Le politiche pubbliche ed il Web: cosa cambia?*

L’esplosione del fenomeno dei Social Network, in cui milioni di persone oggi interagiscono in modo denso e frequente, divide gli osservatori fra coloro che ritengono che quello del web user-generated, o web 2.0[1], sia un mutamento sociale solo di forma, e quelli che ritengono che abbia a che vedere con la realtà. Spesso a fare la differenza fra i sostenitori delle due opposte opinioni è, banalmente, l’età. La generazione nativa digitale vede qualcosa che non tutti gli altri riescono a vedere nelle dinamiche in atto, perché le frequenta.

Chi scrive, pur non appartenendo alla generazione cresciuta col web, né facendo parte degli early adopter delle tecnologie digitali, è stato ormai conquistato dalla seconda posizione: per effetto dei nuovi media e delle forme di protagonismo diffuso che consentono, sta cambiando qualcosa di molto concreto nelle relazioni fra le persone, nelle decisioni che vengono prese da individui ed organizzazioni, nella distribuzione del potere fra i diversi livelli decisionali pubblici e privati.

Per chi, poi, lavora all’interno di un’amministrazione impiegando risorse pubbliche per produrre risultati di interesse collettivo, la domanda principale diventa se e come è possibile sfruttare le potenzialità del web nel perseguimento delle finalità istituzionali dello Stato.

Molte esperienze in atto indicano che il web ha forti effetti benefici sulla qualità dei beni e dei servizi pubblici, e, anzi, può considerarsi esso stesso un bene pubblico. In quanto bene pubblico che produce vantaggi diffusi a costi molto contenuti, la semplice teoria economica vorrebbe che lo Stato fosse coinvolto nella sua creazione e messa in opera, ma la questione, nel caso di un bene del genere, non è forse così semplice.

In effetti, nella maggioranza dei casi che conosciamo, non è lo Stato ad attivare consapevolmente gli effetti benefici della rete internet, ma, al contrario, l’iniziativa parte dalla sfera privata – dalle migliaia di utenti della rete, che, quando indirizzano il loro interesse e le loro iniziative verso le amministrazioni pubbliche, le costringono ad adeguarsi ad aspettative collettive, a rimuovere disservizi, ad allocare i loro sforzi e le loro risorse in modo più efficiente. Nel modello del web sperimentato finora non è lo Stato che prende l’iniziativa per avviare un dialogo con la ricca sfera pubblica digitale, ma la subisce, rincorre, viene messo a nudo nelle le sue inadeguatezze, che spesso non desidera che divengano di dominio pubblico, e, nei casi migliori, alla fine si adegua.

Gli esempi più chiari di questo genere di forza trasformativa della rete vengono dal mondo Anglosassone. Esistono iniziative recenti sorte per iniziativa di organizzazioni non-profit che hanno avuto l’effetto di promuovere l’efficienza, la trasparenza e la qualità dell’azione pubblica: la loro funzione è quella di segnalare luci ed ombre del sistema sanitario nazionale come nel caso inglese del sito patientopinion.org; di segnalare problemi di livello locale alle autorità competenti, come nel caso del servizio informativo fixmystreet.com; di rendere accessibili al pubblico i nomi delle imprese che percepiscono aiuti come nel caso di farmsubsidy.com; di monitorare le decisioni di voto di tutti i politici rappresentati al parlamento europeo, etc. L’effetto più immediatamente evidente di queste iniziative è quello di costringere, controllare ed incentivare l’azione degli enti pubblici e dei decisori politici sotto la spinta della libera circolazione delle informazioni, e dei conseguenti effetti reputazionali.

