Le aree interne della Sicilia tra marginalità e nuovi fenomeni migratori

Claudio Novembre documenta come le aree interne della Sicilia, non diversamente da altre aree interne del Mezzogiorno, siano sempre più schiacciate tra marginalità, intesa non solo come lontananza da servizi e funzioni vitali ma anche come carenza di opportunità di lavoro e di vita, e nuovi fenomeni migratori che interessano soprattutto giovani con buona formazione scolastica, di cui quasi la metà è donna. Novembre ricorda che il fenomeno riguarda soprattutto i comuni sotto i 5.000 abitanti e formula alcune proposte di intervento.

Ancora oggi, le aree interne del Sud Italia sono contesti territoriali fortemente connotati da fenomeni di marginalità dove per marginalità si intende sia la lontananza da servizi e funzioni vitali sia la carenza di opportunità di lavoro e di vita. Sono queste condizioni che spingono, anche più che in passato, a scegliere la mobilità, che alcune volte diventa pendolarismo (di breve o lunghissimo raggio) ed altre, molto frequenti, si trasforma in emigrazione. Questa emigrazione è per certi versi uguale e per altri molto differente da quella degli inizi del Novecento o del Secondo Dopoguerra.

Quando parliamo di aree interne facciamo certamente riferimento alle caratteristiche geografiche e morfologiche ma anche all’annosa problematica della marginalità dei contesti dell’entroterra rispetto alle coste ed ai grandi e medi agglomerati urbani. Affrontiamo, cioè ancora una volta questioni riconducibili a quell’immagine così calzante della polpa (le aree costiere) e dell’osso (le aree interne) usata già molti anni fa da Manlio Rossi Doria per rappresentare i problemi del Mezzogiorno e dei suoi variegati territori.

Il grado di marginalità delle aree interne dipende, quindi, dalla vicinanza o lontananza dai centri o poli di gravitazione. Ad esempio, la metodologia adottata dal Ministero della Coesione Territoriale [1. Per maggiori dettagli metodologici si rimanda a:
“Le Aree interne: di quale territori parliamo? Nota esplicativa sul metodo di classificazione delle aree” (http://www.dps.tesoro.it/Aree_interne/doc/Nota%20Territorializzazione%20AI_03%20marzo_2013.pdf)
“Strategie Nazionale per le Aree Interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance”
(http://www.dps.gov.it/opencms/export/sites/dps/it/documentazione/servizi/materiali_uval/Documenti/MUVAL_31_Aree_interne.pdf)
] per definire le politiche strategiche per le aree interne nel prossimo decennio, individua i poli di attrazione come centri di offerta di servizi e funzioni e utilizza come parametri di confronto per determinare la centralità/marginalità alcuni servizi base quali la presenza di scuole secondarie superiori di tutte le tipologie, la presenza di almeno un ospedale sede di dipartimenti di emergenza e accettazione, la presenza di una stazione ferroviaria di tipo “silver”, secondo la classificazione di Trenitalia.

In Sicilia l’equivalenza tra aree geografiche interne e aree marginali è pressoché totale; infatti quasi tutte le zone interne sono definite come aree marginali o extra-marginali e solo in alcuni casi intermedie

Le aree interne marginali ed extra-marginali in Sicilia sono in larga parte rappresentate da Comuni con meno di 5.000 abitanti (soprattutto nella parte nord-occidentale dell’isola); piccoli comuni che nell’ultimo ventennio hanno assistito a una progressiva riduzione del numero di residenti che, in alcuni casi, si può considerare vero e proprio spopolamento. Nei quarant’anni compresi tra il censimento del 1971 e quello del 2011, le aree marginali della Sicilia hanno nel complesso perso l’8,1% dei propri abitanti mentre nelle aree extra-marginali la caduta è stata addirittura del 21,1%. Questi dati censuari confermano la tendenza allo spopolamento delle aree marginali, e quindi in larga prevalenza interne, e pongono il problema di quali possano essere le strade per fare fronte alle difficoltà demografiche e socio-economiche dell’entroterra siciliano, dove pure non mancano luci, eccellenze e suggestioni da cui si potrebbe e si dovrebbe ripartire.

