Le origini familiari e le retribuzioni degli avvocati italiani: nepotismo o abilità?

Michele Raitano e Francesco Vona si occupano di trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze, utilizzando un dataset originale messo a disposizione dalla Cassa Forense. I due autori cercano di stabilire se essere parenti stretti di avvocati consenta agli avvocati di percepire redditi più elevati e se ciò dipenda da forme di nepotismo o da migliori abilità. Esaminando gli effetti delle liberalizzazioni del decennio scorso essi concludono che gran parte dei maggiori redditi dei parenti di avvocati sia dovuta al nepotismo.

“Il figlio di un generale può diventare generale?” “Certo!” “E può diventare anche maresciallo?” “No! Per questo ci sono i figli dei marescialli!”. Questo aneddoto sulla mobilità sociale era in voga nell’Unione Sovietica e Putin lo ha richiamato in un’intervista all’Herald Tribune nel 2009. Oltre che all’Unione Sovietica comunista, esso si potrebbe applicare, forse a maggior ragione, anche a molte delle economie capitalistiche contemporanee (in particolare a quelle con un’alta disuguaglianza, come Italia, Regno Unito e Stati Uniti) dove, nonostante le modifiche della struttura delle occupazioni osservate negli scorsi decenni, l’associazione fra la classe occupazionale dei genitori e quella dei figli continua a risultare generalmente molto elevata, in particolare nelle professioni più remunerative (dirigenti e libero professionisti), come argomentato da Mocetti, Roma e Rubolino in questo numero del Menabò.

Ma da cosa derivano i vincoli alla mobilità sociale? Sono una conseguenza inevitabile del fatto che chi proviene da contesti sociali più favorevoli può avvantaggiarsi di un maggiore (e migliore) investimento dei genitori nel loro capitale umano? O dipendono da meccanismi in atto in società inique che favoriscono chi ha migliori connessioni sociali, indipendentemente dalle abilità?

In un precedente articolo sul Menabò si è sottolineato come in Italia l’elevata correlazione fra le retribuzioni di genitori e figli sia solo in minima parte attribuibile all’influenza delle origini familiari sul titolo di studio, in contrasto con quanto tipicamente suggerisce la letteratura economica mainstream, che vede nell’accumulazione di capitale umano il principale, se non unico, snodo del processo di trasmissione intergenerazionale di vantaggi e svantaggi.

La correlazione “residua” fra background familiare e salari a parità di istruzione potrebbe però dipendere da abilità “non osservabili” legate al background e non dal network e dalle connessioni sociali che consentono di occupare i posti di lavoro più prestigiosi e remunerativi a chi ha origini migliori. Costoro, infatti, oltre a conseguire in media un’istruzione più elevata, più spesso beneficiano di istruzione di migliore qualità, di attività extra-scolastiche e possiedono soft skills più remunerative. Queste abilità consentirebbero ai figli dei più abbienti di seguire le orme dei genitori nel loro percorso occupazionale, al di là di eventuali vantaggi nell’istruzione. In aggiunta, l’accesso al percorso occupazionale dei genitori – figli di avvocati che fanno gli avvocati, figli di ingegneri che fanno gli ingegneri – sarebbe favorito dalla trasmissione informale all’interno della famiglia di competenze specifiche ad ogni singola professione. Tale trasmissione è tanto più forte quanto più tacite e non-matematiche, come ad esempio gli skill sociali, sono tali competenze. Storicamente, nelle grandi écoles francesi di ingegneria, i test di ingresso sono basati principalmente sulla matematica, e non sul linguaggio, proprio per favorire la mobilità sociale.

La letteratura economica si è interrogata sull’intensità della trasmissione intergenerazionale delle occupazioni migliori e sulle sue cause, con particolare riferimento alle libere professioni (medici, farmacisti, avvocati), che rappresentano una sorta di laboratorio naturale per sottoporre a verifica le diverse ipotesi sui meccanismi alla base dell’immobilità sociale. Nelle libere professioni, infatti, hanno maggiore facilità di affermarsi meccanismi di appropriazione delle rendite e comportamenti nepotistici: i figli dei libero-professionisti possono ereditare il pacchetto clienti dei genitori e, inoltre, le associazioni che regolano l’accesso alle professioni possono permettere ai figli degli iscritti di superare più facilmente le barriere all’ingresso. D’altro canto, seguendo le orme dei genitori si possono mettere a frutto le ulteriori conoscenze formali e informali, apprese in famiglia, che sono preziose soprattutto nelle professioni che richiedono discrezione e conoscenza tacita. Di conseguenze, è estremamente difficile identificare separatamente, nella ricerca applicata, l’effetto del nepotismo e quello del trasferimento di abilità.

Tuttavia, per mancanza di dati adeguati, la letteratura economica si è limitata a studiare le diverse opportunità di accesso alle professioni più remunerative a seconda del background familiare, assumendo, implicitamente, che un’eventuale diseguaglianza di opportunità si manifesti soltanto nella diversa probabilità di accesso alle varie occupazioni. Nel fare tale assunzione, la valutazione dell’influenza del background famigliare rischia di essere sottostimata se, come è probabile, un contesto familiare più favorevole consenta di ottenere redditi da lavoro più elevati all’interno di una specifica professione.

In un nostro recente lavoro, facendo uso di un campione di dati molto dettagliati messi a disposizione dalla Cassa Forense e raccolti in un’apposita indagine campionaria, abbiamo seguito fra il 1994 e il 2014 la carriera di un campione rappresentativo di poco meno di 900 avvocati per valutare in quale misura le origini familiari condizionino i loro redditi. Gli avvocati sono probabilmente la professione dove, per via della forte incidenza di competenze tacite come la persuasione e la capacità oratoria, vi è la più forte compresenza di nepotismo e trasmissione di competenze.