Ma il possibile beneficio per lo Stato non si ferma qui. Data la loro novità, le implicazioni di queste forme di dialogo pubblico, aperto e continuo, non sono facili da apprezzare o da prevedere interamente. C’è da attendersi effetti ancora più estesi da tutte quelle iniziative che allargano il numero delle intelligenze che si vanno ad esercitare su compiti e problemi di interesse comune. Le realtà più affascinanti per le loro potenzialità sono quelle che cercano di arruolare l’intelligenza collettiva, diffusa e per molti aspetti disinteressata, della rete, diffondendo al di fuori dell’amministrazione pubblica la responsabilità di generare idee, produrre informazioni, farsi carico di individuare problemi e soluzioni. Un esempio di queste forme ancora più avanzate di collaborazione tra enti pubblici e la comunità del web è il sito peertopatent.org, in cui viene dato modo a qualunque utente della rete di intervenire nel processo di valutazione delle domande di brevetto rivolte all’Ufficio Statunitense Marchi e Brevetti, fornendo commenti, informazioni, e giudizi tecnici che sostengono questa importante decisione di responsabilità pubblica. E’ evidente che questa forma di revisione delle domande brevettuali volontaria e diffusa nelle rete, rafforza grandemente l’attività dell’ufficio brevetti, che in questo modo di fatto acquisisce competenze ed informazioni che troverebbe molto costoso produrre internamente.

Forme collaborative di questo genere sfruttano una proprietà banale della rete, la sua numerosità. La ratio di queste iniziative per ora sperimentali è quello che ci sono più persone intelligenti al di fuori della pubblica amministrazione, che all’interno. Quest’ultima non è tanto un’affermazione, ma un fatto incontestabile. Il fatto che solo una minima parte di queste persone intendano fornire volontariamente informazioni e contributi ad una conversazione su temi di interesse pubblico è certo uno dei limiti di questo genere di iniziative. Altri limiti consistono nell’estrema difficoltà di organizzare, sintetizzare e rendere intelligibili la massa delle informazioni che possono provenire dalla rete, facendo emergere quelle che possano maggiormente contribuire a far progredire la conoscenza ed il dibattito stesso. Le iniziative fino ad oggi messe in campo non possono vantare soluzioni efficaci contro questi problemi, ma devono considerarsi i primi tentativi sperimentali di forme di interazione digitale che si affermeranno in futuro.

Tutti i limiti che le politiche pubbliche che si confrontano con il web ancora si trovano ad affrontare, compresi i rischi più gravi che dobbiamo avere ben presenti di cattura del processo decisionale pubblico da parte di interessi particolari, vanno tenuti in considerazione e studiati, per neutralizzarli o superarli. Tuttavia, a contrastarli c’è un argomento positivo almeno altrettanto potente che è quello dei costi del coinvolgimento dell’intelligenza della rete, che grazie alle tecnologie digitali ed alla diffusione capillare della banda larga per l’accesso ad internet, è divenuto così basso da tendere a zero. In una situazione del genere, ricercare la collaborazione degli abitanti della rete, verificare la possibilità che esistano finalità ed attività nel perseguimento delle quali l’interesse pubblico possa ritrovarsi allineato con quelli di privati individui, stimolare questi ultimi a fornire volontaristicamente informazioni e commenti, diventa un obbligo morale per qualunque amministratore interessato a massimizzare l’efficacia delle politiche.

Un esempio di questa ricerca di una fruttifera collaborazione fra pubblica amministrazione e privati individui attraverso gli strumenti del web ha coinvolto direttamente chi scrive, e può essere utile ad illustrare in modo concreto alcune delle potenzialità di questo approccio all’intervento pubblico. Alla fine del 2007, alcuni dipendenti del Dipartimento Politiche di Sviluppo del Ministero per lo sviluppo economico si interrogavano sulle cause della difficoltà delle politiche di sviluppo nel raggiungere le classi giovanili, e nel finanziare piccoli progetti prevalentemente immateriali all’interno delle c.d. industrie creative. La diagnosi del problema fu identificata nei costi di transazione elevati, che rendono proibitivo per l’amministrazione entrare nel merito di specifiche proposte ed idee progettuali. I giovani creativi più motivati e competenti, che amerebbero trovare corrispondenza, dal versante pubblico, in persone interessate ai contenuti di ciò che vorrebbero realizzare, si vedono filtrate nei rapporti con l’amministrazione da una schiera di intermediari e consulenti, di formulari espressi in gerghi freddi e difficili da capire. L’effetto è che i due mondi si respingono a vicenda alimentando lo scetticismo ed il disinteresse. La soluzione che si è deciso di tentare, manco a dirlo, è stata quella di istituire un social network: una comunità tematica e collaborativa che si pone come obiettivo quello di discutere di idee creative, per cercare di rafforzarle e portarne alcune verso la realizzazione. A questo nuovo social network – denominato Kublai – il Dipartimento ha portato come contributo solo lo stimolo iniziale ed un certo grado, per forza di cose limitato, di animazione e partecipazione diretta. Ne è venuto fuori un laboratorio pubblico-privato in larga misura virtuale, in cui l’intervento di promozione dello sviluppo di pochi dipendenti pubblici, si moltiplica e si amplifica attraverso la cassa di risonanza di una comunità di persone creative che, per innumerevoli e diverse motivazioni personali, si trovano a partecipare all’erogazione di un servizio pubblico di assistenza alla progettazione. I primi risultati, ancora non chiari ed in continuo divenire, sono sorprendenti e verificabili da tutti all’indirizzo: www.progettokublai.net.

