris Saint Germain e Manchester City hanno dimostrato che nei confronti di club molto ricchi non si è avuta la forza di usare l’inflessibilità espressa verso club di minore peso politico e economico. Inoltre, lo stesso sistema del FPF va ormai nella direzione di un ridimensionamento che lo renderà meno efficace.

Gli agenti – Contrariamente a quanto affermi la vulgata, non è affatto vero che oggi gli agenti siano un male del calcio. Essi svolgono un ruolo indispensabile, soprattutto per ciò che riguarda la gestione di carriera dei calciatori. C’è invece da preoccuparsi del ruolo svolto dai super-agenti, cioè coloro che sono capaci di accentrare su di sé talmente tante leve di potere da essere in grado di creare il mercato anziché intermendiarlo. Ma si deve anche guardare ai circuiti privilegiati che si strutturano fra alcuni agenti e alcuni club. Inoltre, spiccano i dati pubblicati dalla Figc relativamente alle commissioni pagate agli agenti durante l’anno solare 2020, quello in cui è esplosa la pandemia. Risulta che anche nel pieno della crisi da Covid i club professionistici italiani, dalla Serie A alla Serie C, hanno speso cifre molto impegnative. I denari per gli intermediari li si trova sempre.

Salary cap – Altro aspetto che non viene granché inficiato dalla crisi è la corsa al rialzo degli stipendi. Si tratta di un’altra arma messa a disposizione dei club più ricchi ma anche del principale motivo per cui il debito del calcio è esploso. Per trovare soluzione a questo problema è stata proposta l’adozione del salary cap, il tetto salariale. Che però risulta molto difficile da esportare, poiché nello sport professionistico nordamericano esso si trova calato in un sistema di pesi e contrappesi che non viene ricostituito altrove. Inoltre, l’esperienza insegna che si fa presto a aggirare un tetto salariale facendo ricorso a cessione dei diritti d’immagine o altri artifici del genere. Allo stato dei fatti, l’applicazione del salary cap al calcio, specie in ambito europeo, appare prospettiva abbastanza velleitaria.

L’analisi delle sette chiavi di lettura consente di vedere quale sia la complessità dell’economia calcistica e come essa viaggi lungo margini molto stretti e precari. La sofferenza complessiva del sistema, che nel corso del tempo perde pezzi della sua base perché non riescono a mantenersi entro criteri di economicità, si riflette nella corsa all’arricchimento dei più ricchi che però continuano a produrre debiti e alimentano una bolla speculativa di proporzioni enormi. Una lettura credibile, e non soltanto apocalittica, porta a vedere nell’esplosione della bolla speculativa il solo modo per vedere uscire l’economia calcistica da questa spirale di degrado incontrollabile. Il tempo dirà.

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