Le elezioni inglesi

Ancora una volta i sondaggisti hanno sbagliato. Il quarantatreenne liberal Nick Klegg che era dato per grande vincitore ha ottenuto nelle elezioni inglesi solo quel deludente risultato che i liberal democratici hanno da sempre avuto e il partito conservatore del “feroce” Cameron si è fermato al 36 per cento, riportando un successo indubbio sui laburisti, rimasti al di sotto del 30%, dei voti , ma un numero di seggi ai Comuni insufficiente per governare da solo: 305 contro i 258 dei laburisti e i 57 dei liberali. La Gran Bretagna, dunque, non sfugge al clima di inquietudine e incertezza che turba l’Europa e diviene un nuovo testimone della debolezza della politica proprio nel momento in cui massimo è il bisogno di essa al fine di governare verso nuovi modelli.

E’ indubbio che l’incertezza nasce anche dal fatto che nessuno finora ha avanzato proposte utili a cercare una strada diversa da quella che nel 1998 e, in modo grave, attualmente, sta distruggendo le ricchezze prodotte da un modello che ha asservito il mercato e che ha così perduto il riferimentoche viene opposto – sbagliando al giudizio di valore delle comunità e degli Stati. Il fatto che nel Paese che aveva come regola fissa per il voto, quella del maggioritario puro, l’elettorato abbia fatto saltare anche tale sistema per approdare al vecchio sistema proporzionale e per lasciare aperta la strada a due diverse coalizioni la dice lunga sul fatto che in un periodo di tempeste sia possibile preconfezionare maggioranze. Neppure in guerra era accaduto a Londra che il giorno dopo le elezioni mancasse un premier da presentare alla regina. Ora è accaduto. La Gran Bretagna ha condotto, prima con Blair e poi con Gordon Brown, la sua politica fingendo che fosse ancora in vigore l’asse Churchill-Roosevelt e che gli equilibri del mondo fossero ancora quelli del dopoguerra. Le sue più importanti società finanziarie ed economiche sono in gran parte ormai controllate da americani, russi, arabi e cinesi e la leggenda  che sia ancora il London Stock Eschange di Londra a regolare gli affari mondiali continua a vivere solo in chi ha venduto ai londinesi la Borsa italiana. Non c’è in realtà nessun azionista od operatore di borsa del mondo globalizzato che attenda con ansia l’apertura e la chiusura del mercato borsistico di Londra: quelli che si attendono sono i segnali che vengono da Wall Street, Tokio, Shangai.

Mai come negli ultimi anni la Gran Bretagna è andata isolandosi dal resto dell’Europa cui appartiene e a cui molto avrebbe potuto dare. E in Europa il bello e il cattivo tempo lo fa la Merkel con l’abile sostegno di Sarkozy e l’ossequio subalterno di molti altri.

Se vogliamo capire le incertezze degli elettori inglesi, recatisi a votare in numero maggiore dell’ultima volta e, quindi coscienti della gravità del momento, non possiamo prescindere da questi dati. Che sono tristi anche per noi, abituati a guardare alla Gran Bretagna come al paese che ha ha dato al mondo l’economia come scienza, che ha dato all’Europa il Welfare – strumento che fino ad un certo momento ha condizionato il capitalismo e lo ha contemporaneamente sostenuto – e che oggi appare assente dal dibattito sul futuro che vede protagonisti un’indiano, un americano ed un francese: Stiglitz, Sen e Fitoussi.

Chi crede che la crisi economica sia un avvallamento incontrato sul cammino e che basta “uscirne” per ritrovarsi a canmminare felici su un prato di margherite sarà lieto del risultato . Noi la pensiamo diversamente. E gli elettori inglesi anche. Purtroppo per loro, Klegg ha scelto i conservatori ma ha nelle sue mani un diritto di veto.

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