Le super-retribuzioni dei manager: quali meriti? cosa fare? Il caso del Regno Unito

Luke Hildyard esamina i problemi posti dalle super-retribuzioni dei manager riferendosi in modo specifico al Regno Unito. Hildyard ricorda la forte crescita di quelle retribuzioni negli ultimi decenni, sostiene che essa non è giustificata da corrispondenti performance positive delle imprese, mostra quale impatto sulle disuguaglianze potrebbe avere il contenimento di quelle super-retribuzioni ed elenca alcune possibili misure di contrasto sostenendo che è urgente intervenire anche per frenare il forte malumore sociale che può avere influenzato anche la Brexit.

Nel Regno Unito, il diffuso risentimento nei confronti delle altissime retribuzioni dei manager si basa su due sensazioni. La prima è che, nel corso degli ultimi decenni, esse siano cresciute molto di più di quelle dei lavoratori. La seconda è che il miglioramento delle performance aziendali non possa giustificare la crescita, spesso stratosferica, di quelle retribuzioni.

Entrambe le sensazioni sono sostanzialmente corrette. La retribuzione media degli amministratori delegati delle 100 imprese più capitalizzate nella Borsa di Londra (FTSE 100) nel 2002 era pari a circa 70 volte quella del loro dipendente medio, 15 anni dopo, nel 2017, quel rapporto era salito a circa 140.

Uno studio commissionato a Incomes Data Services dall’High Pay Center ha rilevato che ciascuna delle componenti della tipica retribuzione dei dirigenti è cresciuta molto di più delle varie performance aziendali, misurate in base alle metriche utilizzate nella maggior parte dei contratti relativi alle retribuzioni dei manager.

I risultati a cui giunge un centro di ricerca indipendente sono confermati da indagini condotte dal governo e da organi imprenditoriali. Ad esempio, un gruppo di lavoro promosso dalla Investment Association, l’ente che rappresenta il settore dell’asset management, ha concluso che

“L’aumento delle retribuzione dei manager negli ultimi 15 anni non è stato in linea con la performance di borsa nello stesso periodo” (Investment Association, Executive Remuneration Working Group Final Report, 2016)

Tutto ciò trova conferma nelle figura 1, tratta dal “Libro verde” sulla riforma della governance aziendale curato dal Department of Business, Energy and Industrial Strategy, che mostra in che misura la crescita delle retribuzioni degli amministratori delegati delle FTSE 100 abbia superato quella del corrispondente indice di borsa.

 

Figura 1: Le retribuzioni degli amministratori delegati e il valore di borsa di FTSE 100

Poiché le aziende rendono note con ritardo le retribuzioni dei loro manager i dati più recenti possono riferirsi alla situazione in essere un paio di anni prima. Tuttavia, non vi sono ragioni per pensare che la tendenza verso retribuzioni sempre crescenti abbia rallentato o si sia addirittura invertita. L’High Pay Center e il Chartered Institute for Personnel and Development (in un documento di prossima pubblicazione) esaminando i rapporti annuali sulle pratiche retributive delle società, hanno osservato che nel 2017 la retribuzione media degli amministratori delegati delle FTSE 100 è aumentata del 24% rispetto all’anno precedente, mentre la mediana (che è meno facilmente influenzata dall’eventuale aumento delle poco numerose, già elevate retribuzioni) è cresciuta del 16%.

Le super-retribuzioni: alcuni miti. Gli argomenti utilizzati per giustificare le super-retribuzioni di solito si basano sull’importanza delle decisioni prese dagli amministratori delegati per le performance delle loro imprese ed in particolare sulla tesi che l’effetto (positivo e negativo) di quelle decisioni sul valore di borsa dell’impresa può ampiamente giustificare le super-retribuzioni. Si assume, inoltre, che le imprese paghino il minimo necessario per attrarre e trattenere i manager che sono in grado di prendere le migliori decisioni e che competono tra loro in un mercato globale.

In realtà, le prove dell’esistenza di questo “mercato globale” scarseggiano. Da uno studio dell’High Pay Center (Global CEO appointments: a very domestic issue, 2013) è emerso che meno dell’1% delle più grandi imprese mondiali aveva “sottratto” il proprio CEO ad un rivale internazionale. La retribuzione dell’amministratore delegato è notoriamente alta negli Stati Uniti, ma è raro che un manager di primo piano nel Regno Unito venga richiesto da un’impresa statunitense. La pressione per attrarre e trattenere il presunto talento raro è molto più bassa di quanto normalmente si assume.

