Le sanzioni alla Russia: effetto economico e scopo politico

Giuseppe De Arcangelis, Rama Dasi Mariani e Elena Rossi Espagnet ripercorrono le vicende della guerra del Donbass iniziata nel 2014 tra Ucraina e Russia e, ricollegandosi al dibattito sugli effetti economici delle sanzioni commerciali, esaminano l’impatto delle sanzioni che l’Unione Europea impose alla Russia. In particolare, essi presentano i risultati di un loro studio, focalizzato su Francia, Germania e Italia, dal quale risulta che dopo le sanzioni si è verificato un calo delle esportazioni verso la Russia, ma solo come conseguenza della concomitante crisi economica russa.

La storia. Sei anni fa, con un referendum popolare, la Crimea scelse di essere annessa alla Federazione Russa. I legami tra le due parti erano saldi già da tempo per ragioni storiche e culturali: la Crimea è stata territorio russo fino al 1954, anno in cui il Presidente Kruscev decise di regalarla all’Ucraina. Inoltre, la penisola è abitata per quasi il 60% da popolazione russofona.

Dal punto di vista geopolitico, la Crimea ha un ruolo fondamentale per Mosca: nel porto di Sebastopoli, che assicura un accesso quasi diretto al Mar Mediterraneo, è ormeggiata una delle quattro flotte della marina russa.

L’annessione non è avvenuta come un fulmine a ciel sereno. Nei mesi precedenti al referendum, erano scoppiate agitazioni e rivolte antirusse in tutto il paese. L’allora presidente ucraino Yanukovich aveva annullato, a un passo dalla firma, l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea in cambio di un prestito di 15 miliardi di dollari da parte della Russia. Lo scandalo che seguì lo costrinse a rassegnare le dimissioni e ad indire nuove elezioni, che portarono al potere il partito filoeuropeo. La Crimea, schierata con il Presidente uscente, non partecipò alle elezioni e anzi decise di indire due referendum, il primo riguardante l’indipendenza dall’Ucraina e il secondo l’annessione alla Russia. Entrambi i referendum vennero approvati con una maggioranza del 96%.

Contemporaneamente, movimenti filorussi iniziarono a farsi sentire in altre due regioni confinanti con la Russia: gli oblasts di Donetsk e Luhans’k. Anche qui si votò per l’indipendenza e l’annessione alla Russia, ma questa volta Mosca si comportò in modo diverso. Se è vero che entrambe le aree sono abitate da importanti comunità russofone, è altrettanto vero che i due territori non sono strategicamente rilevanti come la Crimea. Così la Russia decise di non annettere gli oblasts in ragione del fatto che dovevano servire da contrappeso alla parte occidentale filoeuropea del paese.

Nonostante i continui negoziati internazionali, gli accordi di Minsk I e Minsk II del 2014 e 2015, siglati dalle parti in causa per un cessate il fuoco immediato, non sono mai stati rispettati e nei due oblasts i conflitti sono ancora in corso. Solamente nell’ultimo periodo, a seguito delle nuove elezioni in Ucraina, Mosca e Kiev sono sembrate più disposte a un dialogo.

La reazione degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Europea al comportamento della Russia è stata quella di imporre un regime sanzionatorio, con misure di carattere diplomatico ed economico. In particolare, l’Unione Europea ha imposto il divieto di esportare beni dual use; beni che, sebbene abbiano prevalentemente un utilizzo civile, potrebbero essere impiegati a scopi militari. In risposta, la Russia ha deciso di imporre delle contro-sanzioni, colpendo i settori europei che maggiormente esportano verso Mosca, tra i quali vi è il settore dei prodotti lattiero-caseari di cui l’Italia è leader.

