Le disuguaglianze in Russia: dal dissolvimento dell’URSS ai nostri giorni

Francesco Colcerasa ricostruisce le origini e la dinamica della forte disuguaglianza che caratterizza attualmente la Russia. Colcerasa presenta i dati relativi alla distribuzione del reddito e della ricchezza dal dissolvimento dell’Unione Sovietica nel 1991 sottolineando la forte accelerazione di tutti gli indicatori di disuguaglianza nell’ultimo decennio del secolo scorso e la loro successiva stabilizzazione su valori molto elevati, in particolare per quello che riguarda la concentrazione al vertice della distribuzione.

L’obiettivo di questa breve nota è esaminare l’evoluzione delle disuguaglianze di reddito e ricchezza in Russia successivamente al 1991, anno della caduta dell’Unione Sovietica. Nei primi 10 anni, caratterizzati da vasti programmi di liberalizzazione e privatizzazione adottati per favorire la transizione dell’economia russa da un modello pianificato ad uno di libero mercato, i vari indicatori della disuguaglianza sono cresciuti in modo vertiginoso e, come sottolinea Thomas Piketty  nella sua analisi storica della disuguaglianza, i divari di reddito fra le fasce della popolazione hanno raggiunto gradualmente livelli paragonabili a quelli della Russia zarista di inizio ‘900. A questo decennio ha fatto seguito un lungo periodo di sostanziale stabilizzazione – frutto anche di una rinnovata espansione dello stato, giustificata in parte dalla crisi economica e finanziaria del 2007-2008 – e, negli anni più recenti, una leggera regressione senza, però, riavvicinarsi ai livelli iniziali (Figura 1).

 

Figura 1: Evoluzione della disuguaglianza dei redditi lordi dalla caduta dell’URSS a oggi

Fonte: World Inequality Database.

 

Più nello specifico, l’indice di Gini relativo ai redditi lordi tra il 1991 e il 1997 è passato da 0,3 a oltre 0,6; alla fine del primo decennio è diminuito leggermente, raggiungendo il valore di 0,55 – comunque fra i più alti al mondo – e negli anni più recenti è rimasto a quel livello. Un andamento speculare, nei punti di massimo e minimo, ha seguito la quota di reddito percepito dal 10%: dal 25% circa del 1991 tale quota era quasi del 50% nel 2021 e valori ben maggiori aveva raggiunto alla soglia del secolo e nell’anno della crisi finanziaria. Stesso discorso vale per la quota del 1% più ricco, seppur con una crescita meno rapida negli anni ’90; è interessante notare come al percentile più ricco della popolazione andasse meno di un decimo del reddito totale all’inizio del periodo e ben più del doppio nel 2021, nonostante la regressione post-crisi del 2007. Ne consegue che la disuguaglianza è molto forte anche tra i più ricchi: infatti, quasi la metà dei redditi del decile più ricco va a 1/10 di tale segmento di popolazione. Risultati simili emergono se si guarda alla dinamica reddituale della classe media – identificata con il 40% centrale della distribuzione – e della fascia bassa della distribuzione. La quota della prima è diminuita in modo lento ma costante di oltre dieci punti percentuali lungo tutto il periodo. Per la metà più povera della popolazione, invece, la decrescita è stata più brusca: la sua quota da poco meno del 30% nel 1991 è scesa al 10% (minimo assoluto) nel 1996 ed è poi risalita, stabilizzandosi attorno al 17% negli ultimi anni.

Se si considera invece del reddito lordo quello netto, cioè dopo l’intervento pubblico redistributivo, si possono rinvenire leggere differenze rispetto allo scenario di mercato appena descritto, qualunque indicatore di disuguaglianza venga preso in considerazione (Figura 2).

 

Figura 2: Evoluzione della disuguaglianza dei redditi netti dalla caduta dell’URSS a oggi

Fonte: World Inequality Database.

 

Una comparazione precisa non è possibile a causa della mancanza di dati successivamente al 2015. In ogni caso, guardando l’ultimo dato disponibile (2014) e confrontandolo con i dati lordi, emerge che sono stati molto lievi gli effetti delle politiche di redistribuzione. In particolare, le quote della classe media e della metà più povera della popolazione sono aumentate a malapena di un punto percentuale, che è sostanzialmente l’entità della diminuzione osservata nel decile e percentile nella coda destra della distribuzione. Tali modesti cambiamenti sono confermati dalla differenza tra l’indice di Gini precedente all’intervento pubblico e quello successivo ad esso: circa due punti percentuali (Tabella 1).

 

Tabella 1: La disuguaglianza in Russia nel 2014*

Fonte: https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=RU.

 

Risalire alle cause di questo incremento delle disuguaglianze è un compito complesso. Occorrerebbe indagare a fondo le caratteristiche della transizione da un’economia pianificata ad un’economia di mercato, caratterizzata da vaste politiche di liberalizzazione e privatizzazione. Tra le varie misure a tal fine intraprese la flessibilità dei prezzi ha portato ad una forte spinta inflazionistica (2250% nel 1992), mentre la convertibilità del rublo in un sistema di cambi fluttuanti ha esposto la bilancia dei pagamenti alle dinamiche speculative del mercato internazionale. Inflazione e deprezzamento della valuta nazionale hanno, a loro volta, provocato una caduta drastica sia dei redditi in termini reali che dei consumi e, conseguentemente, del benessere, specialmente per la classe medio-bassa. Le politiche monetarie e fiscali fortemente restrittive, introdotte per frenare l’inflazione, hanno aggravato la situazione, determinando una profonda e generalizzata recessione economica.

