Le termiti di Stato: perché la complessità conduce alla disuguaglianza (seconda parte)

Vito Tanzi continua la sua riflessione sul rapporto tra Stato e mercato nella seconda parte dell’Introduzione al suo Termites of the State. Why Complexity Leads to Inequality. Nella prima parte, pubblicata sul precedente numero del Menabò, Tanzi ha mostrato come quel rapporto si sia evoluto, nelle visioni teoriche e nelle esperienze pratiche, dall’800 fino agli anni ’70 del secolo scorso; nella seconda egli esamina il periodo del “fondamentalismo di mercato”, mettendone in luce gli aspetti critici e le conseguenze anche per le disuguaglianze, e quello della Grande Recessione.

IV. Verso il fondamentalismo di mercato

Negli anni ’70, economisti conservatori, come Friedman, Hayek, Buchanan e altri, iniziarono ad attirare l’attenzione, conquistando un numero crescente di seguaci, verso la loro visioni anti-governativa e favorevole a una riduzione delle dimensioni dell’intervento pubblico. La Scuola di Chicago e la Scuola della Scelta Pubblica (School of Public Choice) divennero molto influenti e favorirono la diffusione di posizioni contrarie a aliquote fiscali elevate e al welfare, specialmente nei paesi in cui l’accesso ai servizi del welfare era basato sulla prova dei mezzi e l’imposizione fiscale prevedeva sia aliquote marginali elevate sia significative esenzioni personali. Importanti personaggi politici del tempo (Reagan, Thatcher e altri) giunsero a considerare lo stato un nemico del sistema capitalistico, o un Leviatano da controllare. Il consenso verso la “curva di Laffer”, l’ipotesi di “equivalenza ricardiana”, le “teorie sulle aspettative razionali” crebbe tra gli economisti accademici e in alcuni ambienti politici. Il vento politico iniziò a soffiare in direzione opposta a quello filo-governativo dei primi decenni del dopoguerra e si posero le condizioni per avviare, da parte dei governi conservatori, una rivoluzione pro- mercato e a favore delle politiche dal lato dell’offerta.  La rivoluzione dal lato dell’offerta, come viene generalmente chiamata, ha favorito l’elezione di politici molto conservatori in paesi importanti (Regno Unito, Stati Uniti e alcuni altri) e ha reso il fondamentalismo di mercato un’ideologia popolare. Da un certo punto di vista si potrebbe considerare questo un ritorno all’ideologia del laissez faire. Negli anni ’80 e ’90 molti si convinsero della capacità del mercato di risolvere un gran numero di problemi, purché fossero eliminati gli ostacoli posti dai governi sotto forma di imposte elevate e regolamentazioni.

Altrettanto importante è stato, forse, il fatto che agli esiti del mercato – in termini di produzione e distribuzione del reddito e valorizzazione delle attività economiche – è stata data una giustificazione quasi etica (cfr. M.J. Sandel, What Money Can’t Buy, Farrar, Straus and Giroux, 2012). Grazie a economisti come Gary Becker e altri, il raggio d’azione del mercato è cresciuto e sono stati soppiantati valori e norme comunitarie tradizionali. È stato sostenuto, e molti hanno iniziato a crederci, che il mercato “ha sempre ragione” e perciò non deve essere messo in discussione. Nel tempo, questo atteggiamento ha portato a giustificare redditi oscenamente alti per alcuni e una drastica riduzione delle aliquote marginali d’imposta.

Si è poi avuto un periodo di privatizzazioni in molti settori (pensioni, scuole, carceri, infrastrutture, guerre e persino nelle risoluzioni di controversie tra dipendenti e imprese). Negli anni ’80 e ’90 i sistemi fiscali sono stati oggetto di importanti cambiamenti: drastica riduzione delle aliquote marginali, modifica dell’architettura dell’imposta sul reddito, trattamento preferenziale dei redditi dai capitale e altri ancora. In settori importanti (come il mercato finanziario e il mercato del lavoro) sono state introdotte nuove regole e i sindacati hanno perso gran parte della loro capacità di bilanciare il potere delle imprese. I sostenitori della rivoluzione dal lato dell’offerta si attendevano miracoli da queste trasformazioni: maggiore efficienza e più elevata crescita economica, senza perdita di equità nella distribuzione del reddito. Gli effetti del “capovolgimento” avrebbero assicurato vantaggi per tutti. Sfortunatamente, queste previsioni si sono rivelate sbagliate. La crescita non è aumentata in modo significativo e quella che c’è stata non ha portato benefici a un gran numero di lavoratori. La distribuzione del reddito in molti paesi, e specialmente negli Stati Uniti, è diventata molto meno uniforme. L’atteso effetto trickle-down, secondo il quale la prosperità dei ricchi si diffonderebbe agli strati più poveri della popolazione, aumentando le retribuzioni medie dei lavoratori, non si è verificato.