La base dati a nostra disposizione ha molti pregi, dato che unisce sia informazioni di tipo amministrativo sui redditi annui lordi dichiarati a Cassa Forense, sia una serie dettagliata di caratteristiche socio-demografiche degli avvocati, come il voto di laurea e il tempo speso per laurearsi nonché – e si tratta di informazioni molto importanti – il grado di istruzione dei genitori e la presenza di un avvocato tra i genitori o tra i parenti stretti, così da poter essere definiti “parenti di avvocati”. Tale base dati consente, dunque, di analizzare (controllando per un gran numero di caratteristiche individuali) l’influenza del background familiare sui redditi di individui che hanno avuto accesso alla professione forense.

Oltre a misurare l’eventuale premio salariale per i parenti di avvocati, teniamo conto di alcune riforme intervenute nel settore legale – la modifica delle regole di correzione degli esami di stato introdotta nel 2003 e la liberalizzazione del 2006 (Decreto Bersani che, fra le altre cose, eliminò le tariffe minime e il divieto di pubblicità) – utili per distinguere tra nepotismo ed abilità non osservabili come cause di tale premio. Per evitare che le nostre stime risultino distorte dai possibili effetti delle riforme sulla composizione del gruppo degli avvocati, consideriamo solo chi già era avvocato (e, dunque, aveva superato l’esame di Stato) nel 2003.

La nostra ipotesi è che il tipo di regolamentazione del settore legale pre-riforme consentisse di godere di vantaggi indipendenti da abilità e competenze, ovvero di fenomeni nepotistici, mentre le liberalizzazioni, accrescendo la trasparenza della competizione fra professionisti, hanno reso i premi salariali maggiormente dipendenti da abilità e competenze individuali. Tutto ciò consente di fare luce sull’origine del vantaggio dei “parenti di avvocati”: se essa risiede nei legami nepotistici le liberalizzazioni dovrebbero ridurre quel vantaggio; se, invece, l’origine sta nelle loro migliori abilità, le liberalizzazioni dovrebbero accrescerlo ulteriormente.

Valutare l’effetto delle liberalizzazioni sul salario relativo di parenti e non parenti di avvocati consente, quindi, indirettamente di individuare l’incidenza relativa di nepotismo e trasmissione di abilità come causa di diseguaglianza intergenerazionale, anche all’interno di un gruppo di lavoratori ristretto e selezionato come quello degli avvocati: il premio per i “parenti di avvocati” dopo la riforma dovrebbe diminuire se è dovuto al nepotismo e invece dovrebbe aumentare se è dovuto alle migliori competenze specifiche alla professione di avvocato.

Come noto, e come ricordano anche Mocetti, Roma e Rubolino, in Italia le connessioni familiari contano per l’accesso alle libere professioni. Secondo le nostre stime, all’interno del gruppo selezionato di chi è già avvocato (e lo era prima delle riforme), i “parenti di avvocati” – che sono ben il 28% del campione contro lo 0.4% di avvocati nella popolazione italiana – si laureano 5,5 mesi prima e, dopo la laurea, accedono alla professione 4,8 mesi prima di chi non ha un genitore o un parente stretto avvocato. Soprattutto, nel periodo 1994-2003, anche controllando per l’istruzione dei genitori, avere un genitore o un parente stretto avvocato consente di guadagnare il 17,5% in più di chi non ne beneficia. Ma, e qui sta la domanda principale del lavoro, questo premio è frutto di maggiori abilità o di rendite connesse a fenomeni di nepotismo?

La questione è cruciale anche dal punto di vista normativo: se il premio dipendesse da abilità rimarrebbe il problema della diseguaglianza di opportunità nell’accesso a tali abilità, ma il settore legale si rivelerebbe efficiente nell’attribuire maggiori redditi agli avvocati più bravi. Ma se il premio dipendesse da nepotismo, oltre che dell’eguaglianza di opportunità ci si dovrebbe preoccupare della conseguente inefficienza nel funzionamento di tale settore.

Le nostre analisi, condotte con diverse metodologie di stima e tramite molteplici modelli alternativi per testare la robustezza dei risultati, sono concordi nell’evidenziare che il processo di riforma ha ridotto di almeno 3/5 il premio di reddito di cui beneficiavano in precedenza i parenti di avvocati. La riduzione maggiore emerge fra i più giovani e nella parte alta della distribuzione dei redditi, ossia fra quelli che potremmo definire gli avvocati superstar, così rivelando che le modifiche della regolamentazione del settore legale hanno consentito agli avvocati più talentuosi, ma poco “connessi”, di infrangere almeno parte del soffitto di vetro oltre cui non riuscivano ad andare.

In conclusione, abbiamo evidenza che buona parte del reddito più elevato guadagnato prima del 2004 dai parenti di avvocati era dovuto a rendite di posizione e nepotismo, accresciuto dalle rigide barriere all’ingresso nel settore e dalla sua forte regolamentazione. Possiamo dunque affermare che, a differenza di quanto spesso sostenuto dalla letteratura mainstream, non tutti i differenziali di reddito rimasti inspiegati usando variabili osservabili come il livello di istruzione siano da attribuirsi ad abilità residue e difficili da misurare. Tale interpretazione può condurre a conclusioni erronee sull’importanza del capitale umano nello spiegare le disuguaglianze e portare a raccomandazioni di policy ben poco efficaci per contrastare i meccanismi effettivi di trasmissione intergenerazionale della diseguaglianza nella misura in cui essi dipendono dal funzionamento necessariamente imperfetto (e ben lontano dall’ideale insegnato sui libri di testo) dei mercati.

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