La peculiare realtà demografica delle aree interne della Sicilia si colloca in una dinamica che riguarda l’intera Sicilia e l’intero Mezzogiorno e che è molto diversa da quella che ha caratterizzato e ancora caratterizza il Centro-Nord Italia. Questa dinamica si caratterizza per la scarsa crescita economica, il riaffacciarsi di nuove emigrazioni, il persistere della storica problematiche del “ritardo”.

In particolare, negli anni della crisi economica (dal 2008 ad oggi), il Mezzogiorno, e più specificamente la Sicilia, hanno mostrato una scarsissima dinamicità demografica e ancora e sempre di più la mobilità residenziale di lungo raggio si è realizzata sull’asse Sud-Nord.

Le nuove migrazioni, che hanno ripreso vigore dalla metà degli anni Novanta, sono più contenute come numero rispetto a quelle degli anni Cinquanta e Sessanta, ma sono alimentate soprattutto da giovani con una buona formazione scolastica e, per quasi la metà, da donne.

I dati ISTAT, elaborati dallo SVIMEZ, dimostrano che i migranti del Mezzogiorno verso il Centro Nord, infatti, risultano concentrati nelle classi di età 25-29 anni e 30-34 anni. Queste due classi spiegano da sole quasi il 60 % del saldo migratorio dell’ultimo quinquennio.

Negli ultimi vent’anni sono emigrati circa 2 milioni e mezzo di cittadini meridionali, oltre uno su dieci residenti nel Mezzogiorno; la continua perdita di giovani generazioni sta condizionando negativamente, assai più che in passato, l’evoluzione demografica di quest’area del Paese. Questa dinamica demografica è strettamente legata alla difficile situazione economica e istituzionale. La struttura produttiva è, ancora oggi, caratterizzata da unità produttive di dimensioni medie assai modeste inoltre, la capacità di attrarre investimenti esteri è debole e le politiche di austerità attuate dallo Stato centrale hanno ripercussioni sugli enti locali tali da consentire al Sud e alla Sicilia di trattenere i giovani dotati di elevato capitale umano.

Quasi il 55% di coloro che si sono trasferiti negli ultimi cinque anni dalla Sicilia al Centro-Nord è in possesso di un titolo di studio medio alto: il 21,6% ha una laurea e il 33,2% ha un diploma di scuola superiore; 10 anni fa le corrispondenti percentuali erano 12,2% e 33,5% con diploma di scuola media superiore. Dunque, nel decennio la quota di laureati è aumentata di 10 punti percentuali.

Oltre al fenomeno migratorio, nel Sud e in Sicilia è molto diffuso anche il pendolarismo di lungo raggio. Nel 2011 il pendolarismo fuori regione interessava ben 187 mila persone nel Mezzogiorno, cioè il 9% del complesso dei pendolari meridionali. Il dato corrispondente nella media delle regioni del Centro Nord è 5,9%. Ben 140.000 dei 187.000 pendolari meridionali si dirigono verso regioni del Centro Nord o direttamente all’estero. Per quanto riguarda la Sicilia nel 2011, il deflusso di pendolari verso altre regioni o all’estero è stato di 29.100 unità; l’afflusso è stato invece di circa 9.200 unità, dunque il saldo netto è negativo di ben 20.000 unità.

La provincia che ha subito il più consistente decremento demografico è quella di Enna, provincia per eccellenza dell’entroterra, che tra il 1971 il 2011 ha perso più del 9% della popolazione. All’inverso, un incremento demografico si è avuto nei comuni che gravitano direttamente sui capoluoghi maggiori, ovvero Catania e Palermo, e in centri che seppur meno importanti, risultano caratterizzati da una particolare dinamicità economica e produttiva, come nel caso di diversi comuni medi della provincia di Ragusa. In sintesi, si è avuto un incremento nelle province di Catania, Palermo e Ragusa, e un non indifferente decremento nelle province di Agrigento, Enna e Caltanissetta.

