Le disuguaglianze salariali: buone notizie dagli Stati Uniti?

Valerio Ciampa e Daniele Robiony esaminano un recente Rapporto dell'Economic Policy Institute dal quale risulta che negli Stati Uniti, per la prima volta da quasi mezzo secolo, i salari delle fasce povere sono cresciuti più di quelle ricche. Ciampa e Robiony illustrano come queste tendenze si sono manifestate tra gruppi diversi (per etnia, per genere), presentano le possibili spiegazioni e si chiedono se siano destinate a durare nel tempo o invece costituiscano un isolato episodio.

L’ultimo Rapporto sulle disuguaglianze salariali negli Stati Uniti, pubblicato dall’Economic Policy Institute nel marzo 2017, e redatto da Elise Gould, contiene un’importante novità. Per la prima volta, infatti, dopo quasi quattro decenni di ininterrotto ampliamento della disuguaglianza retributiva, nel 2016 i salari dei lavoratori appartenenti alle fasce medio-basse sono cresciuti più di quelli di chi si trova al top della distribuzione. Sembra così interrompersi una tendenza in atto da quasi mezzo secolo e non contrastata, anzi favorita, da politiche che hanno impedito ai salari di aumentare allo stesso tasso a cui cresceva la produttività. La tesi che sembra prevalere nel Rapporto è che la ripresa economica, dopo aver coinvolto il settore finanziario, abbia iniziato a interessare il mercato del lavoro e che le positive tendenze siano da ascrivere all’aumentato potere contrattuale dei lavoratori, dovuto a due fattori principali: la relativa piena occupazione negli Stati Uniti e i bassi tassi d’interesse della Federal Reserve.

Ma siamo di fronte a un’inversione di tendenza duratura o a una temporanea attenuazione delle forze della disuguaglianza in atto da anni? Per rispondere a questa domanda è utile esaminare più in dettaglio i contenuti del Rapporto.

Va, anzitutto, ricordato che il Rapporto non si limita a mostrare l’andamento dei redditi nei vari punti della distribuzione, ma fornisce ulteriori evidenze sulle disuguaglianze salariali di genere e sui divari retributivi tra lavoratori di diverse etnie e con diverso livello di istruzione. Il gender-gap è diminuito rispetto ai livelli precedenti la grande recessione: oggi una lavoratrice guadagna in media l’83,2% della sua controparte maschile, rispetto al 78,3% del 2000. Per quanto concerne le differenze legate alle origini etniche, si registra un sorpasso (in direzione negativa) degli afro-americani sugli ispanici in termini di divario salariale rispetto ai bianchi: gli afroamericani sono, dunque, diventati il gruppo etnico che percepisce il salario relativamente più basso. Inoltre, mentre per i bianchi la paga oraria è cresciuta rispetto ai periodi pre-crisi, le condizioni salariali dei neri americani continuano a peggiorare (fatta eccezione per il 2016). Infine, continua ad aumentare il premio derivante dall’istruzione, anche se a tassi minori rispetto al periodo 1980-1990.

Nel periodo 2000-2016 la crescita salariale, come affermato poc’anzi, ha favorito soprattutto i lavoratori che si posizionano nella coda alta della distribuzione, mentre, in termini relativi, non si è osservato un ampliamento del divario retributivo fra i lavoratori mediani e quelli meno pagati: il rapporto tra il cinquantesimo percentile e il decimo è rimasto infatti costante dal 2000 al 2016, mentre contrario quello tra il novantacinquesimo e il cinquantesimo è cresciuto sensibilmente (figura 1). Il 2015-2016 rappresenta un’inversione di tendenza anche in base a questo indicatore: nell’ultimo anno, infatti, il salario mediano è aumentato del 3,1%, superando così, dopo quasi 10 anni, il valore che aveva prima dell’esplodere della crisi; l’incremento, per il ventesimo percentile, è addirittura del 6,4%. Questo dato non può però destare eccessivi entusiasmi, se paragonato alla crescita esponenziale, tra il 1978 e il 2015, dei salari dell’1% più ricco della popolazione: 156,7%.

Fig. 1: Variazione Cumulata Percentuale dei Salari Orari Reali nei vari percentili (2000-2016)

andamento salari usa (scheda Ciampa-Robiony)Nota: il campione comprende lavoratori compresi tra 16-64 anni

Fonte: Economic Policy Institute

 

Come detto, si sono osservate modifiche anche nei divari salariali di genere. Nonostante l’ultimo anno abbia registrato un aumento, il gender pay gap si è ridotto di oltre due punti percentuali rispetto ai livelli del 2000; è però anche vero che la forbice si è ampliata al vertice della distribuzione. Per quanto concerne le distribuzioni within – cioè all’interno di gruppi considerati omogenei – l’andamento della distribuzione delle retribuzioni fra le donne appare caratterizzato da una minore sperequazione rispetto a quanto si osserva fra gli uomini: se infatti tra gli uomini sono cresciute le retribuzioni orarie tanto in coda quanto al vertice della distribuzione e i salari mediani sono più bassi sia rispetto a quelli del 2000 che a quelli del 2007, fra le donne le retribuzioni orarie risultano aumentate lungo l’intera scala distributiva. Tuttavia, nonostante il valore medio inferiore rispetto a quello maschile, le disuguaglianze retributive all’interno della componente femminile della forza lavoro risultano in costante crescita dal 2000.

