Le competenze dei lavoratori: soprattutto un problema di complementarietà tra le politiche

Sergio Scicchitano e Raffaele Trapasso basandosi su una recente pubblicazione dell’OCSE propongono alcune riflessioni sulle politiche per le competenze di giovani e adulti in Italia. Dopo aver ricordato le deficienze del nostro sistema e la rilevanza, anche rispetto a questo problema, del dualismo territoriale, Scicchitano e Trapasso elencano alcuni criteri che le politiche dovrebbero rispettare in questo ambito, sottolineando l’importanza di prestare attenzione alle complementarità tra azioni dei lavoratori e delle imprese.

La recente pubblicazione del Rapporto dell’Ocse sulle competenze offre l’occasione per riflettere sia sulla situazione delle competenze (skills) di giovani e adulti in Italia – come rilevate dalle indagini PISA e PIAAC – sia, e soprattutto, sulle policy che bisognerebbe adottare per realizzare miglioramenti in un ambito decisivo per il benessere economico e sociale.

Alla presentazione del rapporto hanno partecipato rappresentanti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dello Sviluppo Economico, insieme alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Una così ampia partecipazione è un evento, piuttosto raro e si deve al fatto che l’OCSE ha coinvolto questi enti nella produzione del rapporto, favorendo la nascita di un vero e proprio “tavolo inter-ministeriale”.

L’approccio olistico adottato nell’analisi dall’OCSE ha permesso di analizzare criticità riguardanti le competenze dal lato sia dell’offerta (politiche dell’istruzione, latu sensu), sia della domanda (mercato del lavoro). Dal lato dell’offerta è significativa l’eterogeneità geografica dei risultati delle rilevazioni delle competenze. Per esempio, la survey PISA-OECD, che analizza le competenze dei 15enni conferma che il divario economico tra il Mezzogiorno e il resto dell’Italia si riflette anche nel gap di skills dei giovani, in questo caso dei giovanissimi: se, infatti, i risultati degli studenti residenti nella provincia di Bolzano sono eccellenti e comparabili con le performance dei migliori Paesi come la Corea o la Finlandia, i risultati degli studenti della Campania sono ben al di sotto della media OCSE ed in linea con le performance di paesi a reddito medio-basso come il Cile o Bulgaria. Nella sostanza la differenza nei risultati rilevati tra la provincia di Bolzano e la Campania equivale a un anno di scuola dell’obbligo. Ne deriva che il problema delle competenze dei più giovani in Italia ha una forte caratterizzazione regionale e riguarda in particolare il Mezzogiorno del Paese.

Stando, poi, alle rilevazioni della survey delle competenze degli adulti OCSE-PIAAC, in Italia il 12% della forza lavoro è over-skilled (le competenze non sono pienamente utilizzate) e l’8% è under-skilled (le competenze non sono adeguate alle mansioni da svolgere). Questi valori eccedono la media OCSE che è pari, rispettivamente, al 10 e al 4%. Il gap si traduce nel fatto che un quinto della nostra forza lavoro non riesce a sfruttare tutte le potenzialità delle proprie competenze, che risultano perciò inutilizzate o male allocate.

Dal lato della domanda, recenti stime dell’OCSE (L. Marcolin, S. Miroudot , M. Squicciarini, 2016) mostrano che l’Italia è l’unico paese del G7 in cui la maggior parte dei laureati è occupata in mansioni di routine. Anche questo dato sembra indicare che in Italia l’allocazione delle competenze dei lavoratori non è efficiente.

Lo skills mismatch, il fatto che non ci sia corrispondenza tra le competenze di un lavoratore e le mansioni da lui svolte, è un altro tasto dolente per il nostro Paese. Un’economia può creare e attivare un buon livello di competenze, ma se non riesce a integrarle nel sistema produttivo – senza “dissonanze” tra competenze e mansioni – non è in grado di promuovere la produttività aggregata. È da notare, poi, che lo skills mismatch rischia di aumentare con l’evoluzione del contenuto tecnologico dei processi produttivi (si pensi alla digitalizzazione, internet delle cose etc.) cagionando, così, un costo ben più rilevante in termini di tassi di crescita.

In questa situazione, l’OCSE, di concerto con il governo (e sulla base delle informazioni raccolte in una serie di workshop che hanno coinvolto più di 200 attori chiave nel sistema nazionale delle competenze) identifica 4 aree in cui l’Italia ha bisogno di migliorare le proprie politiche per le competenze: sviluppo, attivazione dell’offerta, uso effettivo, e rafforzamento del sistema delle competenze. In particolare, in ognuna di queste aree, l’OCSE indica 10 sfide che il nostro paese ha di fronte a sé.

Il rapporto diagnostico dà molta visibilità alle azioni già intraprese dai recenti governi italiani. Per esempio, per quanto riguarda lo sviluppo delle competenze, nel rapporto si fa menzione della riforma della Buona Scuola e del Piano Nazionale per le Scuole Digitali e, per quanto riguarda l’attivazione e l’uso delle competenze, si ricordano il Jobs Act e il Piano Nazionale Industria 4.0 per il periodo 2017-2020. Secondo il Rapporto alcuni risultati positivi di queste azioni sono già visibili ed è importante che il Paese prosegua nel solco tracciato da queste riforme.

L’Italia ha anche migliorato il funzionamento del sistema delle competenze riformando alcune delle istituzioni deputate alla definizione e all’attuazione delle skills policies, nello specifico costituendo, in seguito allo scioglimento dell’ISFOL, l’Istituto Nazionale per le Politiche Pubbliche (INAPP) e l’agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL).

