Le misure di welfare previste dal DL Rilancio: un’analisi

Gabriele Palomba passa in rassegna le misure di sostegno al reddito per contrastare le conseguenze economiche della pandemia da Covid-19 introdotte dal Decreto "Rilancio", che ha anche riconfermato, e in parte esteso, tutte le misure già previste dal precedente Decreto "Cura Italia". Palomba sottolinea come si tratti di un decreto senza precedenti per l’entità delle risorse stanziate, ma formula anche alcuni rilievi critici sui contenuti e sulle tempistiche del Decreto.

È trascorso un mese da quando, sul Menabò, abbiamo presentato e confrontato le misure di sostegno al reddito durante la pandemia attuate dai più importanti paesi OCSE. Da allora, nel nostro paese, con il tanto tanto atteso DL “Rilancio”, sono state introdotte novità di rilievo mentre, stando alle informazioni raccolte dall’OCSE e dal Fondo Monetario Internazionale, nulla di simile è accaduto negli altri Paesi presi in esame nel precedente articolo: Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.

In questi Paesi gli interventi più recenti hanno riguardato soprattutto il rifinanziamento, il potenziamento e l’estensione degli short-time working schemes (che corrispondono più o meno alla nostra Cassa integrazione guadagni). Infatti, la Germania ha incrementato la quota di integrazione salariale dal 60% al 70% (e fino all’80% per il settimo mese); la Spagna ne ha esteso l’utilizzo fino alla fine di giugno e l’applicabilità ai settori essenziali che hanno comunque subito perdite, oltre ad aver ulteriormente ampliato la platea degli aventi diritto al sussidio di disoccupazione; anche gli Stati Uniti, seguendo il Regno Unito, hanno istituito un meccanismo simile: il governo federale rimborsa al 100% gli Stati in cui questo schema già esisteva e al 50% gli Stati in cui è stato istituito per la crisi da COVID-19; infine, la Francia ha, al contrario, confermato che a partire da giugno ridurrà l’utilizzo dello chômage partiel, con la speranza che la ripresa dell’attività economica contribuisca ad attutire gli effetti sull’occupazione.

Data la limitatezza delle misure introdotte di recente dagli altri paesi, questo articolo si concentrerà sull’Italia, presentando e valutando le misure di welfare previste dal decreto “Rilancio”. Prima di procedere è, però, opportuno ricordare che soltanto il 19 maggio – cioè il giorno dopo la ripresa delle attività economiche – è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale quello che doveva essere il decreto “aprile”, il cui scopo era di continuare a dare ossigeno alle categorie coperte a marzo (peraltro con non pochi ritardi e difficoltà dovuti a malfunzionamenti, soprattutto per quanto riguarda la Cig) dal Decreto “Cura Italia” e per iniziare a dare supporto alle categorie che ne erano rimaste escluse. Se l’obiettivo era fornire risorse in maniera tempestiva ed efficace alle famiglie in difficoltà per il lockdown, non è stato nemmeno sfiorato.

Per quanto riguarda la distribuzione delle risorse attivate dal Decreto “Rilancio”, circa 26 dei 55 miliardi stanziati sono destinati a sostenere l’occupazione e i redditi delle famiglie. Se si aggiungono i 10 mld già attivati dal precedente decreto, il totale delle risorse stanziate dal Governo a questo fine raggiunge i 36 mld, un ammontare inferiore, tra i paesi UE, soltanto a quello della Germania.

Quanto ai contenuti, il decreto “Rilancio” prevede il rifinanziamento delle varie forme di Cassa Integrazione e la semplificazione delle procedure di accesso a quella in deroga, il potenziamento dell’indennità una tantum per alcune categorie di lavoratori autonomi e, principali novità rispetto al “Cura Italia”, l’istituzione del Reddito di Emergenza (REM) e di una serie di bonus (quello vacanze e quello per la “mobilità alternativa”).

