Le misure di sostegno al reddito durante la pandemia dei principali paesi OCSE

Gabriele Palomba elenca le misure di sostegno al reddito messe in campo dai principali paesi Ue e Ocse per contrastare le conseguenze economiche della pandemia da Covid-19, soffermandosi in particolare sugli aspetti comuni alle politiche adottate da Italia, Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti Palomba valuta, quindi, se e quanto i diversi sistemi di welfare fossero pronti ad affrontare una crisi così profonda e repentina e richiama l’attenzione sulla ancora forte preponderanza di misure mirate al lavoro dipendente.

L’11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente dichiarato che l’epidemia di COVID-19 era da considerarsi una pandemia. Nelle settimane successive, praticamente tutto il mondo ha attuato misure di contenimento più o meno marcate, con conseguenze immediate per l’attività economica. Più di metà della popolazione mondiale è stata soggetta a restrizioni della libertà di movimento e le maggiori economie sono state di fatto bloccate. Non sono ancora chiare le dimensioni che avrà, ma di certo quella incombente sarà fra le più grandi recessioni mai affrontate. Ne è prova il fatto che in sole 4 settimane le richieste per il sussidio di disoccupazione negli Stati Uniti abbiano raggiunto l’incommensurabile cifra di 22 milioni. Per far fronte a questo evento “di proporzioni bibliche” (citando Mario Draghi), gli Stati hanno attuato molto rapidamente diverse misure di sostegno all’economia, riguardanti molte dimensioni, in primis reddito delle famiglie, sostegno alle imprese e all’occupazione, liquidità del sistema finanziario sono alcuni esempi. L’OCSE ha attivato sul suo sito una sezione dedicata al monitoraggio delle risposte di policy alla pandemia dei suoi paesi membri. Il prospetto riguarda sia le misure di contenimento adottate, sia quelle di sostegno all’economia, concentrandosi su spese sanitarie, misure fiscali (generali, rivolte alle imprese o alle famiglie) e misure di politica monetaria e macro-prudenziale (cioè i criteri di vigilanza e di regolamentazione dell’attività bancaria da parte delle banche centrali). In questo articolo le informazioni raccolte dall’OCSE, integrate con altre desunte da ulteriori fonti, sono utilizzate per fare un confronto fra le principali economie del mondo occidentale – le 4 maggiori economie dell’UE (Germania, Francia, Spagna e Italia), Regno Unito, Stati Uniti e infine le varie istituzioni dell’Unione Europea – con particolare riguardo alle misure di sostegno al reddito delle famiglie. Tale confronto fornisce l’occasione per riflettere sull’omogeneità delle risposte fornite dai diversi paesi e su quanto i loro sistemi di welfare state fossero pronti ad affrontare una crisi di intensità e rapidità come quella generata dal COVID-19.

Le misure italiane sono ormai abbastanza note. Il decreto “Cura Italia”, approvato una settimana dopo l’applicazione delle misure di contenimento a tutto il territorio nazionale, ha disposto lo stanziamento di 25 miliardi con la finalità di intervenire in quattro ambiti: finanziamento di Sistema Sanitario Nazionale e Protezione Civile, occupazione e reddito delle famiglie, liquidità di imprese e famiglie e sospensione di imposte e contributi. Quanto al primo ambito, sono stati stanziati € 3,2 miliardi, dei quali quasi la metà (1,4) a favore del sistema sanitario nazionale.

Per le misure economiche in senso stretto invece, la maggior parte delle risorse stanziate dal decreto è andata al sostegno di redditi e occupazione (10,3 mld). L’architrave di queste misure è la Cassa integrazione (Cig), cui sono stati destinati 5 miliardi. Tuttavia, poiché questa lascia “scoperti” una larga quota di lavoratori (torneremo su questo punto nelle conclusioni), è stato necessario istituire un’indennità (gli ormai famigerati 600 euro) per un’ampia fascia di categorie lavorative, che va da autonomi e partite Iva fino a stagionali e lavoratori dello spettacolo. Inoltre, poiché anche questa indennità non copre altri lavoratori ancora, si è provveduto a costituire un “Fondo di ultima istanza” di 300 milioni per coloro che non hanno diritto né alla Cig, né ai 600 euro (soprattutto autonomi e professionisti iscritti agli enti privati di previdenza obbligatoria). Infine, sono state sospese le condizioni di attivazione richieste a coloro che ricevono il Reddito di Cittadinanza. Il governo ha dichiarato poi che con il “decreto di aprile” provvederà ad ampliare la fascia degli aventi diritto e ad aumentare a € 800 l’indennità per gli autonomi e ad istituire un “reddito di emergenza”, che in parte rispecchia la proposta di ampliamento e universalizzazione del Reddito di Cittadinanza, avanzata, fra gli altri, dal Forum Disuguaglianze Diversità. Altre misure di sostegno ai redditi individuali includono il rafforzamento di congedi e indennità parentali, l’istituzione di “voucher” per babysitter, bonus per il “lavoro agile” e la sospensione dei mutui per la casa di coloro che hanno perso il lavoro o hanno interrotto la propria attività. Sono stati poi bloccati i licenziamenti, sia individuali che collettivi.

