Le politiche sanitarie tra accelerazioni, battute d’arresto e vincoli di bilancio

Roberto Fantozzi, dopo aver richiamato i principali interventi normativi sul SSN negli ultimi anni, documenta i ripetuti tagli – inclusi quelli della Legge di Stabilità – alle risorse per il SSN e li pone in relazione alle novità previste dal Patto per la Salute 2014-2016 che riguardano la definizione dei nuovi LEA, i costi standard, la governance e la riqualificazione dei SSR. Fantozzi conclude che l’inadeguatezza delle risorse ha mandato deluse le attese suscitate dal Patto e mette anche in discussione la sostenibilità della sanità pubblica.

La diffusione, da parte del Ministero della Salute, della prima bozza del decreto contenente l’elenco delle prestazioni sanitarie soggette a «indicazioni di appropriatezza prescrittiva» e “condizioni di erogabilità”, ossia quelle che rischierebbero di venire prescritte pur non essendo veramente adeguate alla reale condizione di salute del paziente, ha generato una vivace polemica tra il Ministro Lorenzin e i medici di base.

Peraltro, questo intervento rappresenta solo una tessera del complesso mosaico delle politiche sanitarie attuali, i cui pezzi non sempre sembrano incastrarsi bene insieme. In un precedente articolo sul Menabò sono stati affrontati alcuni aspetti legati agli effetti dei vincoli di bilancio sulle prestazioni sanitarie e in particolare sulla disparità tra le regioni del Nord e del Sud.

Partendo nuovamente dai vincoli imposti alla spesa sanitaria, in questo articolo ripercorreremo, invece, i principali interventi normativi che hanno interessato, negli ultimi anni, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Il nostro punto di partenza è la firma (il 10 luglio 2014) del nuovo Patto per la Salute 2014-2016, ad un anno e mezzo dalla scadenza del Patto precedente (2010-2012). Una delle principali ragioni del contendere, che ha determinato l’ampio ritardo nella firma del nuovo accordo, riguardava proprio le risorse da destinare al SSN che, sebbene concordate (con una crescita in linea con l’andamento del PIL allora previsto), potevano comunque essere rideterminate qualora ulteriori riduzioni si fossero rese “necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico”.

Dopo le manovre di contenimento della spesa del 2010-2012, se da un lato per qualche tempo si è avuta una parziale sospensione degli interventi di risparmio applicati direttamente al SSN, dall’altro l’attenzione si è concentrata sulle Regioni, dove la spesa sanitaria rappresenta più del 70% delle spese totali (cfr. Gabriele S. «Sanità, i tagli “distratti” della legge di stabilità», 2014). Ad esempio è utile ricordare il taglio – previsto dal Dl 66/2014, convertito in legge 89/2014 – delle spese per acquisti di beni e servizi per 700 milioni nel 2014 e per 1050 milioni nel 2015 nonché il “contributo alla finanza pubblica”, richiesto alle Regioni a statuto ordinario (500 milioni per il 2014 e 750 milioni per il 2015-17), esteso successivamente al 2018 (Legge di stabilità per il 2015) e aumentato di 3,5 miliardi di euro. Allo stesso tempo è stato imposto anche un contributo aggiuntivo alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di 467 milioni per gli anni 2015-17 e di 513 milioni per il 2018.

Attraverso lunghe negoziazioni, è stato deciso che 2,6 miliardi di questi risparmi dovessero provenire dalla sanità e poi, tra la fine luglio e l’inizio di agosto, si è arrivati all’accordo sulle misure da adottare; tali misure sono state inserite nel decreto legge 78/2015 in sede di conversione. Si tratta di provvedimenti di riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi e di quella per dispositivi medici; di riorganizzazione della rete ospedaliera sulla base dei nuovi standard; di abbassamento del tetto alla farmaceutica – da raggiungere principalmente attraverso una rinegoziazione dei prezzi e, infine, del discusso provvedimento sull’appropriatezza.