La Cassa integrazione assorbe, così come nel precedente decreto, la maggior parte delle risorse stanziate: al suo rifinanziamento sono destinati 16 mld. Le sue varie forme (ordinaria, straordinaria e in deroga) vengono tutte estese fino al 31 ottobre per un massimo di ulteriori nove settimane (quattro da utilizzarsi fra il 1° settembre e il 31 ottobre 2020). La Cig in deroga – cioè quella destinata alle imprese che non hanno diritto alla Cig ordinaria, perché di dimensione inferiore a 5 dipendenti, perché hanno già superato i limiti massimi di utilizzo di un’altra tipologia o per altre ragioni – ha come noto sofferto di ritardi e problemi burocratici, causati soprattutto dalla scelta, che ha attirato numerose critiche al Governo, di far gestire le domande dalle Regioni. Poiché si tratta di uno strumento dedicato alle piccole imprese, già fragili di per sé e colpite più duramente dalla crisi, si è cercato di ovviare a queste difficoltà semplificando la procedura, evitando il passaggio attraverso le Regioni e facendo pervenire le domande direttamente all’INPS.

Passando ai sussidi e alle indennità già esistenti, è stata anzitutto prorogata da due a quattro mesi la sospensione delle misure di condizionalità per Reddito di Cittadinanza (RdC), NASPI e DIS-COLL e di due mesi la durata di NASPI e DIS-COLL in scadenza fra marzo e aprile. Inoltre, come anticipato, sono state rinnovate le indennità per professionisti, lavoratori co.co.co., autonomi, stagionali del turismo, in somministrazione, agricoli, intermittenti, domestici (precedentemente esclusi) e dello spettacolo danneggiati dall’emergenza. Le indennità previste saranno di 500 o 600 euro, a seconda dei casi, per aprile e di 1000 euro in altri casi (professionisti iscritti alla Gestione separata che dimostrino perdite di almeno il 33% nel secondo bimestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, co.co.co. iscritti alla Gestione separata, stagionali del turismo) per il mese di maggio.

Infine, circa 1 miliardo è stato destinato al Reddito di Emergenza (REM), della cui introduzione si parlava già da marzo. La logica di questo ulteriore provvedimento è quella di fornire copertura a individui e nuclei familiari esclusi dalle misure precedentemente elencate e che, peraltro, non soddisfano i requisiti di accesso al RdC (ciò riguarda soprattutto i lavoratori stranieri regolarmente residenti dato che, come noto, sono necessari 10 anni di residenza in Italia per beneficiare del RdC). Tuttavia, sono stati previsti dei requisiti abbastanza stringenti: la residenza in Italia del componente familiare richiedente il beneficio; un reddito familiare inferiore al REM cui si ha diritto; un patrimonio mobiliare familiare inferiore a 10000 euro per il 2019, accresciuto di 5000 euro per ogni componente successivo al primo, fino ad un massimo di 20000 euro; un Isee inferiore a 15000 euro. L’importo del nuovo REM è inoltre inferiore alle aspettative suscitate dalle dichiarazioni di esponenti del governo nel corso delle settimane precedenti: l’ammontare va infatti da un minimo di 400 euro (per individui single senza figli) ad un massimo di 800, che aumentano a 840 nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti persone con disabilità grave o non autosufficienza. D’altronde anche la cifra stanziata per il suo finanziamento è inferiore ai 3 miliardi di cui aveva parlato a inizio aprile la Ministra Catalfo.

Questa formulazione restrittiva del REM è stata oggetto di critiche da parte del Forum Disuguaglianze Diversità e dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, come documenta De Ponte in questo stesso numero del Menabò. In particolare, piuttosto che cercare di erogare il reddito il più velocemente e al maggior numero di famiglie possibile, sono stati privilegiati gli obiettivi di prevenzione delle irregolarità e di contenimento della spesa tipici dei “tempi ordinari”, non tenendo conto dell’eccezionalità di questa situazione emergenziale.

Per concludere, si può senza dubbio affermare che il DL “Rilancio” rappresenti un ulteriore sforzo senza precedenti dal punto di vista finanziario, che mette l’Italia ai primi posti fra i Paesi europei per risorse destinate a contrastare le conseguenze economiche del Covid-19. Se a livello quantitativo non si poteva certo fare di più, a livello qualitativo e di tempistiche sarebbe stato possibile prendere altre strade. In un certo senso, si è persa l’occasione di rendere semplice e veloce la risposta alla pandemia scegliendo di creare nuovi strumenti – la cui efficacia è, peraltro, da dimostrare – invece di utilizzare quelli già esistenti (soprattutto il RdC), adattandoli all’emergenza. Una simile strategia avrebbe oltretutto consentito un notevole risparmio di tempo, che, come molti hanno dovuto imparare a loro spese, è la variabile più importante in una emergenza epocale come questa.

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