Le risorse della politica di coesione 2021-2027: investire in statistiche territoriali per una migliore ripartizione

Massimo Armenise, Federico Benassi, Luigi De Iaco e Marianna Mantuano ricordano che per attribuire le risorse della politica europea di coesione 2021-2027, al PIL saranno affiancati altri indicatori, economici e socio-ambientali, per alcuni dei quali, però, mancano le necessarie statistiche territoriali. Simulando l’assegnazione delle risorse in base agli indicatori territoriali relativi agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile gli autori trovano conferma di tale mancanza e mostrano che l’Italia trarrebbe vantaggio dalle nuove modalità di riparto delle risorse.

I negoziati in ambito europeo relativi al prossimo bilancio comunitario 2021-2027 (Quadro Finanziario Pluriennale – QFP) sono durati oltre due anni, contornati da vari eventi politici che ne hanno rallentato la finalizzazione e in parte modificato la genesi: dalla lunga attesa per la Brexit, alle elezioni europee e la conseguente ridefinizione delle compagini istituzionali. Finanche, a livello tecnico, l’adozione di una nuova geografia ufficiale europea (classificazione Nuts2016) ha reso necessario rivedere le informazioni statistiche utilizzate nell’ambito dei negoziati e attenderne la disponibilità. Una improvvisa accelerazione è stata impressa dall’avvento del Covid-19 che ha portato al raggiungimento dell’accordo del Consiglio Europeo 21 luglio scorso, su circa 1074 miliardi di euro (prezzi 2028) per il bilancio comunitario 2021-27 e 750 miliardi per il piano Next Generation EU (NGEU), “con misure eccezionali a sostegno della ripresa e della resilienza delle economie degli Stati membri”.

Nell’ambito del QFP 2021-27, la Politica di coesione, con i 330 miliardi (prezzi 2018) ad essa assegnati, assorbe il 30,7 per cento delle risorse stanziate, continuando ad assumere un ruolo rilevante all’interno di questa cornice finanziaria. La metodologia concordata per l’ammissibilità e la ripartizione delle risorse finanziarie fra le regioni degli Stati membri, pur conservando elementi di continuità con quella dei precedenti cicli di programmazione (il cosiddetto metodo di Berlino), risulta avere differenze significative, di cui due piuttosto rilevanti.

La prima innovazione riguarda le regole di ammissibilità alle risorse comunitarie per le regioni dell’UE27. Nell’attuale ciclo di programmazione 2014-2020 le regioni europee (livello NUTS 2) sono state suddivise in tre categorie in base a diverse soglie del Pil pro capite, misurato in standard di potere di acquisto (SPA): regioni “Meno sviluppate”, con un Pil pro capite inferiore al 75% di quello medio dell’UE27; regioni “in transizione”, con un Pil pro capite compreso fra il 75% e il 90%; regioni “Più sviluppate”, con un Pil pro capite superiore al 90%. L’accordo del 21 luglio 2020 ha stabilito di modificare la soglia della categoria delle regioni “in transizione”, alzandola dal 90% al 100%. Tale modifica, adottata sulla base dei dati 2015-2017, ha contribuito a ridisegnare il centro dell’Unione economicamente più avanzata, racchiudendo tale area in una fascia continua dell’Europa centrale attorno alla quale sembra ergersi una cintura di regioni, una sorta di ‘buffer zone’, in transizione che prima quasi non esisteva (si veda figura 1).

A questa modifica, forse poco rilevante sul piano sostanziale, ma di grande effetto cognitivo, se n’è aggiunta un’altra piuttosto significativa anche nella sostanza. Se infatti nell’attuale ciclo di programmazione sono stati principalmente due gli indicatori con un peso rilevante nella distribuzione delle risorse (il Pil pro capite e in misura minore il tasso di disoccupazione), nel ciclo 2021-2027, pur permanendo una predominanza dell’indicatore Pil pro capite, si è avviato un processo che potremmo definire di “affiancamento” al Pil di altre misure e indicatori. Oltre ai meccanismi premiali collegati al livello di istruzione e alla disoccupazione giovanile, si affacciano per la prima volta due nuovi bonus collegati ad una premialità di tipo umanitario (saldo migratorio, per sostenere le regioni in cui questo fenomeno è più rilevante) ed una di tipo ambientale (riduzione delle emissioni di gas serra). Questi ultimi indicatori, seppur non disponibili a livello territoriale, sono stati ri-proporzionarti regionalmente in base alla relativa popolazione residente, rendendo evidente una carenza di dati ufficiali territoriali non collegata alle tradizionali tematiche economiche.

