Le politiche sociali non bastano: crescita e disuguaglianza in America Latina

Marco Valerio Del Buono tratta il tema delle politiche redistributiveadottate di recente in America Latina, che hanno vissuto anni di intenso sviluppo a partire dagli anni '90. La scheda analizza in particolare una pubblicazione dell'Inter-American Development Bank, i cui autori illustrano le luci e le ombre delle politiche introdotte, delineando anche le sfide che i sistemi di Welfare sono chiamati ad affrontare. La più recente evidenza empirica suggerisce che la strada da percorrere per vincere queste sfide è ancora molto lunga.

America Latina, 1999. PIL pro capite: circa 4600$; tasso di disoccupazione: 8,6%; indice di Gini della distribuzione dei redditi delle famiglie: 53%; indice di povertà assoluta: 25%.

America Latina, 2010. PIL pro capite: circa 5700$; tasso di disoccupazione: 7,2%; indice di Gini: 48%; indice di povertà assoluta; 13%.Inoltre, l’inflazione registra i primi anni di stabilità (tra il 2000 e il 2010, media: 4,7%; deviazione standard: 1,5). Tutti questi dati – che sono della Banca Mondiale – rivelano che negli ultimi due decenni l’America Latina ha conosciuto profonde trasformazioni economiche e sociali, dovute anche alle politiche adottate. Nel lavoro“Latin America’s Social Policy Challenge: Education, Social Insurance, Redistribution” (2013) Levy e Schady (LS) dell’Inter-American Development Bank analizzano gli interventi attuati nell’ambito dell’istruzione, della previdenza e dell’assistenza sociale, nel corso degli anni ’90 e ’00, volgendo anche uno sguardo al futuro, cioè all’adeguatezza di questi strumenti per fare fronte ai problemi che ancora gravano sull’America Latina: ossia tassi di crescita non molto alti, disuguaglianza e povertà elevate. In questo contesto, le sfide specifiche che i sistemi di Welfare sono chiamati ad affrontare sono, secondo gli autori, quattro:

  1. Accrescere le competenze dei giovani, che entreranno nel mercato del lavoro;
  2. Evitare la coesistenza di sistemi previdenziali contributivi e non contributivi;
  3. Ridurre la dipendenza dei sistemi di assistenza sociale dai trasferimenti monetari;
  4. Garantire la sostenibilità fiscale delle politiche attuate.

La prima sfida chiama, dunque, in causa il sistema educativo. Le politiche dell’istruzione adottate di recente hanno avuto il positivo effetto di elevare il tasso di scolarizzazione, che nella scuola primaria ha superato il 90%. In Messico, si stima che chi ha partecipato al PROGRESA un programma di tipo CCT (Conditional Cash Transfer) ha 0,3 anni di istruzione in più rispetto ai non partecipanti. Le performance degli studenti rimangono, però, insoddisfacenti: dai risultati del test PISA del 2009 emerge un drammatico ritardo nei confronti dei Paesi Asiatici più virtuosi (Singapore e Corea). Le cause principali, secondo gli autori, sarebbero due: la scarsa qualità degli insegnanti, in termini sia di competenze, sia di capacità di insegnamento, e i problemi che incontrano i bambini delle famiglie più povere che comportano gravi difficoltà e ritardi nell’apprendimento già nei primi anni di scuola.In diversi Paesi – Argentina, Colombia, Uruguay e Guatemala – interventi diretti a sostenere le famiglie dei bambini più poveri, prima dell’ingresso a scuola (che possono essere considerati di pre-distribuzione), hanno avuto effetti positivi sull’attività scolastica. Migliorare i sistemi educativi comporta maggiore produttività futura e minore trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza.

La seconda e la terza sfida sono tra loro intrecciate perché riguardano fenomeni connessi: la previdenza sociale include le pensioni, i sussidi di disoccupazione, le coperture medico-sanitarie, la protezione degli invalidi, mentre l’assistenza sociale è volta a ridurre disuguaglianze e povertà. In tutti i Paesi dell’America Latina, negli ultimi due decenni sono stati introdotti nuovi programmi in entrambi gli ambiti. Con riferimento alla previdenza sociale si sono sviluppati i sistemi di tipo non contributivo, cioè non collegati al pagamento di un contributo, che tipicamente avviene nella forma di trattenuta sui salari dei lavoratori dipendenti. L’effetto immediato è stato di accrescere il tasso di copertura, ad esempio in Colombia, per il sistema sanitario, esso è aumentato dal 30% al 90% in seguito all’introduzione del Regimen Subsidiado. In tema di assistenza sociale, si è avuto un aumento vertiginoso dei sistemi CCT. L’effetto immediato di queste politiche è stato un sensibile miglioramento delle condizioni delle fasce più deboli della popolazione.Gli autori stimano, per l’intera area, che l’aumento della copertura pensionistica spiega il 5% della riduzione della disuguaglianza negli anni ’00, mentre l’aumento dei trasferimenti monetari ai poveri spiega un ulteriore 25%. Tuttavia, nella loro opinione, è improbabile che l’effetto di riduzione della disuguaglianza vada oltre il breve periodo (tornerò su questo punto più avanti).

Inoltre, LS sottolineano due aspetti negativi connessi a un eccessivo ricorso a misure di questo tipo. Il primo è che esse richiedono un notevole ammontare di risorse pubbliche, destinato, peraltro, ad aumentare per l’invecchiamento della popolazione e per le pressioni politiche volte ad accrescere la generosità dei programmi, anche oltre i limiti di efficienza e sostenibilità. Ad esempio, in Argentina il sistema Moratorium ha un costo pari al 2% del PIL; in Bolivia, il pagamento di una moderata pensione non contributiva a tutti gli over 60 costa l’1,25% del PIL.