Poiché le sanzioni si sono protratte per molto tempo e sono ancora in vigore, il dibattito sulla loro efficacia è aperto e molto acceso. Il tentativo di darne una valutazione guardando semplicemente al trend degli aggregati economici di commercio internazionale può dar luogo a fraintendimenti e rischia di far cadere nell’equivoco del post hoc ergo propter hoc. È vero che le esportazioni sono effettivamente diminuite dal 2014, ma occorre considerare altri confounding factors prima di individuare nelle sanzioni la causa della diminuzione delle importazioni russe e quindi dei danni in termini di minori esportazioni subiti dai partner commerciali che hanno imposto le sanzioni. Alcuni infatti sostengono che a pagare i maggiori costi delle sanzioni non sono i russi, ma le imprese dei paesi che esportano i beni sanzionati, non ultimo l’Italia.

Uno di questi confounding factors può essere la forte crisi economica scoppiata in Russia proprio nell’anno dell’introduzione delle sanzioni. La riduzione di introiti provenienti dal settore petrolifero e del gas, dovuta all’abbassamento del prezzo al barile, ha ridotto drasticamente il potere di acquisto del rublo sul mercato internazionale determinando una diminuzione delle importazioni. Tra la metà del 2014 e l’inizio del 2016 il prezzo al barile di petrolio grezzo è sceso da US$100 a US$30. Allo stesso tempo, la moneta russa ha subito una forte svalutazione. Se nel 2003 il cambio con il dollaro corrispondeva a 34 rubli, alla fine del 2014 con un dollaro o un euro si potevano acquistare circa 80 rubli. Per frenare la speculazione alla fine del 2014 la banca centrale russa aumentò improvvisamente il tasso di interesse dal 10,5 al 17 per cento, non senza conseguenze sull’attività economia interna.

La Figura 1 mostra l’andamento del PIL e dell’inflazione nel periodo successivo all’introduzione delle sanzioni, anche in contemporanea con gli shock internazionali sul mercato del petrolio. Si può osservare come il PIL, dopo il crollo nel 2015, riprende a crescere a partire dal 2017. Congiuntamente, la serie dell’inflazione tocca un picco nel 2015 e, a seguito delle operazioni di stabilizzazione, si attesta intorno al 4% solamente tre anni dopo.

Il dibattito economico sulle sanzioni. L’opportunità di introdurre sanzioni come strumento di coercizione politica attraverso i suoi effetti economici è dibattuto non solamente tra i politologi, ma anche tra gli economisti. Valutarne l’efficacia complessiva è impossibile senza specificare l’obiettivo che si persegue: far cadere il governo, come per Maduro nel caso del Venezuela, oppure indurre una controrivoluzione, come in Iran? Una valutazione più specifica della loro efficacia rispetto a obiettivi più circoscritti di quello politico, si può ottenere confrontando l’andamento delle importazioni dei beni sanzionati con quello delle altre importazioni. Molti studi, riferiti agli Stati Uniti, hanno cercato di misurare gli effetti delle sanzioni imposte a vari paesi sul commercio complessivo statunitense (si vedano i vari lavori di Hufbauer e altri autori; ad es. Hufbauer at al, “Economic sanctions reconsidered: History and current policy”, 1990, basato sul modello gravitazionale del commercio internazionale).

Più recentemente, alcuni economisti si sono concentrati proprio sul caso delle sanzioni imposte alla Russia. Ad esempio, Bělín e Hanousek (“Which Sanctions Matter? Analysis of the EU/Russian Sanctions of 2014”, 2019) hanno trovato che le contro-sanzioni, imposte da Mosca all’Unione Europea, sono risultate otto volte più efficaci poiché comprendevano categorie di beni molto più ampie rispetto alle sanzioni europee che erano molto più specifiche. Ne consegue che gli importatori russi hanno avuto molta più facilità nel rintracciare beni sostituti non sottoposti alle sanzioni.

L’efficacia delle sanzioni sulle importazioni russe. Per cercare di isolare l’effetto delle sanzioni sull’andamento dei flussi commerciali dall’Europa verso la Russia abbiamo condotto una ricerca, a conclusione della quale non è stata trovata una relazione causale diretta delle sanzioni sulla riduzione degli export europei.