Inoltre, la rapida privatizzazione di massa ha frantumato e smembrato la grande maggioranza delle imprese pubbliche, esponendo queste ultime ad azioni predatorie da parte delle élites politiche. Ciò ha posto le basi per la rapida crescita della disuguaglianza di reddito (e di ricchezza) e ha favorito la formazione di un gruppo ristretto di multimiliardari (normalmente chiamati ‘oligarchi’) che detengono la maggior parte delle ricchezze nazionali (Figura 3). I meccanismi che hanno portato a questa situazione sono molteplici. Eccone alcuni: l’accesso privilegiato di pochi eletti a prodotti primari (come il petrolio) e alle relative imprese produttrici e licenze di esportazione; la disponibilità di credito per gli stessi a tassi d’interesse di favore altamente negativi in termini reali (a fronte di rialzi elevati nei prezzi delle azioni e dei valori immobiliari); l’appropriazione azionaria privata delle più grandi imprese pubbliche.

 

Figura 3 – Evoluzione della disuguaglianza di ricchezza dalla caduta dell’URSS a oggi

Fonte: World Inequality Database.

 

Non sorprende, quindi, che sia aumentata anche la disuguaglianza di ricchezza. Purtroppo, una limitata disponibilità di dati permette di focalizzarsi solo sugli anni successivi al 1995, escludendo i primi 4 anni dalla caduta dell’Unione Sovietica nel corso dei quali il processo di concentrazione ebbe un grande impulso. Dopo il 1995 un già alto indice di Gini sulla disuguaglianza di ricchezza (oltre 0,6 nel 1995) è ancora aumentato, fino a raggiungere il suo massimo di oltre 0,8 nel 2021. Come mostrato nella Figura 2, decisiva sembra essere stata la dinamica del decile più ricco che è speculare a quella dell’indice di Gini, anche se la concentrazione della ricchezza si è ripresa assai meglio della concentrazione del reddito. Inoltre, contrariamente al caso del reddito, la polarizzazione della ricchezza ha continuato ad aumentare anche dopo la crisi finanziaria del 2007 fino ad oggi.

Attualmente, il 10% più ricco della popolazione detiene oltre il 70% della ricchezza, mentre il percentile più ricco ne detiene quasi la metà, cheè il doppio della sua quota negli anni ‘90. È interessante notare come ci siano stati cambiamenti meno bruschi, seppur regressivi, per le fasce meno ricche della popolazione. La classe media ha sperimentato una lenta decrescita dal 1995 ad oggi, con una leggera ripresa nel 2008, che coincide con la diminuzione delle quote della coda destra della distribuzione. La quota della metà meno ricca, invece, è stata per lo più costante, seppur con leggere diminuzioni all’inizio del periodo in esame e subito dopo la crisi finanziaria.

In breve, a oggi, la situazione che emerge dai dati è, seppur stabile, estremamente diseguale, sia che si guardi al reddito sia che si guardi alla ricchezza. Quest’ultima, nel 2021 presenta indici di disuguaglianza ai massimi storici (minimi, per quelli riguardanti la coda sinistra della distribuzione). Allo stesso modo, nonostante un leggero miglioramento rispetto al periodo a cavallo del millennio, la disuguaglianza di reddito si attesta su valori estremamente alti. La situazione attuale, legata alla guerra in Ucraina, solleva ulteriori questioni.

L’Occidente ha imposto severe sanzioni economiche nei confronti della Federazione Russa, che si aggiungono a quelle già messe in atto nel 2014 in occasione della guerra di Crimea. Le restrizioni delle relazioni commerciali e di cooperazione internazionale comporteranno notevoli cambiamenti nella struttura della domanda aggregata russa, sia estera che interna, e più in generale nel sistema economico russo. Se e in che misura le sanzioni incideranno sulle disuguaglianze interne alla Russia, mettendo sotto pressione l’economia interna, è questione aperta.

Come evidenziano alcuni, l’obiettivo implicito delle sanzioni è mettere sotto pressione l’economia interna, indirizzando l’opinione pubblica russa contro il proprio establishment. La condizione necessaria per l’avversarsi di questo risultato è che gli effetti delle sanzioni si abbattano su una fetta di popolazione quanto più ampia possibile. Se questo dovesse accadere, e le sanzioni dovessero determinare l’aumento disoccupazione e deflazione salariale, colpendo le classi lavoratrici e fra queste le fasce più deboli, è plausibile attendersi un ulteriore aggravamento di una già grave disuguaglianza.

 

*Il 2014, secondo i dati World Bank, è l’ultimo anno del più lungo periodo di crescita sostenuta (eccetto che per il 2008, che è tuttavia l’anno della crisi finanziaria) dalla caduta dell’URSS, in atto dal 1999.

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