Laureati STEM: in cerca di un “premio”

Giuseppe Croce e Emanuela Ghignoni esaminano le differenze salariali tra i neolaureati italiani in diversi ambiti scientifico-disciplinari. In particolare, stimano il “premio salariale” dei laureati del gruppo STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) e trovano che esso, contrariamente all’ipotesi di cambiamento tecnologico skill-biased, negli ultimi decenni è diminuito e non aumentato. Croce e Ghignoni ritengono che ciò sia un’ulteriore conferma della scarsa capacità dell’economia italiana di valorizzare il capitale umano e di mettere a frutto il cambiamento tecnologico.

La struttura dei salari, vale a dire il ventaglio dei salari e delle differenze esistenti tra di essi, costituisce un aspetto di grande interesse in quanto rappresenta i “valori” relativi riconosciuti in un’economia ai diversi tipi di lavoro e in diverse sezioni del sistema economico. L’evoluzione nel tempo di tale struttura indica in che misura le disuguaglianze di reddito generate nel mercato del lavoro tendono, a seconda delle fasi, a restringersi o ad ampliarsi e, inoltre, fornisce indizi sui fattori sottostanti, di natura istituzionale, tecnologica o socio-demografica, che ne guidano l’evoluzione. Un intero filone di studi si è interessato alle disuguaglianze salariali associate ai diversi livelli di istruzione, spingendo a concentrare l’attenzione quasi esclusivamente sul confronto tra il reddito dei diplomati e quello dei laureati.

Tuttavia, questo approccio presuppone implicitamente che i laureati rappresentino un gruppo omogeneo e che i loro redditi possano essere misurati dal loro valore medio, quasi esistesse un unico mercato del lavoro dei laureati piuttosto che tanti sotto-mercati distinti in base al tipo di laurea. Queste assunzioni appaiono semplificazioni piuttosto grossolane anche in una situazione come quella italiana nella quale i laureati, sebbene siano relativamente pochi rispetto agli altri paesi, rappresentano ormai, soprattutto nelle fasce più giovani di popolazione, una fetta consistente della forza lavoro. L’aumento della quota di laureati porta con sé, infatti, anche una loro crescente differenziazione e una più ampia possibilità per le imprese di selezionare tra di essi sulla base delle caratteristiche qualitative del loro titolo di studio.

Sembra opportuno, pertanto, integrare il confronto per linee “verticali” (diplomati vs laureati) con un’analisi delle differenze di reddito interne all’insieme dei laureati.

A questo scopo abbiamo distinto i neo-laureati italiani a 3-4 anni dalla laurea in diversi gruppi scientifico-disciplinari. In particolare, abbiamo isolato i laureati STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) e abbiamo confrontato la dinamica del loro salario con quella di altri tre gruppi: il gruppo dei Tecnici-Professionisti (Scienze Chimiche e Farmaceutiche, Geo-Biologiche, Architettura e Agraria), quello di Economia e Scienze Sociali (Economia, Statistica, Scienze Politiche, Giurisprudenza e Psicologia) e, infine, quello delle Scienze Umanistiche e dell’Insegnamento (Lettere, Lingue, Scienze dell’Educazione e Educazione Fisica).

Secondo l’analisi teorica dell’aumento delle disuguaglianze centrata sul ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Hornstein e altri, 2005; Goldin e Katz, 2008), il cambiamento tecnologico in corso appare decisamente orientato a favore del lavoro qualificato (skill biased technical change): le nuove tecnologie aumentano la domanda di lavoratori altamente istruiti (laureati) in quanto complementari alle nuove tecnologie (Acemoglu, 2002).

Allo stesso modo, allora, è ragionevole ritenere che il grado di complementarietà dei laureati con le tecnologie vari a seconda del tipo di laurea. Il gruppo dei laureati STEM comprende buona parte dei laureati con una preparazione concentrata sulle cosiddette scienze “dure”, che li mette in grado di gestire i processi di innovazione tecnologica. Possiamo quindi ritenere che costoro presentino il più alto grado di complementarietà con le nuove tecnologie e che il cambiamento tecnologico abbia l’effetto di aumentare innanzitutto la domanda di personale laureato in queste materie e, data la loro offerta, di spingere verso l’alto le loro remunerazioni rispetto al resto dei laureati. In presenza di un cambiamento tecnologico di tipo skill-biased, quindi, ci attendiamo di osservare un aumento nel corso del tempo del premio salariale attribuito ai laureati del gruppo STEM.