L’analisi empirica si è basata su un modello diff-in-diff che sfrutta la doppia variazione dei flussi commerciali nel tempo e tra beni sanzionati e non sanzionati. L’intuizione alla base del modello di analisi è quella di valutare l’effetto delle sanzioni confrontando l’andamento dei flussi commerciali di due diversi, ma assimilabili, gruppi di beni: uno sottoposto alle sanzioni e l’altro no, nei periodi che precedono e seguono l’introduzione delle sanzioni stesse, ossia il 2014. I beni sono stati identificati tra quelli che condividono le prime quattro cifre del sistema di classificazione internazionale UN Comtrade. Questo rassicura sull’ipotesi di un andamento parallelo dei flussi commerciali perché composti da beni sostituti. In altre parole, gli shock che possono colpire in maniera differenziata la domanda sono comuni a tutti i beni in analisi, sia quelli contingentati sia quelli non sottoposti al regime sanzionatorio.

L’analisi è stata effettuata costituendo i due gruppi con i dati delle esportazioni verso la Russia di 26 beni provenienti da Francia, Germania e Italia. Tra questi ricordiamo, ad esempio, nel gruppo dei beni sanzionati le “condotte utilizzate per oleodotti o gasdotti”, gli “acciai senza saldatura o senza vapore”, oppure le “perforatrici senza saldatura di acciaio inossidabile” utilizzate nelle perforazioni per petrolio e gas; mentre tra i beni non sanzionati abbiamo i “tubi gas, filettati o filettabili, senza saldatura, di ferro” o “acciai non legati, zincati”.

La Figura 2 rappresenta il trend complessivo – in milioni di dollari – tra il 2012 e il 2018 di questi due gruppi. Il trend dei beni sanzionati (indicati con sum1) è rappresentato in rosso, mente quello dei beni non sanzionati (sum0) in blu. Si osserva che i due gruppi seguono lo stesso trend decrescente, prima e dopo il periodo di imposizione delle sanzioni commerciali, ed entrambi subiscono un forte calo nel 2014. Il trend conosce una lieve risalita dal 2015, quando l’economia russa ha ripreso a crescere.

I risultati di un semplice modello empirico di spiegazione delle importazioni russe forniscono due importanti spunti. In primo luogo, nella stima l’unico coefficiente statisticamente significativo è quello del trend temporale, ossia quello che valuta come il volume totale delle esportazioni, di entrambi i gruppi, cambia comunemente nel corso degli anni. Secondo, quando si valuta la possibile differenza di trend temporale tra i due gruppi di beni prima e dopo il 2014 (anno di introduzione delle sanzioni) attraverso un’interazione tra il trend temporale e la variabile che discrimina i due gruppi, non si ottiene un valore statisticamente significativo. L’assenza di una differenza significativa per il gruppo sanzionato dopo il 2014 testimonia che le esportazioni sono diminuite tutte con lo stesso tasso, escludendo quindi che le sanzioni siano la causa della diminuzione dell’importazione dei beni sanzionati. È più plausibile concludere che il declino delle importazioni della Russia sia dovuto alla crisi economica interna e alla perdita di potere d’acquisto del rublo. L’analisi conferma quanto trovato in altri studi in letteratura, in particolare quello già citato di Bělín e Hanousek (2019) dal quale risulta, appunto, che la crisi economica del 2014 ha avuto un ruolo determinante.

Nonostante la loro inefficacia, dovuta alla possibilità di sostituire facilmente i beni sottoposti a limitazione, è comunque probabile che le sanzioni continueranno ad essere applicate come segnale politico di ripudio delle azioni russe in Ucraina. Ma è bene sottolineare, come sopra, che queste sanzioni hanno poco a che vedere con il rallentamento del commercio bilaterale con la Federazione Russa successivo al 2014.

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