Da ultimo, la nuova Legge di Stabilità 2016, varata – con apposito Ddl – dal Consiglio dei ministri del 15 ottobre (le cui cifre sono suscettibili di cambiamenti durante l’iter di approvazione), dispone una manovra finanziaria da 26,5 miliardi di euro (mld). Tra gli interventi più consistenti rientrano la prevista eliminazione delle clausole di salvaguardia – neutralizzazione degli aumenti di IVA ed accise (16,8 mld) – , la riduzione del carico fiscale (4.6 mld) e le politiche di contrasto della povertà (1,1 mld). La copertura finanziaria della manovra, invece, è individuata principalmente nell’utilizzo delle clausole di flessibilità (14,6 mld) – previste dai Trattati europei – e nella spendig review (5,8 mld), a cui concorrerebbe in modo rilevante il taglio di circa 2 miliardi al Fondo sanitario per il 2016. Nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (DEF) 2015 era prevista, sempre per il 2016, una spesa sanitaria, a legislazione vigente, di circa 113 miliardi di euro; ora tale spesa dovrebbe essere ridotta a 111 miliardi, restando così sostanzialmente in linea con i livelli raggiunti nel 2014 e 2015 (cfr. Figura 1, che mostra l’andamento a legislazione vigente).

Anche in quota di PIL, già a legislazione vigente risulta confermata la riduzione continua della spesa sanitaria: la nota di aggiornamento al Def 2015 e il documento programmatico di Bilancio 2016 mostrano che la spesa sanitaria si è attestata al 6,9% del Pil nel 2014, ed è prevista una sua diminuzione sia per il 2015 (6,8%) sia per il 2016 (6,7%). Inoltre per il 2017 e gli anni successivi saranno imposti ulteriori tagli alle Regioni, che con ogni probabilità penalizzeranno ulteriormente le risorse della sanità, anche se non è ancora noto in quale misura. Quanto al 2016 sembra che si intenda imporre piani di rientro triennali agli ospedali in deficit e/o con gravi carenze dal punto di vista della quantità e qualità delle prestazioni erogate e si voglia intervenire ancora sugli acquisti di beni e servizi, attraverso la centralizzazione delle procedure. Le regioni, per far fronte ai tagli, potrebbero adottare misure di riduzione della spesa, aumenti dei cosiddetti ticket e delle entrate tributarie. Intanto, con il decreto ancora in discussione, si cercano le soluzioni sul fronte del miglioramento dell’appropriatezza – una questione importante, ma difficile da affrontare sotto la pressione del risparmio da ottenere già entro la fine dell’anno –, e su quello dei farmaci, settore che richiede una difficile ridefinizione della governance, dopo che i sistemi di pay-back, con cui erano stati posti a carico delle imprese una parte degli sforamenti dei tetti di spesa, sono stati “smantellati” dai tribunali amministrativi.

Al di là delle singole misure, che richiederebbero uno spazio più ampio per essere analizzate e commentate, colpisce la consistenza dei tagli, che si sovrappongono a quelli già adottati negli anni della crisi (intorno a 10 miliardi su base annua). Come mostrato in figura 1, infatti, l’andamento della spesa sanitaria pro-capite, tra il 2010 e il 2014, registra una continua riduzione, passando da 1.911 euro a 1.827 euro; anche la spesa sanitaria in termini reali ha seguito un andamento simile: nello stesso intervallo temporale, è diminuita complessivamente del 6,6%.
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Gli andamenti delle singole regioni non sempre rispecchiano il trend nazionale. Analizzando i dati del 2014 (forniti da Agenas) si osserva per la spesa sanitaria nazionale, dopo il calo del 2013, una lieve crescita (+0.9%)(figura 2); le regioni che hanno contribuito maggiormente a questo risultato sono in particolare la Lombardia (2,3%), la Campania (2,2%) e l’Abruzzo (2,6%) che insieme rappresentano circa il 28% della spesa nazionale; di contro, riduzioni di spesa sono state registrate in Piemonte, Valle D’Aosta, Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Lazio, regione quest’ultima che determina circa il 10% del totale nazionale.

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Nel prossimo futuro, come si è visto, si prospetta un’altra compressione delle risorse rispetto a quanto pattuito. L’enfasi sull’eliminazione degli sprechi sarebbe peraltro condivisibile se i risparmi restassero nell’ambito della sanità, come previsto dal Patto, ma non è così, dal momento che le risorse servono piuttosto a far quadrare i conti del bilancio e saranno impegnate su altri obiettivi.

