Lavoratori Non-Standard e Sistemi di Protezione Sociale: il caso dei lavoratori delle piattaforme digitali

Valeria Cirillo mette in evidenza l’evoluzione del lavoro non-standard in Europa e presentano i risultati di un’indagine ad hoc condotta per la Commissione Europea sull’estensione dei sistemi di protezione sociale ai lavoratori non-standard. Dall’indagine emerge che sono soprattutto i lavoratori autonomi a denunciare l’inadeguatezza degli schemi di protezione sociale, mentre, a parità di forma contrattuale, non emergono specificità per i lavoratori delle piattaforme.

Nell’ultimo decennio si è assistito ad un profondo rimodellamento del mercato del lavoro mondiale ed in particolare europeo. La quota di lavoro non-standard (NSW) – ovvero tutte quelle forme contrattuali che si pongono al di fuori del contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno: tempo determinato, part-time, a chiamata o altra forma di lavoro dipendente mascherato da lavoro autonomo – è aumentata pressoché ovunque (ILO, 2016, Non-Standard Employment around the world). Soffermandosi sui paesi OCSE, nel 2015 un lavoratore su tre aveva un contratto di lavoro non-standard (OCSE, In it together: Why less inequality benefits all, 2015), sebbene con forti eterogeneità fra le varie componenti di NSW e fra paesi: la quota di lavoro non-standard è pari ad appena il 20% nell’Europa orientale e raggiunge il 46% nei Paesi Bassi. Dagli anni ’90 fino all’inizio della recessione del 2007-2008, nei paesi dell’OCSE il NSW nel suo insieme ha rappresentato circa il 50% di tutta la creazione di nuovi posti di lavoro, raggiungendo il 60% nel periodo 2008-2013. Tra le forme di lavoro non standard, il part-time è di gran lunga la componente che è cresciuta maggiormente nell’ultimo decennio (Figura 1, relativa ai paesi UE); in aggiunta, nel 2018 il part-time risulta involontario per il 24,8% degli occupati a tempo parziale in Europa, e per ben il 65,7% in Italia.

 

Figura 1: Quota di occupati non standard (sul totale occupati) nella UE

Fonte: Elaborazione su dati European Labour Force Survey (Eurostat).

 

L’espansione del lavoro non-standard è stata incentivata dall’introduzione di politiche volte ad incrementare la flessibilità del mercato del lavoro sulla base della tesi che una maggiore flessibilità in entrata ed in uscita dei lavoratori avrebbe favorito l’occupazione di categorie più marginali, quali giovani e donne (in proposito Cirillo, Fana e Guarascio, 2017 su Economia Politica). In effetti, gli orientamenti e le raccomandazioni dell’UE in materia di occupazione hanno invitato le parti sociali e le autorità pubbliche a promuovere accordi di lavoro flessibili (si vedano in proposito le direttive 97/81/CE – relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale-, 1999/70/CE – sul lavoro a tempo determinato- e 2008/104/CE – su lavoro atipico tramite agenzie interinali). Se ci si sofferma sulla sola Italia, emerge con chiarezza l’espansione del lavoro a tempo determinato e del part-time dal 2003 al 2018: il primo è aumentato di circa 6 punti percentuali (dal 7,3% al 13,4%); il secondo di 10 punti percentuali (dall’8,4% al 18,4%).

L’aumento del NSW non è indipendente dalla digitalizzazione in corso e dalle possibilità che quest’ultima offre di riorganizzare su scala internazionale i processi produttivi frammentandoli in micro-task da allocare a lavoratori del mondo disposti ad offrire la propria forza lavoro anche attraverso una piattaforma digitale (si veda Tubaro e Casilli, 2019, Micro-work, artificial intelligence and the automotive industry su Economia e Politica Industriale).

Fra i canali di diffusione del lavoro non-standard vi sono infatti proprio le piattaforme digitali, ovvero mercati del lavoro digitali in cui servizi ad alta intensità di lavoro sono oggetto di scambio i lavoratori della piattaforma, da un lato, e consumatori ed imprese, dall’altro.

Chi sono questi lavoratori delle piattaforme? Viene in genere evidenziato che i lavoratori la cui attività principale dipende dalle piattaforme digitali sono una piccola parte di tutti i lavoratori che partecipano ai mercati del lavoro digitali. I lavoratori che traggono da questi mercati oltre il 50% del proprio reddito lavorando più di 20 ore a settimana sono circa il 2% della popolazione adulta (Pesole et al., 2018, Platform Workers in Europe: Evidence from the COLLEEM Survey). Tuttavia, esiste una forte eterogeneità fra paesi: il Regno Unito registra la partecipazione più alta ai mercati digitali del lavoro, seguito da Germania, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo e Italia. Mettendo insieme varie stime a livello paese, Eurofound (2018) afferma che la quota della popolazione in età lavorativa che partecipa alle piattaforme digitali rappresenta circa lo 0,5% degli attivi.

Secondo i dati dell’indagine COLLEEM (COLLaborative Economy and EMployment), il tipico operatore di piattaforma europeo è un giovane di genere maschile, con un’istruzione terziaria; la percentuale di donne diminuisce all’aumentare dell’intensità del lavoro di piattaforma. Meno si sa, però, sugli schemi di protezione sociale che si applicano ai lavoratori non-standard e a quelli delle piattaforme digitali

Su questo aspetto, non vi è una risposta univoca, perché non è univoco l’inquadramento giuridico del lavoratore della piattaforma digitale. In molti paesi, il lavoro digitale non è riconosciuto come lavoro dipendente e la sua classificazione in termini di status occupazionale è confusa sia nella legislazione che nella giurisprudenza (si vedano su questo i contributi di Giubboni, Berg e De Stefano sul Menabò).