La rivoluzione dal lato dell’offerta è giunta in un momento in cui sia le attività dei mercati che quelle dei governi (compresa la gestione dei programmi sociali e la redazione di leggi e regolamenti) stavano diventando più complesse. Individui abili, ma a volte privi di scrupoli, e lobbisti ne hanno approfittato, sfruttando questa complessità a proprio vantaggio. Il fatto che alcuni settori fossero stati de-regolamentati, o che i regolamenti vigenti potessero essere reinterpretati più facilmente, ha creato margini sempre più ampi all’estrazione di rendite, e alcuni individui e alcune imprese ne hanno approfittato. In questo l’ambiente sono nate la crisi finanziaria del 2008 e la Grande Recessione, e un numero crescente di osservatori è giunto a definire il sistema capitalistico come “clientelare” e a paragonarlo a un “casinò” (cfr. H.-W. Sinn, Casino Capitalism, Oxford University Press, 2010).

 Con il passare del tempo, grazie al progresso tecnologico e alla globalizzazione, il mercato è profondamente cambiato, assomigliando sempre meno a quello descritto e idealizzato da Hayek e dalla Scuola Austriaca, da Friedman e dalla Scuola di Chicago. Sono aumentati i casi che George Akerlof, nel 1970, aveva esaminato nel suo mercato dei “bidoni”.  La presenza, in molti scambi, di “bidoni” (cioè di asimmetrie informative tra venditori e acquirenti) è aumentata notevolmente nel corso degli ultimi anni, facendo sì che, alcuni o molti degli scambi di mercato, non siano più fonte di maggior benessere, come ipotizzato da Hayek e Friedman. L’importanza di settori economici in cui è maggiore la portata delle asimmetrie informative è cresciuta in termini assoluti e in percentuale del PIL. E’ il caso, tra gli altri, della finanza, diventata complessa e globale; delle assicurazioni; della sanità; della manutenzione di case e automobili; della fornitura di servizi vari, compresi il turismo e i servizi legali; dello scambio internazionale di merci.  Molti prodotti e servizi sono diventati troppo complessi per essere facilmente compresi dalla maggior parte dei consumatori e molti prodotti (compresa la quota crescente di “falsi” sul mercato) non vengono acquistati da fornitori vicini, noti agli acquirenti, come avveniva in passato, quando le attività economiche erano per lo più locali, e gli scambi avvenivano in condizioni di prossimità fisica. Molti dei prodotti consumati nelle moderne economie globalizzate sono importati da luoghi lontani e sono realizzati da produttori sconosciuti. L’asimmetria informativa ha ridotto i benefici ex post attesi dagli scambi di mercato; mentre, è diventato più difficile conoscere ex ante con precisione il valore reale di ciò che si acquista. Un esempio è quello delle transazioni finanziarie che hanno portato alla “crisi dei subprime”: le condizioni del contratto sono scritte con caratteri sempre più piccoli e in linguaggio “legalese”, che solo pochi leggono e capiscono.  L’asimmetria informativa ha colpito anche molte attività del settore pubblico, compresa la stesura di leggi e regolamenti e la loro interpretazione. Le nuove leggi spesso occupano migliaia di pagine e, a causa della loro lunghezza, spesso vengono approvate senza che i legislatori e i responsabili dell’attuazione delle diverse politiche le abbiano lette. La conseguenza è che è più facile per quelle che potremmo chiamare termiti (come il lavoro delle lobby) penetrare nella scrittura delle leggi e dei regolamenti e/o nelle loro interpretazioni. Le leggi sono cresciute di numero (in molti paesi sono svariate migliaia) e di complessità. Questo sviluppo ha creato una giungla legale che è quasi impenetrabile per la maggior parte dei cittadini, ma che può essere facilmente sfruttata dagli abili rappresentanti di interessi speciali.Il risultato è una forma meno trasparente di mercantilismo: individui privilegiati o abili che beneficiano direttamente di alcune attività di governo.Negli anni ’80 e ’90 le aliquote marginali sono state drasticamente ridotte a vantaggio dei percettori di redditi elevati, proprio mentre questi redditi (in particolare quelli dell’1% più ricco) stavano crescendo sensibilmente, trasformandosi, in alcuni casi, in vere e proprie “rendite di posizione”, cioè redditi, almeno in parte, non guadagnati con merito o sforzi aggiuntivi. Ciò ha contribuito al diffondersi di uno scetticismo crescente verso l’etica del mercato.

