Contagio, invasione, conquista, trapianto, clonazione. Sono questi i termini più utilizzati per descrivere l’espansione delle mafie nel Centro e Nord Italia.
In quanto contagio, la mafia sarebbe un agente patogeno che si diffonde contaminando nuovi territori al pari di un virus o di un batterio che attacca e infetta un corpo in buona salute. Ma il contagio, restando nella prospettiva epidemiologica, potrebbe essere determinato anche dal terreno di coltura che permette all’agente infettivo di svilupparsi.
Anche quando si parla di invasione l’immagine è quella di un agente esterno che invade un territorio e cerca di conquistarlo. In questo caso, però, si presuppone una strategia intenzionale di occupazione. Il contagio, l’invasione e anche la conquista hanno in comune la rappresentazione della diffusione mafiosa come un’aggressione dall’esterno di un’area priva di efficaci anticorpi o incapace di riconoscere il pericolo e contrastarlo.
Il trapianto e la clonazione rimandano all’idea di una replicazione senza adattamenti dei modelli originari di azione e di organizzazione nei nuovi contesti. I rapporti di interdipendenza e di retroazione tra un contesto e l’altro sono del tutto trascurati, così come la possibilità che l’espansione «retroceda» e perfino fallisca.
In tutti i casi, si resta ancorati a una visione «mafiocentrica», per cui è sempre la mafia che decide e agisce come una vera «variabile indipendente». Il rischio è che invece di spiegare la mafia si finisca per spiegare (o non spiegare) tutto con la mafia.
Il fenomeno mafioso si è sviluppato storicamente in aree circoscritte del Mezzogiorno nell’ambito delle quali ha esercitato una qualche forma di dominio (il cosiddetto controllo del territorio): nella Sicilia occidentale Cosa nostra, nella Calabria meridionale la ‘ndrangheta, nel Napoletano la camorra. Sin dalle origini, i gruppi criminali più strutturati si sono impegnati in attività sovralocali per ampliare i propri contesti di insediamento e per estendere alla lunga distanza i propri traffici. A parte il caso emblematico di Cosa nostra americana, processi di vera e propria espansione territoriale – che danno luogo a insediamenti stabili – si sono però verificati soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, quando il raggio di azione delle mafie si è esteso sia in zone contigue a quelle originarie sia in altri Paesi e nel Centro e Nord Italia.
Molte interpretazioni dei processi di diffusione delle mafie fanno riferimento – direttamente o indirettamente – a modelli analitici che chiamano in causa i fattori di attrazione dei nuovi contesti e quelli di espulsione dei contesti originari. La distinzione, pur efficace sul piano descrittivo, rischia di offrire una visione idraulica dei processi di espansione. Più promettente appare un approccio focalizzato sui fattori di contesto e su quelli di «agenzia», con l’obiettivo di coglierne connessioni e interdipendenze (è questa la prospettiva adottata in una recente ricerca, su cui si basano queste note: Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali, a cura di R. Sciarrone, 2014).
Da un lato, l’attenzione è rivolta a quelle condizioni – demografiche, socio-economiche, culturali, politiche ecc. – che possono favorire la diffusione e l’insediamento di gruppi mafiosi in uno specifico contesto. Dall’altro, si osservano le strategie degli attori criminali, ovvero le risorse e competenze di cui essi dispongono, così come le logiche di azione che perseguono. In questa prospettiva è anche opportuno distinguere tra fattori intenzionali e non intenzionali, osservando come dalla loro combinazione emergano diversi modelli di espansione e di insediamento territoriale.
I fattori non intenzionali fanno riferimento a situazioni che inducono i mafiosi a trasferirsi in un’area diversa da quella di origine indipendentemente da una loro esplicita volontà. Questo accade quando abbandonano un ambiente divenuto ostile a causa di faide con clan avversari o di un’efficace azione repressiva dello stato. Sebbene in questi casi la situazione sia determinata da una qualche forma di costrizione, la scelta di allontanarsi dal luogo di origine e, soprattutto, quella del luogo in cui trasferirsi sono frutto di un calcolo costi/benefici o, comunque, di una valutazione delle opportunità offerte dai diversi contesti. Raramente si tratta di una vera e propria «fuga» e quasi mai la destinazione è casuale. Infatti, nel nuovo contesto devono quantomeno essere presenti reti di familiari o criminali in grado di assicurare appoggio e sostegno.
Non mancano tuttavia strategie di espansione finalizzate a estendere la rete territoriale dei traffici illeciti oppure a praticare il riciclaggio nell’ambito dell’economia legale. Il trasferimento in una nuova area può anche coincidere con l’aspirazione di fare carriera all’interno dell’organizzazione, sfruttando le opportunità presenti in un contesto meno «saturo» dal punto di vista criminale. Inoltre, non sono pochi coloro che diventano mafiosi direttamente nelle nuove aree, non tanto perché lì sono formalmente affiliati, ma soprattutto perché lì acquisiscono le necessarie competenze di illegalità e costruiscono la loro reputazione criminale.
L’espansione può realizzarsi per via «imprenditoriale», seguendo la «logica degli affari», oppure per via «organizzativa», seguendo la «logica dell’appartenenza». La prima è più tipica dei gruppi di camorra, la seconda di quelli della ‘ndrangheta. Questi due tipi di mafia sono i più presenti nelle aree non tradizionali, anche in seguito al netto calo di Cosa nostra.
