Le conseguenze del talento apparente

Emiliano Mandrone e Leonardo Proeitti Pannunzi affrontano la questione della formazione del capitale umano partendo dalle abilità e talenti posseduti a 13 anni. Dopo aver osservano che molte di queste attitudini vanno perse tra coloro che provengono dalle famiglie più povere, Mandrone e Proietti Pannunzi sottolineano che questa non è soltanto una forma di disuguaglianza ma anche un grande spreco per il Paese e concludono che per porvi rimedio occorre investire nell’istruzione soprattutto di chi proviene da un retroterra familiare e sociale debole.

Avevate all’età di 13 anni una passione Allora siete in buona compagnia: 22 milioni d’italiani hanno indicato di avere avuto una passione sportiva (45%), per l’arte e disegno (12%), per la matematica (10%), per la letteratura e la scrittura (8%) o la musica (7%). Residuali danza, scienze e lingue straniere. Il 28% ha assecondato questa passione nella scelta del percorso scolastico, il 34% l’ha fatto diventare un hobby, il 35% l’ha abbandonato e solo per l’1% è stata una distrazione.

Premesso che il talento prodigioso è raro e si manifesta per il possesso di specifiche capacità straordinarie, avere una passione per una certa attività non implica che la si sappia svolgere meglio di altri. Anche assumendo che una passione possa discendere da una specifica abilità, essere il migliore ballerino del paese o il più bravo pallavolista del liceo, fa di noi solamente le persone più dotate della nostra cerchia.

Talento/abilità e passione non sono, dunque, concetti sovrapponibili: “si può avere una grande passione per il tennis, ma nessun talento specifico. Sperare di farne un lavoro potrebbe essere controproducente, ma potrebbe essere positivo coltivarla in termini di socializzazione“. A complicare la relazione fra talento e passione c’è anche un problema di auto-percezione: chi è bravo in tutto potrebbe non riconoscersi talenti particolari mentre chi eccelle solo in un’abilità rischia di sovrastimarne il suo valore. Serve una lettura comparata per misurarsi.

La nostra analisi, basata sui dati della rilevazione PLUS del 2016, non intende valutare la diffusione di talento e abilità – due variabili, per loro natura, molto difficili da osservare, soprattutto in interviste individuali che, fra le altre cose, intendono rilevare le percezioni degli intervistati –, ma pur con tutti i caveat appena ricordati, intende valutare le conseguenze della passione o inclinazione che consentono di sviluppare i punti di forza di Clifton (esecuzione, influenza, relazione e pensiero strategico) o ridurre i gradi di separazione o creare le famigerate soft skills. Infatti, assecondare la propria attitudine – parallelamente al percorso scolastico – arricchisce il bagaglio culturale e relazionale poiché, nell’agire le proprie abilità, si fanno implicitamente esperienze (esibirsi, coordinare, comunicare, viaggiare) e ciò attiva una sorta di moltiplicatore delle abilità.

“Tutti i bambini sono artisti, il difficile sta nel rimanerlo da grandi” diceva Picasso ovvero crediamo nella distribuzione normale delle abilità alla nascita. Abbiamo anche verificato come la composizione delle tipologie di attività sia piuttosto stabile nel tempo e per estrazione sociale.

Nella fig. 1 si mostra l’incidenza del talento apparente: è abbastanza uniforme nella popolazione, intorno al 50% (linea blu). Ciò comporta che l’85% del giacimento di abilità e competenze è presente tra chi vive in famiglie con meno di 3.000€/mese (il 60% tra chi ha meno di 2.000€) da cui, però, arriva un esiguo contributo alla quota di laureati, quasi che le capacità non coltivate si atrofizzino. Ci sono ancora molti ostacoli di ordine economico e sociale da rimuovere che si frappongono a circa 1,5 milione di laureati mancati.

Valorizzarli è nell’interesse della comunità in quanto portatori di creatività, proteina che protegge, ad esempio, dal rischio di essere sostituiti dai robot. Pertanto, scoprire le capacità è anch’esso un talento prezioso. Il sistema di istruzione (già in età prescolare) deve valorizzare passioni incolte, essere levatrice di abilità incompiute, far prendere il largo a una barca che non esce mai dal porto.

Le abilità socio-comportamentali e quelle cognitive sono viste come set distinti. Sovente le prime sono considerate caratteristiche congenite e i programmi educativi non includono nei propri canoni didattici strategie per svilupparle, contribuendo a una frattura che determinerà i percorsi scolastici e professionali futuri. Non a caso le passioni (che potrebbero essere un segnale di abilità specifiche) sono presenti nelle famiglie meno abbienti in maniera simile alle altre, mentre i laureati lo sono molto meno.

Le abilità, non sono necessariamente virtù, ovvero non agiscono solo in positivo: sotto la passione a volte si cela un dáimon, un vizio, un crimine… Sovente il contesto determina la polarità dell’abilità.

La fig. 2 rappresenta i livelli medi osservati di partecipazione e di reddito da lavoro lordo annuo in relazione alla passione assecondata, abbandonata, divenuta un hobby o assente. L’osservazione è limitata ai 50-64enni, la fase della vita in cui si tirano le somme di tutte le scelte. Le conseguenze del talento presunto (ovvero della passione assecondata) portano a un premio salariale (lordo annuo) di 4.500€ rispetto a chi ha abbandonato la passione e di 3.000€ rispetto a chi l’ha trasformata in hobby. In termini di partecipazione al lavoro questa è maggiore per chi ha assecondato il talento (66%) rispetto a chi non ne aveva (53%), a chi l’ha abbandonato (56%) e a chi l’ha convertito in un hobby (63%).

Per dare dei punti di riferimento sono stati inseriti fattori di maggior rilevanza nell’affermazione individuale, quali l’istruzione, la classe d’età e la dote familiare. I punti sono valori medi di gruppo. È presente molta eterogeneità (Mincer docet): ad es. tra chi era appassionato di scienze e chi coltivava la danza si registra un tasso di occupazione doppio e un gap salariale di 10.000 € lordi annui. Emerge (linea blu) il profilo età-carriera tipico del ciclo di vita di Modigliani, dove la partecipazione è prima crescente poi decrescente, mentre la retribuzione è sempre crescente.

Fig.2 – Passione, istruzione, dote famigliare ed età per reddito lordo annuo e partecipazione lavorativa (50-64 anni), medie di gruppo. Plus 2016

Il ruolo delle reti informali nella collocazione è tale da far volgere spesso la lettura in negativo: il merito e lo studio devono essere strumenti di emancipazione necessari e sufficienti, o permarranno alto mismatch e fuga dei cervelli: se si crede nel valore dell’istruzione, la professionalità deve venire prima di tutto. Verrebbe da dire che il capitale umano è sempre più conoscenza e conoscenze?

Il contesto è decisivo nella coltura delle doti. È la povertà educativa che va risolta, sono le periferie esistenziali che vanno raccordate al corpo sociale. Le impostazioni meritocratiche perdono di credibilità quando non sono assicurati eguali punti di partenza. Due Premi Nobel ricordano ai duri di cuore che i costi sostenuti oggi per servizi educativi e sociali rappresentano un investimento nel futuro. Heckman stima nel 13% il ritorno di politiche di educazione e cura prescolare. “Nel passato sbagliavamo” nota Stiglitz “a ben vedere investendo in politiche sociali c’è un doppio dividendo: più uguaglianza significa anche più crescita”.

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