L’arrivo della tempesta perfetta

Nei decenni successivi agli anni ’70 si è verificata quella che potremmo definire una tempesta perfetta; una tempesta che, in molti paesi e soprattutto negli Stati Uniti, ha portato a distribuzioni di reddito così diseguali, come non si vedevano dagli anni ’20. La quota di reddito totale percepita dall’1% o anche dallo 0,1 % più ricco è aumentata drammaticamente, mentre i redditi medi dei lavoratori ristagnavano. I percettori di redditi elevatissimi si sono appropriati di gran parte della crescita del reddito nazionale, senza alcun effetto trickle-down. Nelle tempeste perfette molti elementi si combinano in maniera inaspettata, aumentandone il potere distruttivo. Elenco senza approfondimenti alcuni di questi elementi, che spesso si collegano al fondamentalismo di mercato che ha ispirato gli anni ’80 e ’90. Il primo elemento della tempesta è l’espansione del concetto di proprietà intellettuale protetta dal governo. Nel corso degli anni, gli sviluppi tecnologici e le politiche pubbliche hanno creato la possibilità (per alcuni detentori di proprietà intellettuale) di estrarre rendite crescenti da quelli che erano, di fatto, monopoli non regolamentati, a volte molto redditizi. In molti casi, con uno sforzo individuale che in passato avrebbe procurato un reddito modesto è diventato possibile guadagnare redditi molto elevati. Il cambiamento si deve all’introduzione di politiche governative di protezione dei diritti di proprietà intellettuale del singolo e dei monopoli (temporanei) che ne seguono.. I detentori della proprietà intellettuale hanno potuto vendere frutti del loro ingegno (spesso ampiamente finanziati dallo stato) a un numero enorme di acquirenti nel mondo.

Il secondo elemento della tempesta è il punto di vista, sostenuto da alcuni economisti negli anni ’70 e ’80, secondo cui gli incentivi finanziari possono avere un grande impatto sulle prestazioni e sulla produttività di specifici individui, in particolare dei manager. E’ stata così giustificata la richiesta e la concessione di enormi bonus e di lauti compensi a amministratori delegati e alti dirigenti, incoraggiando allo stesso tempo la compressione dei redditi dei lavoratori normali. Per questi ultimi, gli incentivi non sono stati considerati importanti.

Il primo premio Nobel per l’economia, Ian Tinbergen auspicava che il compenso medio dei dirigenti fosse cinque volte più elevato del salario medio dei lavoratori; successivamente il famoso esperto di organizzazione aziendale, Peter Drucker si espresse a favore di un rapporto di 20 volte, oggi siamo oltre le 500 volte. Non c’è più alcun imbarazzo da parte dei dirigenti nel chiedere e ottenere compensi che in alcuni casi sono cento volte più elevati di quelli del presidente degli Stati Uniti. Inoltre, alcuni hanno ottenuto questi compensi anche quando le prestazioni delle imprese da loro gestite sono risultate tutt’altro che brillanti. Se il mercato ha sempre ragione e se il suo esito non deve essere messo in discussione, come accennato in precedenza, questi compensi possono essere giustificati.

Il terzo elemento della tempesta perfetta è stato il cambiamento nei sistemi fiscali, In molti paesi, negli anni ’80 e ’90 le aliquote marginali sui redditi più elevati sono state drasticamente ridotte, le imposte sul reddito da capitale sono diminuite e la complessità crescente dei sistemi fiscali, combinata con gli effetti della globalizzazione, ha fatto il resto, dando agli individui con un patrimonio netto elevato (HNWI) e alle società, nuove opportunità per eludere le imposte. Gli HNWI hanno beneficiato enormemente di questi cambiamenti. Altri fattori, ad esempio la deregolamentazione e l’indebolimento dei sindacati, hanno contribuito a cambiare il panorama sociale ed economico negli ultimi tre decenni. L’ultima, conclusiva domanda che dobbiamo porci è se un’economia di mercato fondata sulla democrazia possa sopravvivere in società nelle quali la distribuzione del reddito è fortemente sperequata e si è affermata  una nuova classe di privilegiati che credono di essere diversi dagli altri. La situazione mondiale prima della Grande Depressione non era diversa; non a caso nel 1926, J. M. Keynes scriveva che occorreva dotarsi di nuove conoscenze per affrontare la grave situazione. E nuove conoscenze sono quanto mai necessarie anche in questa fase storica. Senza di esse, il mondo rischia di muovere verso direzioni impreviste e non necessariamente desiderabili.

* Pubblichiamo la seconda parte dell’Introduzione al volume di V. Tanzi, Termites of the State. Why Comlexity leads to Inequality, Cambridge University Press, 2018, tradotta e leggermente adattata dall’originale inglese. La prima parte è pubblicata sul n. 84 del Menabò.

Schede e storico autori