Le mafie non hanno certamente un controllo capillare del territorio in ogni area del Centro-Nord, né è uniforme l’intensità della loro presenza. Inoltre, se in alcune situazioni si deve parlare di infiltrazione, in altre il termine più appropriato è radicamento. In questo caso i gruppi mafiosi hanno ottenuto un certo consenso a livello locale: il tessuto economico-sociale si è mostrato ricettivo e il sistema politico è apparso permeabile. Quando emergono formazioni criminali che si ispirano a metodi mafiosi oppure diventano progressivamente autonome rispetto all’organizzazione di provenienza, appare appropriato parlare di processi di imitazione e di ibridazione.
I gruppi di ‘ndrangheta predominano nel Nord-Ovest, ma sono molto attivi anche in alcune aree dell’Emilia Romagna e del Lazio. In queste due regioni sono molto presenti anche i clan della camorra, che risultano operativi anche in Toscana e Veneto. Nel Nord-Ovest sembra prevalere il modello del radicamento, altrove quello dell’infiltrazione.
Nel Lazio, dove operano gruppi mafiosi di matrice diversa oltre che formazioni criminali autoctone, infiltrazione e radicamento si combinano con processi di ibridazione. Nelle Marche i più attivi sono, di nuovo, soggetti e gruppi appartenenti alla ‘ndrangheta che, peraltro, sono sempre più presenti, insieme a clan della camorra, anche in Umbria. In alcune aree, ad esempio in Veneto, sembrano operare meccanismi di imitazione per cui un gruppo criminale cerca di accreditarsi e costruirsi una reputazione mafiosa nel contesto di arrivo.
In tutti i casi, l’espansione nelle aree non tradizionali non può essere equiparata a una situazione di mera esportazione della mafia originaria. Contano molto più l’«accoglienza» e l’«ospitalità» ricevute nel contesto di arrivo. Dal canto loro, le mafie si adattano al nuovo ambiente, adeguando regole, strutture organizzative e campi di attività. Tra Sud e Nord si stabiliscono rapporti di interdipendenza: non sono all’opera dispositivi di invasione, bensì meccanismi circolari di retroazione. Quanto accade nelle aree di nuova espansione ha spesso ricadute assai rilevanti su quelle di origine: in genere gli effetti sono combinati e reciproci, ma non mancano casi in cui gli assetti dei gruppi criminali si decidono più nelle prime che non nelle seconde.
Nel dibattito pubblico la diffusione territoriale delle mafie è frequentemente indicata tra le cause della crescita dell’illegalità nelle regioni del Centro-Nord. In realtà, l’espansione mafiosa è di norma connessa a una situazione preesistente di «sregolazione». Questo tipo di criminalità è infatti complementare a pre-esistenti fenomeni di corruzione e a pratiche diffuse di illegalità. Le mafie sono accolte nello spazio in cui si costruiscono e si rafforzano rapporti collusivi in campo economico e politico.
L’ attuale grave crisi economica e finanziaria può peraltro favorire l’espansione dei gruppi mafiosi, perché permette di valorizzare le loro competenze e di mettere a frutto i capitali di cui dispongono. Perciò spesso viene apprezzata, soprattutto da parte di chi teme di perdere le posizioni acquisite, la loro capacità di offrire risorse e servizi utili per reagire allo stallo dell’economia.
Con la fine del tradizionale modello di integrazione tra economia e società, la domanda di «protezione» è rimasta senza adeguate risposte; così i mafiosi hanno potuto candidarsi a soddisfarla, svolgendo il ruolo che più li caratterizza. I loro servizi hanno trovato «acquirenti» tra le imprese più colpite dalla crisi, ad esempio quelle della filiera dell’edilizia. I gruppi mafiosi sono riusciti a fare breccia anche in aziende più robuste e consolidate, che però adesso avvertono la pressione della crisi economica. Molti imprenditori sono tentati da «scorciatoie» e «vie basse», e perciò aprono le porte delle loro aziende ai mafiosi, come testimoniano numerose vicende giudiziarie emerse in Lombardia.
Anche nella sfera politica, dove si consuma la crisi dei tradizionali meccanismi della rappresentanza e cresce il desiderio di massimizzare il consenso nel breve termine, i servizi della mafia possono essere appetibili. È così soprattutto rispetto ai processi di finanziarizzazione dei circuiti del sostegno elettorale, come rivelano i casi di scambio politico-mafioso emersi ancora in Lombardia, Piemonte e Liguria. Indipendentemente dalla loro effettiva capacità di controllo del voto, i mafiosi sono ricercati dai politici per svolgere funzioni di intermediazione rispetto a clientele e gruppi di elettori, o più in generale come referenti di presunti bacini di consenso nel territorio.
L’aspetto più preoccupante è che anche nel Centro-Nord sembrano diffondersi figure che agiscono ai confini del lecito e dell’illecito, facendo ricorso a scambi corrotti e ad «alleanze nell’ombra». Un’area grigia che ha una sua autonomia rispetto agli attori mafiosi, che in qualche caso è persino preesistente al loro arrivo e in molti altri viene costruita insieme attraverso relazioni di collusione, accordi comuni e giochi a somma positiva. È questo lo spazio principale attraverso cui i mafiosi riescono a inserirsi nelle società locali, mettendo a frutto le loro competenze e risorse per muoversi con profitto tra la sfera dell’economia e quella della politica.
In definitiva, se è certamente aumentata la capacità espansiva delle mafie, il cambiamento più evidente sembra però riguardare i contesti di ricezione, vale a dire le società locali del Centro-Nord. Una questione che non riguarda soltanto la loro accresciuta vulnerabilità alle infiltrazioni criminali, ma anche e soprattutto il loro grado di «accoglienza» e «disponibilità».