Il progetto originario prevedeva di rendere il collocamento pubblico un’attività di competenza nazionale da realizzare in cooperazione/coordinamento con le regioni. In seguito al “no” nel Referendum Costituzionale del 2016 le politiche attive del lavoro sono rimaste di competenza regionale ed è stato necessario ridefinire i meccanismi di coordinamento con le Regioni in questa materia.

Alla riduzione della disuguaglianza territoriale tra nord e sud nello sviluppo e nell’utilizzo delle skills concorrono anche le risorse stanziate, in gran parte per il Mezzogiorno, dalle Politiche di Sviluppo e Coesione europee e nazionali. A tal proposito, alla presentazione del Rapporto, il Ministro per Coesione Territoriale e il Mezzogiorno, De Vincenti, ha colto l’occasione per fare il punto della situazione degli interventi di competenza del proprio ministero. Nel ribadire che al dualismo territoriale il Rapporto dedica molta attenzione e che è soprattutto il Mezzogiorno l’area del paese in cui è necessario garantire uno sbocco produttivo alle competenze, il Ministro ha rilevato che delle due fonti finanziarie di cui è titolare, i Fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE) e il Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), il primo riguarda l’offerta, il secondo la domanda.

Nello specifico, i fondi SIE per l’Italia, all’interno dell’Accordo di Partenariato, hanno stanziato circa 15 miliardi di euro per l’occupabilità, di cui 7,6 miliardi per l’Obiettivo Tematico (OT) 8 “Promuovere un’occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori” e 7,1 miliardi per l’OT10 “Investire nell’istruzione, nella formazione e nella formazione professionale per le competenze e l’apprendimento permanente”. Si tratta di interventi co-finanziati dal Fondo Sociale Europeo (FSE), concentrati nel Mezzogiorno e attuati da diverse Autorità di Gestione Regionali e Nazionali tra cui l’ANPAL e il MIUR. Vi è, inoltre, il Programma Operativo Nazionale (PON) “Iniziativa giovani” con 1,1 miliardi di euro stanziati. L’OT 1 “Rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione” è orientato all’occupazione e si rivolge prevalentemente alle imprese con uno stanziamento di 5,7 miliardi di euro.

Nell’altro canale di finanziamento, il Fondo Sviluppo e Coesione, confluiscono risorse aggiuntive esclusivamente nazionali. Tale Fondo oggi dispone di quasi 55 miliardi e si concentra sul lato della domanda delle competenze, finanziando vari interventi che incrociano le traiettorie della Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente (SNSI) e riguardano in prevalenza aspetti infrastrutturali, come le azioni per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, e azioni per il sistema produttivo. In tale contesto, i “Patti per il Sud” rappresentano una nuova struttura di governance che ha lo scopo di trasformare gli stanziamenti in investimenti produttivi, dare concretezza alle politiche e far “ritrovare il gusto del fare”. Tra gli interventi per il sistema produttivo sono da rilevare il credito di imposta, che è stato rafforzato, la decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato al sud, la misura “Resto al sud” per incentivare i giovani all’avvio di attività imprenditoriali nelle regioni del Mezzogiorno e le “Zone Economiche Speciali” finalizzate ad attrarre investimenti e attualmente ancora in discussione con la Commissione Europea.

In definitiva, il Rapporto, sulla scia dei numerosi lavori apparsi (non solo) nella letteratura economica, conferma che le competenze influenzano i tassi di crescita della produttività delle imprese e del prodotto dell’economia. Le ultime stime della World Bank, ad esempio, mostrano che il contributo del capitale umano alla ricchezza di un’economia aumenta al crescere del reddito medio del Paese e che, per i Paesi con il reddito medio più alto, il capitale umano è la maggiore fonte di ricchezza.

La strategia di policy sulle competenze, perciò, deve:

  1. essere concepita come un’attività di lungo periodo. L’investimento in conoscenza non può dare frutti visibili, verificabili e quantificabili nell’immediato. Occorre tempo perché le skills acquisite si trasformino, a livello micro, in maggiore produttività e, a livello macro, in tassi di crescita durevoli e sostenibili. Molte misure sono state messe in campo, ma mancano azioni che colleghino il breve al lungo periodo.
  2. prevedere azioni di rafforzamento durante la vita lavorativa: il life long learning deve affiancarsi all’istruzione di base, contribuire a generare nuove skills, adattandole alle nuove tecnologie. Mentre in passato il progresso tecnologico seguiva, più o meno, il ritmo del ricambio generazionale dei lavoratori, oggi questi ultimi devono adattarsi alle “discontinuità” generate dalle innovazioni. Per questo, è importante assicurare loro accesso ad opportunità di formazione e anche di diversificazione.
  3. tenere conto delle complementarietà tra domanda e offerta e tra differenti politiche. Infatti, da un lato, i lavoratori investono in competenze se sanno che potranno realmente metterle a frutto nella propria carriera lavorativa e, dall’altro, le imprese investono in ricerca e sviluppo se sanno di poter disporre di lavoratori qualificati in grado di utilizzare e migliorare le tecnologie esistenti. Assicurare gli uni e le altre che i loro investimenti saranno valorizzati grazie alla presenza delle condizioni complementari richieste da ciascuno di essi, è indispensabile per far sì che il nostro paese si allontani in via definitiva dalla low-skills low-quality trap che oggi lo attanaglia.

* Le opinion qui espresso non riflettono necessariamente quelle delle Istituzioni di appartenenza.

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