Le sanzioni ‘mirate’ contro i russi: che dire?

Maurizio Franzini avanza qualche riflessione sul complesso problema delle sanzioni economiche contro la Russia soffermandosi in particolare su quelle imposte a singole imprese e singoli individui, non tutti oligarchi. Dopo aver esaminato le idee più frequenti su obiettivi e efficacia di queste sanzioni e avere ricordato che esse possono sollevare delicati problemi giuridici, Franzini esamina gli argomenti specifici utilizzati dall’UE per motivare l’imposizione di sanzioni individuali e ne sottolinea gli aspetti problematici.

Correva l’anno 432 a.C. quando Pericle emanò il decreto che è considerato il primo esempio storico di sanzioni economiche contro un’altra giurisdizione in tempo di pace. Quel decreto era diretto a colpire Megara, distante soltanto 50 chilometri da Atene, che rientrava nella sfera di influenza di Sparta. Il decreto impediva agli abitanti e ai commercianti di Megara di accedere al mercato ateniese.

La sensazione, apparentemente piuttosto diffusa, che le sanzioni economiche in tempo di pace siano una novità relativamente recente non è, quindi, fondata. Le loro origini sono antiche come assai antichi sono sia i dubbi sulla loro efficacia (qualunque sia il senso in cui viene interpretato questo termine) sia l’incertezza sulle reali motivazioni che spingono ad adottarle. Cosa Pericle si proponesse di ottenere con il decreto di Megara – mi arrischio a dire con la mia incompetenza di storico – non sembra essere del tutto chiaro e, come cercherò di sostenere in queste note, lo stesso sembra potersi dire delle sanzioni di cui oggi quotidianamente si parla a proposito della tragica situazione ucraina.

Il numero di sanzioni imposte dopo il 24 febbraio dall’Occidente (Usa, UE, UK e Canada, soprattutto) nei confronti della Russia è impressionante e alcune di esse (in particolare il sequestro delle riserve estere della Russia – una misura, peraltro, applicata in passato dagli USA a molti altri paesi) sono considerate di un’efficacia potenzialmente devastante, al punto che si è parlato di ‘opzione nucleare’. Va però ricordato che prima della guerra Ucraina il ricorso alle sanzioni economiche aveva conosciuto un trend crescente, in particolare risulta che vi sia stata una notevole accelerazione nel corso degli ultimi dieci anni, dietro l’impulso delle sanzioni applicate soprattutto dagli Stati Uniti all’Iran e alla stessa Russia, in seguito all’invasione della Crimea del 2014.

In quel periodo è cresciuto il ricorso a sanzioni contro i singoli (chiamate anche smart) dunque non dirette a colpire, se non eventualmente in modo indiretto, l’economia di un paese. I terroristi e i trafficanti di droga sono stati i principali, ma non esclusivi, destinatari di queste sanzioni, frutto anche di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Le sanzioni contro gli individui pongono, in generale, rilevanti problemi giuridici soprattutto perché vengono adottate al di fuori di un formale procedimento penale, nei quali non ho la competenza per entrare.

Ma il punto che qui interessa è quello degli obiettivi che si intendono raggiungere con queste sanzioni e la loro efficacia nel permetterne il raggiungimento. Su entrambe le questioni sembra esservi una discreta confusione.

La percezione più diffusa è, probabilmente, questa: si colpiscono gli oligarchi russi perchè utilizzino il potere che hanno nei confronti di Putin allo scopo di indurlo a porre termine alla Guerra di Ucraina.

Ricordiamo brevemente chi sarebbero gli oligarchi russi. Su Wikipedia si legge che sono: “ magnati degli affari delle ex repubbliche sovietiche che hanno rapidamente accumulato eccezionali ricchezze durante l’era della privatizzazione russa in seguito allo scioglimento dell’Unione Sovietica negli anni ’90”. In margine a questa definizione (che tra l’altro ci ricorda che gli oligarchi non sono soltanto russi ma anche di altre repubbliche ex-sovietiche) si può osservare che il processo di concentrazione della ricchezza verificatosi con il crollo dell’URSS non ha precedenti storici per rapidità e intensità. Comparabile è, forse, solo quello che di lì a poco avrebbe avuto luogo in Cina.