Il secondo aspetto negativo riguarda la possibilità che vengano incentivati comportamenti opportunistici, soprattutto laddove la regolamentazione è inadeguata e inefficiente. Nel sistema contributivo, il lavoratore dipendente regolare (lavoro formale) paga un contributo per essere coperto contro i rischi sociali. Il contributo grava in parte anche sull’impresa, che ha quindi convenienza ad assumere un lavoratore irregolare (lavoro informale), il cui costo salariale lordo è più basso. Se esistono sistemi non contributivi che garantiscono ai lavoratori non regolari una copertura simile, o addirittura identica (come imposto dalla Corte Costituzionale in Colombia), anche i lavoratori avranno un incentivo ad accettare un impiego informale. Tale incentivo è maggiore se esistono anche sistemi di CCT condizionati al reddito e perciò, soggetti a un “effetto soglia”: gli individui più poveri preferiscono non lavorare, o accettare un lavoro informale, per non superare la soglia di reddito oltre la quale viene meno il trasferimento. Un esempio emblematico è il sistema PANES in Uruguay, che condiziona il trasferimento al livello dei redditi da lavoro formale. Per effetto di questi disincentivi, nell’intera area, solo il 50% della forza lavoro è coperta da sistemi contributivi; in paesi come Nicaragua, Guatemala, Paraguay, Honduras, per i due quintili più bassi della distribuzione del reddito, la quota scende sotto il 10%. Gli autori argomentano che questo processo di spostamento di risorse dal lavoro formale a quello informale è deleterio per la produttività aggregata perché l’evidenza suggerisce che il lavoro informale è meno produttivo del lavoro formale, e, inoltre, perché le imprese tendono a rimanere di piccola dimensione per ridurre il rischio di verifiche da parte delle autorità, che farebbero emergere le irregolarità.

Sistemi non contributivi e CCT presentano quindi rilevanti criticità, per cui sarebbe opportuno mirare a ridurre disuguaglianza e povertà con strumenti diversi ed in particolare con interventi sulla progressività del sistema fiscale, di cui si occupano Filauro e Galotto su questo numero del Menabò.

La domanda cruciale che LS si pongono è questa: l’America Latina ha raggiunto un punto di svolta e ha davanti a sé la prospettiva di una crescita con maggiore produttività e minore disuguaglianza? La loro risposta è aperta: tutto dipenderà dalla capacità delle politiche attuate dai Governi di affrontare con successo queste quattro sfide.

Tuttavia, i primi dati relativi al nuovo decennio forniscono già alcune indicazioni. In “Chronicle of a DecelerationForetold: IncomeInequality in Latina America in the 2010s” (2016), Gasparini, Cruces e Tornarolli(GCT) osservano che il trend dell’indice di Gini della regione, dopo l’eccezionale discesa negli anni ’00, nei primi anni ’10 ha mostrato una decelerazione.

Figura 1: Coefficiente di Gini, America Latina.

Grafico Menabò Del BuonoFonte: Gasparini et al (2016)

Le politiche sociali adottate hanno determinato una forte riduzione della disuguaglianza, ma esse non sono state in grado di rimuovere le sue cause più radicali. L’effetto positivo è stato determinato da alcuni fattori transitori, inevitabilmente destinati a perdere intensità. Uno di essi è l’aumento dei trasferimenti monetari che dall’inizio del 2000 ha significativamente ridotto la disuguaglianza, soprattutto attraverso la maggiore copertura dei sistemi di assistenza sociale. Tuttavia, tale copertura non può essere aumentata oltre certi limiti, almeno se non si vuole compromettere la sostenibilità fiscale del sistema. Un ragionamento analogo vale per gli altri fattori individuati dagli autori:l’innalzamento dei salari minimi, il calo della disoccupazione, la riduzione del numero medio di figli nelle famiglie povere. Il contributo che tutti questi fattori hanno dato alla riduzione della disuguaglianza è stato determinante negli anni’00, ma in forte attenuazione nel decennio seguente. Inoltre, anche le condizioni esterne hanno giocato un ruolo rilevante. Mentre nel primo decennio il miglioramento delle ragioni di scambio, quindi della competitività internazionale dell’America Latina, e l’aumento delle rimesse dall’estero hanno favorito la discesa della disuguaglianza, dopo il 2010, il brusco declino di queste due variabili ha contribuito a rafforzare l’inversione di tendenza.

Questa dinamica si osserva ovviamente anche nei singoli Paesi. Uruguay e Colombia costituiscono le eccezioni che confermano la regola: in questi due Paesi è stata, infatti, attuata un’efficace riforma fiscale (come documentano Filauro e Galotto).

In sintesi, secondo GCT, l’America Latina non è al di là del punto di svolta, in tema di crescita e disuguaglianza. Le politiche sociali hanno contribuito a ridurre la disuguaglianza, ma facendo affidamento su fattori soggetti a un inevitabile indebolimento. L’esito è una decelerazione “annunciata”, resa ancora più netta dal peggioramento delle condizioni esterne. La strada che conduce speditamente verso una crescita economica solida e una progressiva e duratura riduzione della disuguaglianza e della povertà non è stata ancora imboccata in America Latina.

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