Inoltre, anche nel caso in cui gli sforzi per limitare le retribuzioni degli amministratori delegati britannici si risolvessero nel passaggio a un rivale internazionale, le conseguenze della loro fuoriuscita sono tutt’altro che certe. Anche prescindendo dal fatto che i dati della Figura 1 sembrano suggerire che gli amministratori delegati del Regno Unito hanno contribuito poco alla crescita del valore delle loro imprese, l’idea che essi siano determinanti per il successo delle imprese è fortemente contestata, in particolare dalle imprese da più lungo tempo presenti sul mercato borsistico. Ad esempio, l’imprenditore e investitore Luke Johnson, ha affermato:

“È un mito che un uomo (e normalmente si tratta di un uomo) sia responsabile di una quota significativa della migliore performance di una grande società per azioni e con una lunga storia… Molto spesso, sui risultati incidono di più altri fattori: l’andamento favorevole dell’economia, o dello specifico mercato in cui opera la società, la forza del marchio delle imprese, le difficoltà di varia natura dei loro concorrenti, i risultati innovativi ottenuti dalla divisione Ricerca e Sviluppo, e così via” (High Pay Centre, Made to measure: How opinion about executive performance becomes fact, 2015, p. 9)

Analogamente, l’importante uomo d’affari Philip Hampton nota che l’impatto dei dirigenti è meno pronunciato in imprese più complesse, con una maggiore capitalizzazione di borsa, una maggiore internazionalizzazione e una forza lavoro più ampia: “Più è grande il sistema, più conta il sistema, non la persona che lo governa.” (Ibid. p. 10).

In breve, l’importanza attribuita ai manager appare notevolmente esagerata e non sembra in grado di giustificare la crescita delle loro retribuzioni.

Le retribuzioni dei manager e le disuguaglianze. Se il prezzo di un qualsiasi prodotto o servizio crescesse nella misura (e per il tempo) in cui sono cresciute le retribuzioni dei manager, un attento osservatore della realtà si preoccuperebbe. E, nel nostro caso, supporrebbe che si sia verificato un fallimento della governance con implicazioni per la disuguaglianza e per gli standard di vita dei percettori di reddito medio-basso.

L’economista Thomas Piketty nota che sebbene retribuzioni delle star dello sport o dello spettacolo siano spesso oggetto di speculazioni e commenti sui media, il loro impatto sulla disuguaglianza sociale è limitato. Infatti, nella maggior parte delle economie avanzate, nel gruppo dello 0,1% o 1% più ricco sono molto presenti quelli che Piketty chiama “super manager”: amministratori di società, banchieri, specialisti di servizi professionali e finanziari. I loro redditi rappresentano il 60% -70% dei redditi complessivi dello 0,1% più ricco mentre la corrispondente quota di atleti, attori o artisti è dell’ordine del 5%.

Nel Regno Unito, la percentuale dei redditi totali che va all’1% più ricco è, secondo i dati più recenti del database World Inequality, del 14% circa; alla fine degli anni ’70 era attorno al 6% . La quota dello 0,1% più ricco è passata dal 3% al 6% tra il 1990 e oggi.

 

Figura 2: Tendenze della quota di reddito dell’1% e dello 0,1% più ricco, Regno Unito

Il crescente interesse per gli effetti sociali della disuguaglianza fa prevedere che il tema delle super-retribuzioni probabilmente diventerà sempre più importante nel dibattito pubblico. Vari studi sono giunti alla conclusione che società più disuguali hanno probabilità maggiori di avere tassi di criminalità più elevati, salute pubblica più povera e livelli di fiducia più bassi.

Tuttavia, anche coloro che sono disinteressati alle possibili conseguenze negative della disuguaglianza dovrebbero essere preoccupati per l’impatto che essa potrebbe avere su coloro che si trovano nella parte media e bassa della distribuzione dei redditi.

Nel 2014 l’High Pay Center ha esaminato i redditi totali del Regno Unito (circa 1 trilione di sterline a quell’epoca) e ha calcolato gli effetti di una più equa ripartizione dei quei redditi tra l’1% più ricco – che allora godeva del 13% del reddito totale – e il restante 99% della popolazione. Se la quota dell’1% più ricco fosse ridotta dal 13% al 6% – che è la quota che l’1% più ricco riceve oggi in paesi come la Danimarca e i Paesi Bassi ed è quella che riceveva nel Regno Unito alla fine degli anni ’70 – si “libererebbero” 70 miliardi di sterline che, distribuite uniformemente sul restante 99% della popolazione, permetterebbero a ciascun nucleo familiare di disporre di circa 3.000 sterline di reddito in più all’anno.

Naturalmente, il calcolo è puramente ipotetico. Per avere oggi una distribuzione del reddito più uniforme, il Regno Unito avrebbe dovuto intraprendere politiche economiche diverse già molti anni fa. Malgrado le diffuse opinioni contrarie, non vi è alcuna certezza che tali politiche avrebbero avuto l’effetto di ridurre i redditi totali (cioè la crescita economica). Molte economie che hanno una disuguaglianza minore di quella del Regno Unito sono anche più prospere. L’OCSE ha stimato nel 2014 che l’eccessiva disuguaglianza avesse ridotto, tra il 1990 e il 2010, la crescita del PIL pro capite nel Regno Unito di quasi il 10% (OECD, Focus on Inequality and Growth, 2014).