Ma, tornando alla questione degli obiettivi e dell’efficacia delle sanzioni, la percezione di cui si è detto si basa sostanzialmente sui seguenti presupposti: a) le sanzioni servono a colpire nelle loro ricchezze gli oligarchi russi, che a questo colpo reagiranno; b) la loro reazione consisterà (anche) nell’usare il potere di cui dispongono nei confronti di Putin per indurlo a recedere dai suoi devastanti propositi. Entrambi i presupposti pongono qualche problema. Il presupposto a) non tiene adeguatamente conto della difficoltà a colpire (con la necessaria severità) gli oligarchi per la possibilità che hanno di ‘aggirare’ le sanzioni e forse anche per il costo elevato che deve sopportare chi vuole infliggere sanzioni sufficientemente severe. Ma è il presupposto b) il più debole.

Stando alle dichiarazioni di coloro che meglio conoscono le logiche del sistema putiniano, il potere a Mosca è one-way: esercitato da Putin e subìto dagli oligarchi (e da tanti altri). In modo quasi accorato, sotto il peso delle sanzioni che gli sono state inflitte, lo dice uno dei più ricchi oligarchi russi, Fridman: ‘chi pensa che io abbia il potere di influenzare Putin nulla conosce del funzionamento di quel sistema’. E lo dice anche Angus Roxburgh che è stato corrispondente da Mosca della BBC e consulente del Cremlino. Roxburgh sostiene che una maggiore capacità di influenza su Putin l’avrebbe quella che egli chiama l’élite politica (Membri della Duma, vertici dei servizi di sicurezza, impiegati della televisione di stato) composta da qualche migliaio di persone che, volendo, potrebbero essere sottoposte a sanzioni perché, ad esempio, amano viaggiare in Occidente, iscrivono i loro figli alle Università americane e passano vacanze lussuose in Europa.

Vi sono, quindi, diversi dubbi sulla della correttezza della percezione prevalente e qualche fatto sembra rafforzarli: sanzioni smart contro gli oligarchi russi sono state introdotte dopo l’invasione della Crimea nel 2014 e il loro esito non è stato certo quello di fermare l’invasione. Al contrario qualcuno potrebbe pensare che esse abbiano favorito i drammatici sviluppi di questi ultimi tempi.

La debolezza del secondo presupposto potrebbe, però, non essere sufficiente per considerare del tutto inutili le sanzioni contro gli oligarchi. Si potrebbe, infatti, ritenere ‘meritorio’ di per sé il tentativo di colpire le loro ricchezze dunque di attaccare cleptocrazia e crony capitalism e, semmai, lamentare che misure simili non vengano adottate in altre regioni del globo, Occidente stesso in primis.

Questa posizione trapela di frequente e lo fa in modo particolarmente chiaro in un recente articolo di Varoufakis. L’idea centrale è che gli oligarchi (cioè, si potrebbe dire, i co-protagonisti principali del crony capitalism) non siano soltanto russi né soltanto ex-sovietici. Sono anche occidentali, arricchiti grazie a varie forme di vicinanza con il potere non così evidenti come quelle prevalenti all’epoca delle privatizzazioni di Yeltsin nella decaduta Unione Sovietica ma non per questo accettabili. Sono le forme della corruzione, del condizionamento degli esiti elettorali e di altro ancora. Avendo adottato questa prospettiva, Varoufakis sostanzialmente rileva che l’Occidente peccherebbe di incoerenza se non intervenisse contro gli oligarchi di casa sua e conclude con l’augurio che la tragedia ucraina abbia almeno l’effetto positivo di spingere l’Occidente stesso a combattere il crony capitalism.

Possiamo chiederci quanto peso abbiano argomentazioni come quelle sin qui viste sulle decisioni effettivamente assunte dalle autorità occidentali. Un modo per farlo, certamente non conclusivo, è leggere le Gazzette Ufficiali della UE sulle quali sono comparsi gli elenchi degli individui e delle imprese russe sottoposte a sanzione dall’UE con le relative motivazioni.

Ho esaminato la Gazzetta del 15 marzo scorso nella quale si elencano 24 tra individui e società sanzionati. Si tratta di ‘persone fisiche o guridiche, entità e organismi’ che vanno a ingrossare l’elenco contenuto nell’allegato 1 al Regolamento (UE) N. 269/2014 del Consiglio concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, emanato a marzo 2014, dopo l’invasione della Crimea.