La riduzione del gender-gap appare imputabile all’aumento del salario minimo; esso, infatti,. ha avuto un impatto maggiore sulla retribuzione delle donne, che costituiscono i due terzi di chi si situa nella coda bassa della distribuzione salariale. A conferma di ciò, si osserva come la crescita media del decimo percentile femminile sia stata del 6,3% negli Stati in cui è stato aumentato il valore del salario minimo a fronte del 2,5% negli Stati in cui tale misura non è stata adottata.

Spostando l’attenzione sulle disuguaglianze etniche, il 2016 ha visto una crescita dei salari per tutti i gruppi, specie per gli ispanici e più in generale per tutte le categorie a basso reddito, eccezion fatta per i salari orari dei lavoratori afroamericani. Le retribuzioni dei neri, infatti, hanno registrato un deciso declino durante la grande recessione e non sono ancora tornate ai livelli precedenti la crisi economica.

Migliore invece è il trend delle retribuzioni dei lavoratori bianchi e degli ispanici. Per questi ultimi il salario è cresciuto nell’ultimo anno in ogni decile della distribuzione e risulta, attualmente, lungo l’intera distribuzione, superiore al livello che raggiungeva prima dell’inizio della crisi.

Vanno però enfatizzati i due aspetti più rilevanti relativi ai differenziali fra lavoratori di diversa etnia: i) l’aumento delle disuguaglianze all’interno di ogni singolo gruppo etnico nel periodo 2000- 2016; ii) l’inversione dei gap salariali (nei confronti dei bianchi) tra ispanici e neri: il race-gap neri-bianchi si è ampliato di 4 punti percentuali tra il 2000 e il 2016, mentre quello tra bianchi e ispanici è diminuito nell’arco di sedici anni passando dal 12,7 a 10,5 punti percentuali.

Infine, risultati molto interessanti emergono dall’analisi sul ruolo dell’istruzione come determinante delle disuguaglianze salariali. Partendo dal legame tra il grado d’istruzione e le disuguaglianze di genere, si riscontra una relazione diretta tra titolo di studio e gender-gap: è possibile notare, infatti, che mentre il salario medio di una donna con diploma è l’80% di quello di un suo collega, mentre tale quota scende a circa il 70% se si confrontano i laureati.

In termini salariali, la correlazione tra gruppo etnico e livello d’istruzione è più eterogenea e presenta diverse sfumature. A ogni livello d’istruzione, i lavoratori neri sono pagati meno rispetto ai loro colleghi bianchi e il divario salariale risulta cresciuto nel periodo 2000-2016 Al contrario, il divario fra ispanici e bianchi si è ridotto, eccetto che fra coloro che sono in possesso di una laurea specialistica.

L’ultima analisi condotta nel Rapporto riguarda il college premium, ossia il premio salariale conseguito dai laureati rispetto ai diplomati. La crescita del college premium, passato dal 51,6% al 56,6% dal 2000 al 2016, non è in grado da sola di spiegare l’aumento delle disuguaglianze salariali. Infatti se tra il 1979 e il 2000 si potevano associare alte disuguaglianze ad un elevato college premium, dal 2000 al 2016 ciò non è più possibile: il college premium si è decisamente ridotto diversamente dalle disuguaglianze. A conti fatti, la variazione positiva del “premio” derivante dal conseguimento di livelli d’istruzione più elevati, registratasi negli ultimi anni, sembrerebbe interamente trainata dal dato relativo ai salari percepiti dagli uomini, mentre quello delle donne è addirittura in calo nel periodo 2015-2016.

L’analisi contenuta nel Rapporto è certamente ricca tuttavia per una migliore comprensione di quello che è accaduto ulteriori approfondimenti sarebbero stari utili. Ad esempio, il Rapporto non indaga come la crescita salariale si sia distribuita nei diversi settori produttivi; questo aspetto appare, infatti, cruciale per meglio capire le dinamiche recenti del mercato del lavoro statunitense e per valutare, ad esempio, in quale misura, i settori più aperti al commercio internazionale o a processi di automazione siano interessati da più ampie variazioni retributive.

In ogni caso, i dati che abbiamo richiamato invitano a qualche cautela nella valutazione dei pur positivi sviluppi in tema di disuguaglianza salariale di cui, dopo molti decenni, hanno beneficiato le fasce più vulnerabili della popolazione americana. In effetti i motivi per dubitare che si tratti di una definitiva inversione di tendenza – e per considerare comunque ben poco soddisfacente la distribuzione dei salari negli Stati Uniti – sono diversi. In primo luogo va ricordato che, malgrado l’ultimo positivo anno, il quadro generale delle disuguaglianze risulta ancora molto problematico ed in particolare rimangono profondi, nella società americana, i divari di genere ed etnia. Inoltre, la strada verso la piena occupazione, quindi verso una maggior forza contrattuale dei lavoratori, potrebbe essere minata dagli incrementi dei tassi d’interesse recentemente stabiliti dalla Federal Reserve, che potrebbero comportare una riduzione degli investimenti e della domanda di lavoro. Infine, non si può non menzionare l’incognita rappresentata dalla politica che adotterà la nuova amministrazione Trump con le sue possibili ripercussioni negative sulle condizioni lavorative delle minoranze etniche e delle donne, a vantaggio delle classi più abbienti e privilegiate.

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