Pertanto, sembra altamente probabile che misure dirette a impedire che i super-redditi crescessero così vertiginosamente avrebbero accresciuto i redditi di chi si trova a metà o nella parte bassa della distribuzione, senza una sostanziale diminuzione dei redditi totali. In questo senso, la cifra di 3.000 sterline per famiglia, di cui si è detto, rappresenta – più che un calcolo preciso della somma che il 99% perde ogni anno – un utile riferimento per comprendere come potrebbero aumentare gli standard di vita nel Regno Unito se si riducesse la disuguaglianza .

Come limitare le super-retribuzioni? Il ruolo della pre-distribuzione. In queste note ho sostenuto che la retribuzioni più alte sono aumentate in modo ingiustificato e sproporzionato negli ultimi anni. A sua volta, questo aumento ha spinto verso l’alto la quota di reddito appropriata dai più ricchi, con conseguente riduzione degli standard di vita di coloro che si trovano in basso e nel mezzo.

Ne consegue che i responsabili politici dovrebbero introdurre misure per ridurre le super-retribuzioni e per realizzare una distribuzione più equa del reddito. Al riguardo sono state avanzate diverse proposte, anche nel Regno Unito e da parte di vari soggetti. Ecco un breve elenco:

  • Il partito laburista ha proposto che le clausole di “rapporto massimo tra le retribuzioni” (dei manager e del lavoratore medio, nelle imprese concorrenti) dovrebbero essere inserite negli appalti pubblici e nei contratti di outsourcing di servizio pubblico.
  • L’High Pay Center ha sostenuto che i rappresentanti dei lavoratori dovrebbero sedere nei consigli di amministrazione e nei comitati per le retribuzioni delle imprese, in modo da dare ai lavoratori a basso reddito voce nelle sedi in cui si discute delle retribuzioni.
  • Il Trades Union Congress ha chiesto che siano riviste le norme del diritto societario relative alle responsabilità degli amministratori in modo che diventi obbligatorio perseguire obiettivi di lungo termine avendo riguardo per gli interessi di tutte le parti interessate, senza privilegiare gli azionisti rispetto ai lavoratori, ai fornitori o alla più ampia società civile.

I responsabili delle politiche e gli imprenditori che possono incidere sulle disparità retributive potranno valutare i meriti di queste e di altre proposte di policy. Dovrebbero, però, farlo nella piena consapevolezza di quale sia il sentimento (o risentimento) pubblico su questo tema.

Secondo vari sondaggi condotti negli ultimi anni, i due terzi degli intervistati pensano che non sia appropriato che gli amministratori delegati siano pagati oltre 1 milione di sterline e solo il 7% ha un’opinione radicalmente diversa (BBC News, Public want top pay reining in, 29 January 2012). Inoltre, l’80% degli intervistati ritiene che i divari di reddito siano troppo ampi e dovrebbero essere ridotti (Inequality Briefing, Briefing 46: Most people think that differences between high and low earners are unfair, 2015). E, ancora, il 57% è a favore della proposta di limitare la retribuzione dei dirigenti a 20 volte quella del lavoratore meno pagato, mentre il 30% ha un’opinione contraria (Independent, Majority of public support Jeremy Corbyn’s plans to cap bosses’ salaries, poll suggests, 14 January 2017).

Dominic Cummings, il capo-stratega della campagna a favore del Brexit, ha affermato che la rabbia verso le super-retribuzioni e la sfiducia nei confronti dei dirigenti d’azienda è emersa di frequente nei loro focus group:

“Più e più volte fuori Londra molti si sono lamentati del fatto che mentre loro si stavano a malapena riprendendo da questa recessione ‘i politici, i banchieri e gli uomini d’affari di Londra continuano a rastrellare danaro e noi sciocchi lavoratori con ritenuta alla fonte paghiamo i salvataggi bancari. Ci dicono che dobbiamo sopportare lo schifo dell’UE altrimenti saremo disoccupati, ma non me la bevo, non credo a chi ha sbagliato tutto’…” (Spectator, Dominic Cummings: How the Brexit Referendum was won, 17 January 2017).

Queste parole dovrebbero servire a ricordare che se i partiti di centro-destra o centro-sinistra non riescono ad affrontare in questo contesto di governo il problema degli aumenti ingiustificabili delle super-retribuzioni, allora gli elettori guarderanno a nuovi partiti e a nuovi contesti che fanno sperare di affrontarli.

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