Al di là delle proporzioni reali del successo di quest’iniziativa, che vista la sua breve vita e gli scarsi precedenti a cui fare riferimento, è oggi difficile apprezzare, ciò che stupisce maggiormente il neofita del web è l’effettiva voglia di collaborare che si riscontra in molti dei creativi italiani iscrittisi alla comunità Kublai, che trovano gratificazione nell’offrire contributi e commenti volontari su progetti altrui. Dal momento che in Kublai, queste interazioni avvengono obbligatoriamente in pubblico, l’intelligenza e le competenze collettive riproducono e perfezionano sé stesse, con evidente beneficio per la progettualità che l’iniziativa Ministeriale vuole promuovere. Così alcune delle idee creative crescono e si rafforzano, trasformandosi in progetti di sviluppo economico per effetto di un’attività di peer coaching, e che va a formare il cuore di un servizio pubblico largamente erogato da una comunità di individui provati, a costi irrisori per l’amministrazione.

Questo è solo un esempio di alcune delle potenzialità insite nell’interazione collaborativa, in specifiche aree, fra l’azione pubblica e gli ambienti del web.

Non è ancora il momento di trarre insegnamenti per gli attori pubblici in questa complessa materia in cui, dietro le poche realtà avanzate ci sono “apprendisti stregoni” che navigano a vista, correggendo costantemente la rotta, in risposta a segnali e ad intuizioni, più che a vere valutazioni dell’efficacia delle decisioni adottate. Vale però la pena richiamare, in conclusione, tre principi generali utili a prevenire gli errori più gravi in cui l’amministrazione pubblica, per scarsa esperienza, può cadere, quando cerca di attivare un interlocuzione collaborativa con le intelligenze del web:

– Non è necessario che lo Stato faccia tutto, come accade in altri campi. In realtà le fruttuose collaborazioni consistono spesso nel lasciare fare ai cittadini del web, nell’aprire a loro un canale di espressione o di azione;

– Condividere informazioni in modo trasparente è spesso la principale, se non l’unica cosa che allo Stato è richiesto veramente di fare per attivare un’interazione collaborativa con la comunità del web orientata verso finalità di interesse pubblico.

– Il desiderio di controllare troppo le modalità o gli esiti di quest’interazione, al contrario, è una delle cause per cui molte delle iniziative pubbliche in questo campo perdono presto di credibilità nella sfera privata;

Coltivare aspettative iniziali troppo elevate riguardo al contributo concreto delle comunità del web alla decisione pubblica, rappresenta un salto in avanti eccessivo allo stato attuale della nostra comprensione di queste dinamiche. In questa fase storica, mantenere una chiara distinzione di ruoli e responsabilità fra decisori pubblici e collaboratori esterni, rende la collaborazione libera e piacevole.

[1] Nel seguito con la notazione web ci si riferisce alla specificazione web 2.0

* Il testo beneficia di alcuni spunti raccolti nel corso del seminario tenuto da David Osimo il 6 Maggio 2009 in Second Life al “Porto dei Creativi” di Kublai

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