Le disuguaglianze territoriali nella distribuzione dei redditi delle famiglie italiane

Luigi Biggeri, Caterina Giusti, Achille Lemmi, Stefano Marchetti e Monica Pratesi presentano un’analisi delle disuguaglianze territoriali nella distribuzione dei redditi delle famiglie italiane. In particolare, essi misurano e comparano la disuguaglianza dei redditi familiari, di mercato e disponibili, tra le diverse regioni italiane e all’interno di ciascuna regione, e valutano se e quanto le disuguaglianze regionali contribuiscano alla disuguaglianza complessiva dei redditi familiari a livello nazionale.

Una prima misura della disuguaglianza economica tra le famiglie delle regioni italiane si può ricavare osservando i redditi familiari equivalenti disponibili, che sono il risultato dell’interazione del processo di formazione dei redditi da lavoro e da capitale, che avviene sul mercato, e di quello di redistribuzione delle risorse da parte dell’intervento pubblico attraverso imposte personali e trasferimenti monetari (vedi Fig.1). Il termine equivalente si riferisce al fattore di scala utilizzato per omogeneizzare i redditi di famiglie di diversa ampiezza e composizione, in modo da tener conto dei diversi bisogni di minori e adulti e delle economie di scala che si realizzano con la coabitazione di più componenti.

Fig. 1 Reddito medio mensile familiare equivalente disponibile nel 2014: intervalli di stima al 95%. Elaborazioni su dati EU-SILC

Dalla Fig. 1 sono evidenti le forti disuguaglianze presenti all’interno del nostro Paese. Mentre il livello di reddito disponibile dell’Italia è vicino alla media europea, le differenze tra i redditi equivalenti familiari medi regionali sono piuttosto elevate: nel 2014 il reddito medio familiare equivalente disponibile nella provincia di Bolzano risulta più elevato di circa il 75% di quello della Calabria e del 74% di quello della Sicilia, e il reddito medio della Lombardia supera quello delle due suddette regioni, rispettivamente, del 69% e 68%.

Per verificare come la crisi economica abbia influenzato la distribuzione territoriale dei redditi familiari, sono state effettuate le stime anche per l’anno 2010 e i valori a prezzi correnti dei due anni 2010 e 2014 sono stati resi comparabili utilizzando gli indici regionali dei prezzi al Consumo per l’Intera Collettività nazionale (NIC) pubblicati dall’Istat. L’esame delle stime a prezzi costanti evidenzia nel 2014 una sostanziale riduzione dei valori medi e anche il fatto che la differente evoluzione dei prezzi nelle varie regioni ha provocato un aumento della disuguaglianza di quasi 10 punti percentuali nelle distanze tra regioni con i redditi più alti e più bassi. Ciò dimostra che il periodo di crisi ha provocato un aumento delle disuguaglianze territoriali anche a causa della diversa evoluzione dei prezzi sui vari mercati.

Per misurare la disuguaglianza dei redditi familiari all’interno delle regioni sono state stimate le distribuzioni dei redditi equivalenti disponibili per ciascuna regione nell’anno 2014. I risultati confermano sia la presenza di elevata disuguaglianza interna alle regioni, sia la differenza di tale disuguaglianza tra le regioni. Per permettere di apprezzare le differenze nelle disuguaglianze, nella Fig.2 abbiamo evidenziato (nella parte sinistra) le distribuzioni delle regioni del Nord (linea continua) del Centro (linea tratteggiata) e del Sud-Isole (linea puntinata) e, separatamente (nella parte destra), le distribuzioni di quattro importanti regioni delle varie zone del paese: Lombardia, Toscana, Campania e Sicilia.

Fig.2 Distribuzione del Reddito familiare equivalente disponibile mensile nelle regioni – Anno 2014. A sinistra distribuzioni per le regioni del Nord (linea continua), del Centro (linea tratteggiata) e del Sud-Isole (linea puntinata), a destra distribuzioni per Lombardia, Toscana, Campania e Sicilia.

Volendo valutare la disuguaglianza in modo sintetico abbiamo calcolato le seguenti due misure: i) il Rapporto tra quote di reddito P80/P20, ovvero, il rapporto fra il reddito detenuto dal 20% più ricco e più povero delle famiglie; ii) l’Indice di Gini che, come è noto, varia tra 0 (assenza di disuguaglianza o concentrazione: tutte le famiglie dispongono dello stesso reddito) e 1 (massima o perfetta disuguaglianza o concentrazione: solo una famiglia possiede tutto il reddito disponibile).

Sulla base dei valori del rapporto P80/P20, si rileva che le famiglie delle regioni del Sud-Isole oltre ad avere redditi medi disponibili decisamente più bassi di quelle del Centro-Nord, hanno anche disuguaglianze più elevate all’interno delle regioni. Le regioni che registrano le differenze più elevate sono la Sicilia, dove nel 2014 il quintile di famiglie più ricche ha un reddito superiore di oltre sei volte rispetto al quintile delle famiglie più povere (6,38) e la Campania (5,20). Da segnalare che anche nel Lazio e nella Lombardia i valori del rapporto P80/P20 risultano abbastanza elevati, rispettivamente 4,80 e 4,34.

I valori più bassi si rilevano per il Veneto (3,35) e per il Friuli-Venezia Giulia (3,41) che sono, quindi, regioni in cui vi è una ben minore differenza tra le famiglie “ricche” e le famiglie “povere”. Tra il 2006 e il 2014 il rapporto è aumentato in modo consistente in Sicilia (+1,41) e, in misura minore,  in Sardegna (+0,51) e Toscana (+0,33).