L’analisi comparata dell’evoluzione demografica delle province siciliane dal 1981 al 2011, quindi, mostra una tendenza – più forte nell’ultimo decennio – alla concentrazione della popolazione lungo le fasce costiere settentrionali ed orientali, che diventa più intensa in corrispondenza dei grandi centri metropolitani. D’altro canto, si è avuta una progressiva erosione, accompagnata anche da una riduzione della densità abitativa, delle aree più interne dell’isola, già segnate da precarie condizioni economiche e sociali. Il gap, quindi, tra queste due realtà si va rafforzando e la perdita demografica delle aree interne ne è uno dei segnali più eclatanti. Tale squilibrio è aggravato da diverse problematicità peculiari delle aree interne, tra le quali la scarsissima presenza di insediamenti, sia residenziali che produttivi, nelle zone di campagna; un fenomeno quest’ultimo che ha impedito, per esempio, forme di decentramento delle attività non agricole, vincolandone i processi evolutivi ai soli vecchi centri rurali, che a loro volta si sono dimostrati del tutto incapaci di compiere un salto di qualità e di acquisire funzioni nuove e più qualificate, certamente positive per lo sviluppo economico locale.

Concludendo, si può affermare che la problematicità dei contesti dell’entroterra aumentano e si consolidano poiché al tema geografico dell’”interno” si aggiungono altre criticità, che, come si è detto, possono essere sintetizzate nelle tre seguenti:

  • all’aumentare della distanza dei comuni dell’entroterra dal capoluogo diminuisce la capacità attrattiva dei comuni e quindi si instaurano processi duraturi di decremento demografico;
  • le zone interne caratterizzate da problemi logistici e da una rete infrastrutturale inadeguata soffrono maggiormente da un punto di vista demografico e perdono quote di popolazione in favore soprattutto delle cosiddette aree intermedie o dei comuni di cintura delle grandi aree metropolitane;
  • i piccoli e piccolissimi comuni (con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti) dell’entroterra incontrano grandi difficoltà a trattenere i residenti: per questo tipo di comuni il declino demografico è importante e generalizzato in tutta l’isola.

Il vero fronte di battaglia, quindi, sono i piccoli comuni, territori fragili, con sempre meno competenze spendibili sul mercato del lavoro, spesso caratterizzati da situazioni di isolamento; complessivamente in Sicilia tra il 1991 e il 2011 essi hanno perso ben il 14,3% dei propri residenti, con picchi del -24,4% in provincia di Agrigento e del -17,6% in provincia di Messina. Nel complesso si tratta di una popolazione di 330.410 abitanti nel 2011, di cui quasi 200.000 localizzati nelle province di Messina e Palermo, che con i loro territori montuosi e meno accessibili e con il loro numero elevato di piccolissimi centri, diventano in qualche modo l’epicentro delle criticità demografica dell’Isola.

La domanda di fondo da porsi, quindi, è la seguente: le aree interne della Sicilia sono zavorre da lasciare al loro destino senza futuro oppure sono territori, persone, risorse da valorizzare e coinvolgere in un processo di sviluppo dell’isola sempre più inclusivo e di conseguenza più sostenibile, sia sul piano sociale che su quello ecologico-ambientale? La risposta appare scontata e risulta evidente che solo un ripensamento del valore delle risorse, umane, fisiche, immateriali, delle aree interne può rappresentare la base di un tentativo teso a capovolgere uno scenario che al momento si presenta poco incoraggiante e che rileva, nei casi più difficili, una sostanziale scomparsa di interi centri e paesi o la loro trasformazione in “paesi fantasma” con pochissimi residenti e una presenza giovanile esigua nei numeri e con poche competenze attivabili nel mercato del lavoro.

In altri termini, è necessario un ripensamento profondo delle priorità delle Regioni (a maggior ragione una Regione Autonoma come la Sicilia) e dello lo Stato centrale in tema di politiche territoriali di sviluppo, dando alle aree interne il giusto peso nelle fasi della programmazione socio-economica e nelle politiche di infrastrutturazione, soprattutto in riferimento ai temi della qualità del territorio e della sua manutenzione per preservarne l’integrità e per non accelerarne il degrado. In tal senso, tra gli altri possibili interventi, si potrebbero considerare, da un lato, quello che consiste nell’implementare strumenti e nel definire risorse per disincentivare l’abbandono degli agricoltori – promuovendo così un’agricoltura di qualità capace di garantire redditi adeguati – e, dall’altro, la progettazione e poi la realizzazione, in tempi certi e a costi non gonfiati, di un buon sistema di servizi e di infrastrutture che tengano ancorate in loco le fasce di popolazione più attive (giovani, uomini e donne in età da lavoro depositari di competenze utili e diffuse).

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