Nel 2018, nell’ambito del quadro europeo dei diritti dei pilastri sociali, la Commissione europea ha lanciato una raccomandazione sull’accessibilità della protezione sociale, che fissa lo standard minimo, per tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto (European Commission Act n° 13.3.2018 COM(2018)). Tuttavia, la discussione è lungi dall’essere risolta a livello nazionale, dato il dibattito ancora in corso sullo status del lavoro di piattaforma. Secondo Berg (Income security in the on-demand economy: findings and policy lessons from a survey of crowdworkers in Comparative Labor Law and Policy Journal, 2016) solo l’8,1% dei lavoratori economicamente dipendenti dal lavoro di piattaforma negli Stati Uniti versa contributi regolari.

In un recente lavoroShaping Individual Preferences for Social Protection: The Case of Platform Workers di Bogliacino, Cirillo, Codagnone, Fana et al. (2019) – abbiamo analizzato la relazione fra la partecipazione ai mercati del lavoro digitali e la richiesta di sistemi di protezione sociale da parte dei lavoratori con contratti sia di tipo standard che non-standard sulla base di un dataset originale costruito a partire da un’indagine ad hoc realizzata per l’iniziativa della Commissione europea sull’estensione della protezione sociale tra le diverse forme di occupazione (Codagnone et al., 2018). I dati raccolgono informazioni sulle caratteristiche socioeconomiche, lo status occupazionale, la percezione di adeguatezza dei trasferimenti sociali a cui si ha diritto e la richiesta di migliori forme di protezione sociale. Il campione è composto da 8.000 adulti in età lavorativa in 10 paesi europei (800 per ciascuno dei 10 paesi: Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia) e, grazie alle tecniche di campionamento utilizzate, è rappresentativo della popolazione di ciascun paese (in particolar modo dei NSW) e comprende persone disoccupate, con contratti da dipendente standard, non standard e lavoratori autonomi.

Il 23% degli intervistati (1893 persone) ha dichiarato di percepire reddito dalla partecipazione a mercati del lavoro digitali. I lavoratori delle piattaforme del campione si suddividono fra forme di impiego standard (30,7%), non standard (52,6%) e disoccupazione (16,7%). Il 60,4% di coloro che partecipano alle piattaforme digitali hanno essenzialmente due tipi di contratto: un contratto standard (a tempo pieno ed indeterminato) o sono lavoratori autonomi senza dipendenti (Figura 2). Questa polarizzazione nella partecipazione alle piattaforme fra lavoratori standard e non-standard (per la componente del lavoro autonomo) si registra soprattutto in Germania, Spagna, Italia, Polonia e Portogallo. In Francia, Olanda e Svezia, si osserva la massima quota di lavoratori delle piattaforme fra coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato full-time, suggerendo un modello di partecipazione alla piattaforma probabilmente ad integrazione del reddito derivante da lavoro standard. Al contrario, in Romania e Slovacchia è massima la quota di lavoratori autonomi senza dipendenti impiegati sui mercati digitali.

Fig. 2: Distribuzione dei lavoratori delle piattaforme per forma contrattuale (%)

Fonte: Elaborazione propria su dati dell’indagine

Il principale obiettivo della nostra analisi è stato verificare se accesso, adeguatezza e propensione a contribuire agli schemi di protezione sociale varino a seconda delle forme contrattuali con cui si è occupati. A tal fine, controllando per una serie di caratteristiche individuali (età, genere, composizione della famiglia, istruzione), del lavoro (tipo di contratto, settore di occupazione, reddito da lavoro) e di ricchezza (casa di proprietà, reddito totale della famiglia), abbiamo analizzato se coloro che partecipano alle piattaforme digitali – prestando la propria manodopera o vendendo beni e servizi (abbiamo quindi escluso forme à la airB&B) – affermano di avere accesso a sistemi di protezione sociale, ritengono questi ultimi adeguati e sono disposti a pagare per forme di protezione sociale integrativa e su base volontaria. In particolare nelle domande si fa riferimento a forme di protezione sociale quali sussidi di disoccupazione, pensioni di vecchia, di invalidità o altra forma di tutela contro infortuni sul lavoro e malattie professionali, indennità e congedi per maternità/paternità.

Stimando la relazione con una serie di tecniche econometriche adeguate emerge che i lavoratori delle piattaforme del campione esaminato non esprimono la volontà di contribuire volontariamente per aver accesso a sistemi di protezione sociale. Tuttavia, come atteso, la percezione di accessibilità ed adeguatezza degli schemi di protezione sociale dipende dalla forma contrattuale del lavoro principale. Infatti, coloro che sono coperti da un contratto “standard” a tempo indeterminato e full-time ritengono accessibili ed adeguati gli schemi di protezione sociale esistenti, al contrario di coloro che hanno un contratto di lavoro autonomo per i quali l’accesso e l’adeguatezza dei sistemi di protezione sociale sono scarsi, a testimonianza probabilmente di un progressivo processo di informalizzazione del lavoro.

Rischi di mancata copertura da parte dei sistemi di protezione sociale riguardano soprattutto il lavoro autonomo. Infatti, i lavoratori autonomi esprimono una preoccupazione verso l’accesso e l’adeguatezza degli attuali schemi di protezione sociale a prescindere dalla loro eventuale partecipazione ai mercati del lavoro digitali.

Accessibilità, adeguatezza e volontà di contribuire a schemi di protezione sociale sembrerebbero, pertanto, dipendere molto dalla forma contrattuale (standard versus non-standard) con cui si è occupati. In tal senso, un’ulteriore espansione del lavoro non-standard in seguito all’applicazione di ulteriori politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro potrebbe comportare un peggioramento delle tutele offerte dai sistemi di protezione sociale ai lavoratori, con pericolose conseguenze sociali e politiche.

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