Una politica di coesione capace di tener conto dei processi di divergenza a livello regionale nelle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica, sociale ed ambientale – deve poter beneficiare da parte dell’Unione di un investimento significativo in dati armonizzati a livello territoriale (NUTS2 e NUTS3) per tutti gli Stati membri. La necessità di utilizzare indicatori nuovi e più ‘narrativi’ rispetto a quelli tradizionali, ci ha spinto ad esaminare cosa accade nel campo dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Standard Development Goals, SDGs) fissati per l’agenda 2030, ai quali la stessa Commissione europea si ispira quando definisce i regolamenti per l’ammissibilità e la ripartizione delle risorse finanziarie tra le regioni dei Paesi membri. Si è dunque provato ad immaginare uno scenario in cui le risorse della politica di coesione fossero ripartite non più utilizzando il Pil pro capite, ma gli indicatori collegati agli SDGs. Dalla lista dei 100 indicatori selezionati da Eurostat e utilizzati dalla Commissione europea nel suo SDG Monitoring Report 2020, ad oggi, non in tutti gli Obiettivi vi è la presenza di almeno un indicatore declinabile a livello territoriale NUTS2, disponibile per tutti gli Stati Membri nello stesso periodo (si veda tavola 2). Di fatti non ne risultano (fonte Eurostat) nei seguenti obiettivi: nel 6, finalizzato a garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie; nel 7 rivolto ad assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni; nell’11, rivolto a rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili; nel 12, per garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo; nel 13 finalizzato ad adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze; e nel 14 rivolto a conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.

Sulla base degli indicatori territoriali disponibili (si veda tavola 2), uno per ciascun tema, e delle relative quote regionali determinate sulla base di una media semplice (metodologia simile a quella delle regioni più sviluppate) abbiamo simulato l’allocazione delle risorse fra regioni/Paesi dell’UE, assumendo lo stesso ammontare di risorse concordato dal Consiglio europeo per le tre categorie di regioni.

Dal confronto fra l’attuale metodologia di riparto e quella che utilizza solo indicatori SDGs emerge come l’Europa mediterranea (Italia, Spagna, Francia) risulterebbe essere avvantaggiato dall’uso di questi ultimi (si veda figura 2). L’Italia riceverebbe circa il doppio delle risorse (circa 75miliardi con i nuovi criteri); anche la Spagna avrebbe un vantaggio finanziario considerevole. Fra gli altri paesi ai quali il nuovo metodo di ripartizione consegnerebbe un bilancio in attivo, sono da segnalare la Romania e la Francia. Negativo, invece, il bilancio per altri paesi; in particolare, la Polonia sarebbe fortemente penalizzata dall’utilizzo dei nuovi indicatori per il riparto delle risorse; in rosso anche i conti di Portogallo, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, per citare solo le nazioni con le perdite più consistenti.

In conclusione, l’accordo del 21 luglio segna una importante discontinuità con i passati cicli di programmazione. La scelta dell’Unione a favore dello sviluppo sostenibile rende necessario un cambio di passo per investire concretamente in un sistema di statistiche territoriali europeo. Con la grave crisi sanitaria, economica e sociale, e gli effetti asimmetrici su Paesi e regioni dell’UE, la politica di coesione sarà chiamata a dare una risposta adeguata e tempestiva per sostenere la ripresa, ma anche per mobilitare quelle politiche di medio – lungo termine necessarie per “rimbalzare in avanti” nella direzione di una società più resiliente, verde e inclusiva.

 

*Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente degli autori e non sono attribuibili alle istituzioni di appartenenza.

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