Il caso dell’Italia. All’interno dello schema analitico del cambiamento tecnologico di tipo skill-biased, il caso dell’Italia si presenta disallineato rispetto a quanto prevedibile seguendo una logica sostanzialmente basata sul confronto di domanda e offerta. Ciò è evidente nella Figura 1, che combina i dati per diversi paesi relativi alla retribuzione dei laureati (in rapporto al reddito dei diplomati) con quelli sulla percentuale di popolazione laureata in età attiva. La figura mostra una correlazione negativa tra le due variabili e ciò suggerisce che, fatte salve tutte le cautele dovute all’operare di diversi meccanismi istituzionali nei vari paesi, il rendimento dell’istruzione terziaria è maggiore nelle economie dove più scarsa è l’offerta di lavoro laureato ed è minore là dove essa è più abbondante. Rispetto agli altri paesi l’Italia si distingue per associare a una quota di laureati tra le più basse un livello retributivo dei laureati ugualmente modesto.

 

Fig. 1 – Quota di popolazione laureata e retribuzione relativa dei laureati (25-64 anni)

Questa anomalia suggerisce che in Italia vi sia stata una minore penetrazione delle nuove tecnologie ad alta intensità di lavoro laureato. Il nostro sarebbe, quindi, un sistema produttivo relativamente “arretrato” dal punto di vista tecnologico.

Tuttavia, alla luce di quanto detto, è utile sviluppare l’indagine considerando le differenze retributive tra laureati in diversi ambiti disciplinari-professionali. In primo luogo confrontiamo la differenza salariale tra laureati STEM e il resto dei laureati con quella tra i salari medi di tutti i laureati e di tutti i diplomati. La Figura 2 sovrappone le curve che rappresentano l’andamento di queste due differenze percentuali.

 

Fig. 2 – Differenze nei salari mensili grezzi (log) laureati/diplomati e laureati STEM/non STEM

 

Il vantaggio retributivo del gruppo STEM è evidente e, con l’eccezione degli anni centrali nei quali i due differenziali si divaricano, ha una dimensione piuttosto simile a quella del differenziale tra laureati e diplomati: la scelta del tipo di laurea ha riflessi sui livelli di salario non meno importanti della scelta stessa del proseguimento degli studi dalla scuola secondaria superiore all’università.

Va notato che nel periodo considerato, dal lato dell’offerta, anche per effetto delle riforme si è registrato un aumento considerevole del numero di laureati. Al contrario, la quota relativa dei laureati del gruppo STEM, dopo un iniziale aumento, tra il 2003 e il 2011 è diminuita di 1,9 punti percentuali e solo a partire dal 2012 riprende a salire.

La Figura 3 mostra le differenze percentuali tra i salari medi mensili (netti) dei neo-laureati italiani del gruppo STEM e degli altri gruppi. I neo-laureati STEM ricevono un premio salariale, tuttavia tale premio è chiaramente declinante o, al più, rimane costante nel corso del periodo. Questa evidenza non depone a favore dell’ipotesi di un cambiamento tecnologico skill-biased in corso nel mercato del lavoro italiano nell’ultimo ventennio.

 

Fig. 3 – Differenze % tra salari mensili (grezzi), 1998-2015

Queste tendenze sono confermate se dai salari “grezzi” passiamo ai salari opportunamente “aggiustati” per depurarli dell’influenza delle diverse caratteristiche personali dei lavoratori e dei diversi processi di selezione cui essi sono sottoposti per accedere all’occupazione. Anche in questo caso i differenziali salariali a favore del gruppo STEM tendono a diminuire durante quasi tutto il periodo considerato.

La scomposizione dei differenziali salariali tra STEM e non-STEM. Ma da cosa è spiegato il premio salariale a favore dei laureati STEM? Parte di esso può dipendere semplicemente dalle migliori caratteristiche personali o del posto di lavoro occupato dagli STEM. Effettivamente, tra di essi sono più alte, rispetto agli altri gruppi di laureati, la percentuale di uomini, la percentuale di coloro che hanno ottenuto il diploma di maturità e la laurea con voti elevati, la percentuale di coloro che lavorano a tempo pieno e con contratti di lavoro a tempo indeterminato, e la percentuale di coloro che sono inseriti in settori lavorativi caratterizzati da un alto livello di innovazione. Tutte queste caratteristiche tendono di per sé ad aumentare i livelli retributivi medi degli STEM rispetto agli altri gruppi di laureati.