I valori stimati dell’indice di Gini confermano, com’è logico, le elevate disuguaglianze dei redditi disponibili all’interno delle regioni italiane. Anche sulla base di questo indicatore, la Sicilia (con un valore dell’indice pari a 32,3%) e la Campania (30,1%) risultano nel 2014 le regioni con il più elevato livello di disuguaglianza complessiva; la Sicilia ha anche visto crescere – ed in modo piuttosto consistente – la disuguaglianza (+1,72 punti dal 2006 al 2014). Il Veneto (23,6%) e il Friuli-Venezia Giulia (23,7%) si confermano come le regioni con la minore disuguaglianza interna in termini di reddito disponibile delle famiglie.

A questo punto possiamo porci due domande: Come contribuiscono le disuguaglianze regionali alla disuguaglianza nazionale? E contano di più quelle tra regioni o quelle interne alle regioni? Rispondere non è agevole; tuttavia, effettuando la scomposizione degli indici di disuguaglianza emerge che le disuguaglianze interne alle regioni hanno l’effetto maggiore sulla disuguaglianza complessiva, come già discusso sul Menabò.

La misura dell’impatto delle imposte e dei trasferimenti pubblici sulle distribuzioni familiari dei redditi è molto importante per comprendere in quale misura le politiche possono influenzare gli esiti distributivi del mercato (OCSE, Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising, Paris, 2011,; . Franzini e M. Pianta, Explaining inequality, Routledge, 2016). Per effettuare questa valutazione occorre confrontare i redditi familiari equivalenti disponibili con i redditi familiari equivalenti di mercato. Questi ultimi sono il risultato del processo di formazione dei redditi da lavoro e da capitale, che avviene sul mercato, mentre i primi risultano dal processo di redistribuzione di risorse da parte dell’intervento pubblico attraverso imposte personali e trasferimenti monetari.

In Italia questo impatto è certamente significativo: esso determina un notevole abbassamento dei livelli di disuguaglianza – superiore a quello medio dei paesi dell’OCSE – anche se sensibilmente inferiore a quello di altri paesi, in particolare della Germania e della Francia. La differenza tra le stime degli indici di Gini calcolate sui redditi di mercato e sui redditi disponibili è ampia sia a livello nazionale (13 punti percentuali) che a livello regionale; ciò vale anche tenendo conto degli intervalli di confidenza (Fig.3).

 

Figura 3: Indice di Gini dei redditi equivalenti di mercato e disponibili, 2014. Elaborazioni su dati EU-SILC

Concludendo, occorre osservare che una corretta valutazione della disuguaglianza del reddito familiare tra le regioni italiane dovrebbe tenere in considerazione le differenze regionali nel costo della vita. Purtroppo, non è facile disporre di appropriati indici regionali, mentre la procedura è oramai consolidata a livello internazionale attraverso l’utilizzo di indici spaziali come le Parità del Potere di Acquisto (World Bank, Measuring the Real Size of the World Economy: The Framework, Methodology and Results of the International Comparison Program, 2014,) e gli indici del costo delle abitazioni (Renwick, Alternative Geographic Adjustments of U.S. Poverty. Thresholds: Impact on State Poverty Rates, Working papers 2009-11).

In Italia, una stima approssimata delle Parità di Potere di Acquisto a livello regionale si può ottenere utilizzando le Parità di Potere di Acquisto regionali per i consumi delle famiglie stimate dall’Istat per l’anno 2009, che possono essere “aggiornate” ad anni più recenti usando gli indici Istat dei prezzi al consumo. Gli indici spaziali del costo dell’utilizzo delle abitazioni a livello regionale possono invece essere stimati sulla base degli affitti e dei fitti imputati medi delle famiglie di ciascuna regione, utilizzando i micro-dati dell’Indagine EU-SILC.

Svolgendo tali analisi relativamente all’anno 2014, si giunge a stimare, seppure in modo approsimativo, che a livello regionale  vi sono rilevanti differenze nel livello dei prezzi al consumo (PPA), negli affitti delle abitazioni (ISPA) e tra i valori dei due indici spaziali. Pertanto, se questi fossero applicati per avere valori “reali” e regionali della spesa per consumo o del reddito disponibile pro-capite la graduatoria delle Regioni cambierebbe significativamente. E’, inoltre, da notare che il range dei due indici spaziali è molto differente; esso varia fra 0,94 e 1,10 per le PPA e fra 0,55 e 1,37 per gli ISPA.

Rispetto alla media italiana i valori più elevati per le Parità del Potere di Acquisto si registrano nella provincia di Bolzano e in Liguria, mentre quelli più bassi si hanno in Campania. Relativamente all’indice del costo delle abitazioni i valori più alti sono nella provincia di Bolzano, in Lombardia e nel Lazio e quelli più bassi in Sardegna, Basilicata e Calabria. Ciò conferma che se si utilizzassero tali indici spaziali per determinare i redditi familiari medi disponibili “in termini reali” la classifica delle Regioni ne risulterebbe modificata. E’, quindi, evidente quando siano rilevanti questi confronti e, di conseguenza, quanto sarebbe importante poter disporre di adeguate informazioni statistiche al riguardo.

* Questo articolo si basa su un nostro più ampio contributo pubblicato nel volume “Il mercato rende diseguali?” a cura di M. Franzini e M. Raitano, Il Mulino, 2018.

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