La Germania è il paese europeo che ha stanziato complessivamente la cifra maggiore, sia in termini assoluti che in rapporto al Pil. Secondo l’OCSE lo stanziamento complessivo per spese sanitarie e sostegno all’economia ammonta a € 156 miliardi (finanziato in deficit, abbandonando la dottrina dello schwarze null). Per ciò che concerne le misure di sostegno al reddito, è stato agevolato l’accesso ai principali sussidi, in primis con la sospensione dei requisiti patrimoniali di accesso. Anche qui, il corrispettivo della nostra Cig è stato potenziato e compenserà il 60% dei mancati guadagni dei lavoratori e il 100% dei contributi sociali delle imprese. Autonomi, piccoli imprenditori e libero professionisti hanno inoltre ricevuto una sovvenzione una tantum dal governo federale di € 9000 per tre mesi (che arrivano a € 15000 per le aziende fra i 5 e i 10 dipendenti). Inoltre, trattandosi di uno Stato federale, diversi Länder hanno istituito misure aggiuntive. In particolare, ha fatto notizia (soprattutto per la rapidità con cui la burocrazia brandeburghese è riuscita ad erogarla) l’indennità che il Länd di Berlino ha istituito per i lavoratori autonomi residenti, vera spina dorsale dell’economia metropolitana, che hanno ricevuto fino a un massimo di € 5000.

La Francia ha invece speso una cifra leggermente minore rispetto all’Italia. Il pacchetto di misure a sostegno di imprese, famiglie e settore sanitario ha un costo stimato intorno a € 16,5 miliardi, la metà dei quali (€ 8,5 mld) è stata destinata al rafforzamento dell’equivalente della Cig. Il resto è stato destinato a potenziamento del sistema sanitario (€ 4,5 mld) e a un fondo di solidarietà per autonomi e piccole imprese (€ 1,5 mld). Quanto alle misure di sostegno al reddito, oltre alla Cig (che garantisce il 70% del salario lordo, spingendosi fino al 100% per i lavoratori al minimo salariale), sono stati rafforzati i sussidi di disoccupazione, lo schema di reddito minimo (revenu de solidarité active), gli altri principali ammortizzatori sociali ed è stato previsto un bonus esentasse dai € 1000 ai € 2000 sulla base di accordi aziendali per i lavoratori dei settori essenziali. Il fondo di solidarietà fornirà invece una compensazione una tantum fino a € 1500 a piccole imprese (fatturato fino a € 1 mln e profitto imponibile annuale al di sotto di € 60.000), autonomi, microimprenditori e liberi professionisti che dimostrano di aver perso il 70% del fatturato su base annuale. Per le piccole imprese con almeno un dipendente minacciate dalla bancarotta, è previsto un contributo addizionale di € 2000.

La Spagna ha stanziato due pacchetti di misure da € 22 miliardi complessivi, di cui 3,8 sono stati destinati alla sanità nazionale e delle regioni autonome. Il governo ha poi preferito attuare una numerosa serie di misure di sostegno al reddito per cercare di coprire tutte le fasce vulnerabili piuttosto che attuare misure omnicomprensive: sussidi temporanei per lavoratori domestici e lavoratori a tempo determinato che non hanno raggiunto la contribuzione minima per il sussidio di disoccupazione; estensione dei contratti a termine di docenti e ricercatori universitari; pagamento per intero del salario ai lavoratori dei settori non essenziali (che dovranno però compensare le ore di lavoro perse entro la fine dell’anno); indennità straordinaria agli autonomi che hanno dovuto interrompere la propria attività (pari al 70% della base imponibile contributiva); allargamento della fornitura di servizi (energia, acqua, telecomunicazioni e pasti per i bambini) alle famiglie in difficoltà; sospensione e moratoria su mutui, prestiti e bollette. A tutela dell’occupazione, sono stati bloccati i licenziamenti, è impedito l’annullamento dei contratti a termine ed è stato semplificato l’accesso al sistema ERTE (che consente la riduzione delle giornate lavorative o la sospensione dei contratti di lavoro, senza però compensare i salari dei lavoratori, che hanno invece accesso semplificato al normale sussidio di disoccupazione).