Ma al di là di ciò, per la nostra analisi è importante verificare se anche il “rendimento” di queste caratteristiche è più favorevole per il gruppo STEM. L’ipotesi di skill-biased technical change implica un aumento nel tempo di tale rendimento per le lauree del gruppo STEM, in quanto esso riflette il valore attribuito dalla domanda di lavoro alle conoscenze e competenze fornite ai laureati da un determinato corso di studi. Mediante la scomposizione di Oaxaca dei differenziali salariali tra i laureati STEM e gli altri gruppi possiamo stimare la parte attribuibile ai diversi rendimenti “non spiegati” dalle differenze nelle caratteristiche.

Fig. 4 – Scomposizione dei differenziali salariali (aggiustati) tra laureati STEM e laureati in Scienze Umanistiche e Insegnamento

La Figura 4 mostra i risultati della scomposizione del differenziale salariale tra i gruppi STEM e delle Scienze Umanistiche e dell’Insegnamento, ossia i due gruppi che presentano la maggiore distanza in termini di salari. È evidente come la parte spiegata dalle diverse caratteristiche personali abbia perso importanza nel corso del tempo. Al contrario, la parte attribuibile alle diverse caratteristiche del posto di lavoro spiega la maggior parte del differenziale, ma anche il suo contributo si è ridotto nel tempo. La componente “non spiegata” dalle caratteristiche individuali e lavorative dei laureati rappresenta la differenza nel rendimento di queste stesse caratteristiche. Come si vede, anche questo ha conosciuto una notevole diminuzione dal 1998 ad oggi. Risultati analoghi si ricavano dalla scomposizione della differenza tra i salari medi dei laureati STEM e degli altri gruppi.

Quindi, il premio salariale a favore dei laureati STEM è complessivamente diminuito nel periodo. Inoltre, al suo interno, si sono visibilmente contratte anche le componenti che meglio rappresentano l’effetto del corso di studio sul salario: a) quella dipendente dal fatto che essi riescono a occupare i posti di lavoro migliori, in particolare full time e più stabili, e b) quella che corrisponde al diverso rendimento delle caratteristiche.

Ad ulteriore integrazione di questi risultati si possono considerare il numero delle ore lavorate, i salari orari e la probabilità di essere occupati a 3 o 4 anni di distanza dalla laurea. Un modo per tener conto sinteticamente di questi elementi è mediante il calcolo dell’overall earning gap, un indicatore che misura il vantaggio complessivo degli STEM.

A conferma di una progressiva erosione del vantaggio del gruppo STEM sul mercato del lavoro, la Figura 5 mostra un generale declino dell’indice, almeno fino al 2007-2011. A partire da questa data i laureati STEM sembrano recuperare, ma solo in piccola parte, il proprio vantaggio. Solo nei confronti del gruppo Tecnico-Professionale il recupero è quasi completo.

 

Fig. 5 – Gap salariale complessivo tra laureati STEM e gli altri gruppi di laureati

L’insieme delle evidenze ottenute converge nel suggerire che vi sia stato un indebolimento della domanda relativa di laureati del gruppo STEM espressa dalle imprese. Questo indebolimento non è ciò che ci si aspetta di osservare in presenza di un processo rilevante di cambiamento tecnologico orientato al lavoro più qualificato e indica, ancora una volta, che i processi innovativi nelle imprese non hanno assunto vigore nei quasi venti anni osservati e, anzi, sembrano essersi affievoliti. Questo corrobora quanto già emerso da studi precedenti circa la debolezza del cambiamento tecnologico nel nostro paese o, quanto meno, dei suoi effetti nel mercato del lavoro (Ballarino e Bratti, 2009; Naticchioni e altri, 2010).

Una possibile spiegazione dei risultati ottenuti, che sarebbe interessante indagare sul piano empirico, è che l’avvento delle nuove tecnologie nel nostro paese non abbia riguardato tanto le fasi di ideazione, sperimentazione, produzione e gestione delle nuove tecnologie, quanto quelle del loro utilizzo finale nei vari settori di attività. Pertanto, anziché determinare una forte domanda di specialisti con competenze hard in ambito tecnologico, ha favorito l’assorbimento di figure provenienti dai diversi percorsi universitari, eventualmente in grado di combinare le tecnologie con altre abilità soft di tipo comunicativo, relazionale e creativo, e capaci di adattarsi ad ambienti tecnologici e organizzativi spesso non particolarmente avanzati e nei quali prevalgono linguaggi informali.

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