Anzitutto si chiarisce che con la sanzione: ‘sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, posseduti, detenuti o controllati, direttamente o indirettamente’ dai destinatari della sanzione e si stabilisce anche che è “vietato mettere, direttamente o indirettamente, fondi o risorse economiche a disposizione” di quegli stessi soggetti. In questo sostanzialmente consiste il ‘seize and freeze’ che è naturalmente diverso dalla confisca.

Inoltre è di interesse che dei 24 soggetti solo 4 sono etichettati esplicitamente come oligarchi. Più numerose sono le imprese in quanto tali (9) e gli amministratori delegati o comunque soggetti con responsabilità di imprese ma non qualificati come oligarchi (7), ci sono anche due ‘pubblicisti o propagandisti’, una donna proprietaria di impresa e un esperto di comunicazione. Questa varietà rende difficile parlare genericamente di sanzioni agli oligarchi e fa sorgere diverse domande in merito al presupposto b) di cui sopra. Che potere hanno costoro nei confronti di Putin? Qualcuno di loro potrebbe essere parte di quella influente élite politica cui faceva riferimento Roxburgh e per questo motivo è stato incluso nell’elenco?

La cosa più interessante – che potrebbe aiutare anche a rispondere a questa domanda – riguarda però le motivazioni che sostengono le sanzioni. Nel caso di oligarchi e imprenditori quella ricorrente è che si tratta di “imprenditori russi di spicco attivi in settori economici che costituiscono una notevole fonte di reddito per il governo della Federazione russa, responsabile dell’annessione della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina”(la sottolineatura è mia).

Un’altra motivazione ricorrente (anche in combinazione con la precedente) è questa: “Trae vantaggio dai decisori russi responsabili dell’annessione della Crimea o della destabilizzazione dell’Ucraina, nonché del governo della Federazione russa, responsabile dell’annessione della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina”. Nel caso dei propagandisti si fa, invece, riferimento al fatto che essi sostengono “attivamente azioni o politiche che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina nonché la stabilità e la sicurezza in Ucraina”.

 Per le imprese, la formula è leggermente diversa e si parla della responsabilità “di fornire un sostegno materiale e finanziario ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina nonché la stabilità e la sicurezza in Ucraina”.

Sembra, dunque, di poter dire che, prese al loro valore facciale, queste motivazioni non lascino trapelare alcuna attenzione per la possibilità che i sanzionati condizionino le decisioni di Putin e magari siano stati selezionati per questo. Sulla guerra potrebbero avere influenza soltanto le sanzioni contro le imprese che forniscono sostegno materiale e finanziario all’azione bellica.

Nelle motivazioni non sembra, inoltre, avere alcun rilievo l’obiettivo di punire il crony capitalism – che peraltro richiederebbe un’abiura dei comportamenti adottati in occidente quando si sono stesi tappeti ‘russi’ ai crony capitalist perché arrivassero dalle nostre parti e ci affidassero i loro miliardi, spesso aggiungendo l’offerta speciale di passaporti a prezzi di liquidazione e concessi su consigli di impresa legali private.

 Colpisce, invece, la filosofia che sembra sottostare alla frase che ho sottolineato: alcuni di questi soggetti sono responsabili di aver di fatto finanziato il governo russo e – può desumersi – le sue azioni criminali. Particolarmente esplicita e alquanto sconcertante è la motivazione della sanzione contro l’oligarca Rashnikov, proprietario della società Magnitogorsk Iron & Steel Works: “perché è uno dei principali contribuenti della Russia” e inoltre “il carico fiscale gravante sulla società è aumentato di recente incrementando notevolmente le entrate per il bilancio dello stato russo.” Si sta dicendo che il ‘reato’ è aver pagato molte tasse? Spero che ci sia una diversa e migliore spiegazione che, però, a me sfugge.

In conclusione, tra percezioni poco fondate e motivazioni ufficiali poco convincenti moltissimo resta da capire sui reali obiettivi delle sanzioni smart. E leggendo le motivazioni della UE viene da chiedere (serbando sempre la speranza di aver capito male): più chiarezza, più coerenza, più valori, per favore. Tutte risorse per rendere migliore il futuro che attende l’umanità dopo questa drammatica vicenda.

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