Quanto al Regno Unito, le misure principali sono due: da una parte si è provveduto ad istituire con il Coronavirus Job Retention Scheme qualcosa di analogo alla nostra Cig, che invece era precedentemente assente, stanziando 4,2 miliardi di sterline per coprire l’80% dei salari fino a £ 2500 mensili; dall’altra, anche qui si è provveduto a sostenere il reddito degli autonomi con un’indennità (tassabile) pari all’80% dei guadagni degli ultimi tre anni (fino a un massimo di £2500 ed escludendo coloro che hanno avuto profitti medi maggiori di £50000).

Andando oltreoceano, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato un piano di aiuti economici di dimensioni senza precedenti, dato che il costo totale supera i duemila miliardi di dollari (includendo però le risorse mobilizzate tramite garanzie sui prestiti, le misure di spesa “diretta” per sostegno al reddito si aggirano intorno a $ 500 mld). Altrettanto storica è la decisione di coprire con fondi federali i costi dei test fatti alle persone senza assicurazione sanitaria. Le misure di sostegno al reddito includono l’erogazione di un assegno diretto di $ 1500 (incrementato di $ 500 per ogni minore a carico) per i contribuenti che hanno un reddito fino a $ 75000 annui, che va poi a scalare fino al tetto massimo di $ 99000. I sussidi di disoccupazione sono stati decisamente rafforzati ed estesi a categorie di lavoratori precedentemente escluse (ad esempio, i lavoratori della gig economy). Inoltre, per tutelare l’occupazione, verranno concessi prestiti alle piccole imprese che decidono di non licenziare i loro dipendenti.

Va poi ricordato che anche la Commissione Europea ha cercato di fare la sua parte nel sostenere il reddito e l’occupazione dei cittadini europei, istituendo un fondo di sostegno al finanziamento delle misure di cassa integrazione, detto “SURE”, già descritto e commentato sul Menabò da Stefano Giubboni.

Dunque, come si può intuire da questa analisi sintetica, emergono due tendenze comuni alla gran parte dei Paesi sviluppati.

La prima è un ruolo da grande protagonista per la Cassa integrazione guadagni (o misure affini). Chi già l’aveva l’ha rafforzata, chi non l’aveva l’ha istituita ex-novo, come il Regno Unito. A tale proposito, va evidenziato il caso della Danimarca, che in un articolo della rivista americana The Atlantic viene indicato come modello innovativo, grazie all’accordo fra parti sociali e governo. In questo accordo, il governo si impegna a pagare il salario dei lavoratori di cui le imprese dichiarano di non avere bisogno a seguito di un calo della domanda, in cambio dell’impegno dell’impresa a non licenziare. Pur con qualche differenza, anche questo accordo ricorda molto da vicino la cassa integrazione. Come noto tuttavia questo istituto ha un limite piuttosto grande: riguarda solo i lavoratori dipendenti, lasciando scoperti autonomi, artigiani, commercianti e molte altre categorie che il lockdown ha comunque costretto senza lavoro. Questo è un problema particolarmente grave in Italia, dove, dai dati Eurostat per il 2018, solo il 78% dei lavoratori aveva un contratto da dipendente.

Questa considerazione ci porta alla seconda tendenza comune: praticamente tutti i Paesi presi in esame hanno dovuto istituire una qualche misura una tantum per garantire un reddito “di sussistenza” ai non-lavoratori dipendenti. Fanno in parte eccezione ad entrambe le tendenze gli Stati Uniti, che hanno deciso di istituire una sorta di “reddito universale ad hoc” per coprire coloro che non sono beneficiari del sussidio di disoccupazione.

In conclusione, quindi, si può dire che la pandemia abbia in un certo senso preso di sorpresa i sistemi di welfare occidentali, ancora impegnati in una lenta e difficoltosa transizione dalla loro struttura novecentesca tutta imperniata sulla figura del male breadwinner lavoratore dipendente ad una più moderna ed universalistica. Sono quindi venuti fuori tutti i loro limiti e la loro inadeguatezza nell’offrire una rete di protezione estesa anche alle figure professionali autonome o “atipiche” (che però sono sempre meno rare). Questo nonostante ormai siano presenti nella maggioranza degli Stati in analisi forme di redditi minimi means tested, che però non sono state in grado di includere tutti coloro che in questa particolarissima e drammatica fase necessitano di un sostegno, assomigliando forse più a sussidi di disoccupazione che a delle vere e proprie misure di sostegno al reddito universalistiche (per un’analisi più approfondita di questo tema rimandiamo all’articolo di FRaGRa sul Menabò). Infatti, ad essere rimaste temporaneamente senza una fonte di reddito a causa della pandemia sono anche persone che hanno un’occupazione e una situazione economica complessiva che li esclude dai requisiti economici richiesti dai vari redditi minimi. Di qui la necessità di correre ai ripari con le indennità una tantum, che sono però la testimonianza dell’inadeguatezza di queste forme nel fornire un reddito “a chiunque ne ha bisogno”, come vorrebbero invece i principi teorici che ispirano le misure di stampo universalistico.

Schede e storico autori