Resta controversa, poi, l’attuazione di molti impegni che avevano caratterizzato il nuovo Patto per la salute che, sia pure con molti rinvii a interventi futuri, aveva affrontato molteplici questioni che attendevano una risposta da considerevole tempo, come la definizione dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA), i costi standard, la governance e la riqualificazione dei SSR.

Con la firma del Patto si prevedeva che, in sede di Conferenza Stato-Regioni, i nuovi LEA sarebbero stati concordati e adottati entro la fine del 2014. A febbraio 2015 è stato diffuso lo schema di decreto, con la relazione illustrativa e quella tecnica. Il processo si è, però, fermato, anche per l’onerosità dell’operazione, di fronte al taglio delle risorse. La legge di stabilità per il 2016 introdurrebbe i nuovi LEA dal prossimo anno, ma le Regioni protestano, perché il costo non sarebbe indifferente (intorno agli 800 milioni) e i finanziamenti previsti dal Patto non ci sono più. Vale comunque la pena ricordare che alcune prestazioni che dovrebbero entrare a far parte dei nuovi LEA erano già fornite da un certo numero di Regioni come livelli aggiuntivi di assistenza. Anche questa disparità territoriale nelle prestazioni erogate (che precedentemente non rientravano nei LEA previsti) ha contribuito a generare la disuguaglianza, nella fruizione del diritto alla salute, tra le regioni del Nord e del Sud, come si è ricordato anche nel precedente articolo sul Menabò, già ricordato. I nuovi LEA, quindi, colmando queste disparità, potrebbero contribuire a ridurre le sperequazioni tra i diversi territori.

La revisione del sistema di governance della sanità disegnato dal Patto puntava sul rafforzamento dei meccanismi di controllo degli adempimenti e di verifica dei LEA. Si intendeva costruire un sistema di valutazione della qualità delle cure e di verifica sia del grado di uniformità dell’assistenza sul territorio nazionale, sia degli adempimenti per la convergenza della spesa storica al fabbisogno standard, anche con la collaborazione del Comitato per la verifica dei LEA e dell’Agenas. Inoltre si pensava ad una ridefinizione del sistema dei piani di rientro a fini di riqualificazione del SSN, per assicurare i LEA e gli equilibri di bilancio, obiettivi che finalmente sembravano essere posti sullo stesso piano. Se, da un lato, questo sembra, in qualche misura, essere stato messo in pratica con i piani di rientro degli ospedali previsti dalla Legge di stabilità per il 2016, dall’altro, le scarse risorse a disposizione rendono molto difficile poter migliorare la qualità dell’assistenza, senza ostacolare il rientro dei disavanzi.

Nel Patto per la salute viene anche espressa l’intenzione di modificare i meccanismi di riparto che, malgrado il riferimento a costi standard e regioni benchmark, sono ancora sostanzialmente basati sul criterio pro-capite ponderato con l’età, pur corretto per tenere conto del trend di miglioramento negli standard di qualità (anche nell’erogazione dei Lea), dei tassi di mortalità, della rilevanza territoriale dei bisogni sanitari e di indicatori epidemiologici territoriali (come previsto dalla legge 662/96). Il riparto relativo al 2015 non è stato ancora effettuato, e rimane quindi da verificare se le innovazioni su questo fronte saranno recepite.

In definitiva, le attese suscitate dal Patto per la salute – valutato da molti osservatori come un documento costruttivo e come un possibile segnale di svolta nelle politiche sanitarie, grazie alla boccata d’ossigeno dal lato delle risorse e all’assunzione dell’impegno ad affrontare la questione della garanzia di uno standard nazionale di servizio con la stessa energia profusa nel cercare di porre sotto controllo la spesa -, sono state in gran parte deluse. I vincoli di bilancio hanno ricominciato a stringere, mentre la qualità del SSN non sembra più essere una priorità della politica; anzi, la stessa sostenibilità della sanità pubblica viene messa in discussione.

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