L’attuale ripartizione del Fondo povertà è equa?

Liliana Leone esamina il decreto di riparto delle risorse del “Fondo povertà” destinate al finanziamento dei servizi territoriali e il piano per gli interventi e i servizi di contrasto alla povertà approvato di recente dalla Conferenza Stato-Regioni-Enti locali. Leone analizza l’incidenza sulle risorse regionali dei 5 criteri di riparto, richiama l’attenzione su alcuni aspetti paradossali e su alcune iniquità e suggerisce, in una possibile riallocazione futura delle risorse, di eliminare un indicatore fonte di distorsioni: la quota di popolazione residente nella regione.

La legge di contrasto della povertà (Decreto Legge 147/2017) ha previsto che gli interventi e i servizi territoriali che si accompagnano al REI siano rafforzati a valere sulle risorse del Fondo nazionale per la lotta alla Povertà e all’esclusione sociale (istituito in precedenza nella Legge di stabilità 2016), acquisendo la natura di livelli essenziali delle prestazioni, nei limiti delle risorse disponibili. Una riserva del 15% di tale Fondo (297 milioni di euro  nel 2018), destinata a crescere al 20% dal 2020, è dedicata alla attuazione di un Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà che, oltre a quelli del REI, sostiene anche altri interventi.

Le somme stanziate con l’intesa del 10 maggio 2018 dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti locali serviranno in gran parte (272 milioni nel 2018) al finanziamento dei servizi per l’accesso al REI e si finanziano di fatto i primi livelli essenziali delle prestazioni nell’ambito delle politiche sociali a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 (v. Cost 3, Art 117, lettera m).

Il finanziamento dei livelli essenziali dovrebbe per definizione tener conto della distribuzione del fenomeno povertà e, parallelamente, mirare a ridurre i profondi squilibri presenti nel nostro sistema di welfare.

Come noto, il nostro Paese ha nell’Unione Europea un triste primato per quanto riguarda la povertà minorile. La povertà assoluta delle famiglie italiane con 3 o più figli di minore età è in forte aumento e sale al 26,8% dal 18,3% del 2015 (Istat 2017). La percentuale in Italia delle persone di minore età (0-17 anni) a rischio di povertà o esclusione sociale  è pari al 32,8%, ed è inferiore a quella di altri stati come Grecia (37,5%), Bulgaria (45,6%), Ungheria e Romania (49,2%) (Eurostat 2016).

Meno noto è il dato sul rischio di povertà che riguarda le regioni dell’Unione Europea. La  Regione Sicilia nel 2016 registra inaspettatamente il tasso più elevato di persone a rischio di povertà o esclusione sociale tra tutte le regioni a livello UE (Classificazione NUTS 2 Eurostat) e di contro le Regioni Friuli Venezia e Giulia, Emilia Romagna e Toscana sono quelle in cui il rischio di povertà, sotto il 10%, è il più basso di tutta l’Unione Europea a 28. Nel 2016 in Sicilia il 41,8% dei residenti è a rischio di povertà seguita, con circa sei punti percentuali di differenza, dalla Ciudad Autónoma de Ceuta in Spagna (36%) e dall’Andalusia. Sono la Sicilia, la Campania e la Calabria le Regioni dell’Unione Europea che nel 2016 presentano le percentuali in assoluto più elevate (rispettivamente, 55,6%, 49,9%, 46,7%), di ‘persone a rischio di povertà ed esclusione sociale’, più elevate di qualsiasi regione comprese quelle della Romania e della Bulgaria (Eurostat 2018).

Inoltre la spesa pro-capite destinata dai Comuni esplicitamente classificata dall’Istat per interventi di contrasto alla povertà, come anche sottolineato dal MLPS nel Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà 2018-2020, è caratterizzata da un’ampia variabilità che va da 9,2 euro al Nord a 6,1 nel Mezzogiorno con divari interregionali molto accentuati: oltre 33 euro della Sardegna ai meno di 2 del Molise e della Calabria.

Più in generale, comunque, la spesa evidentemente non riflette il bisogno: nel Mezzogiorno, a seconda degli indicatori utilizzati, si concentra la maggior parte dei poveri, mentre la spesa per il contrasto alla povertà è solo un quarto del totale nazionale (128 milioni di euro su 488)” (Idem, p.9)

La funzione del Fondo Povertà e i criteri di riparto. Il Fondo ha dunque varie finalità e finanzia: a)  i servizi per l’accesso al ReI, per la valutazione multidimensionale finalizzata ad identificare i bisogni del nucleo familiare e per i sostegni da individuare nel progetto personalizzato del ReI;  b)  gli interventi e servizi in favore di persone in condizione di povertà estrema e senza dimora; c) gli interventi, in via sperimentale, in favore di coloro che, al compimento della maggiore età, vivano fuori dalla famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, volti a prevenire condizioni di povertà.

Il Piano Nazionale di contrasto della povertà, di concerto con la Conferenza unificata Stato-Regioni ha individuato anche i criteri di ripartizione del Fondo Povertà  (articolo 1, comma 386, della legge n. 208 del 2015) che nel triennio 2018-2020  è pari a circa un miliardo di euro. Tali somme sono destinate a garantire i precedenti livelli essenziali e al finanziamento dei servizi sociali e degli interventi in favore dei beneficiari del Reddito di Inclusione. La prima voce che rappresenta oltre il 90% delle risorse del Fondo stesso (272 milioni di euro nel 2018), finanzia i seguenti tre livelli essenziali:

  1. la costituzione di punti di accesso dove i cittadini possono rivolgersi per fare domanda del REI;
  2. la realizzazione dell’assessment (o valutazione multidimensionale dei bisogni) per ogni nucleo beneficiario;
  3. la predisposizione di un progetto personalizzato da parte del Servizio sociale per tutti coloro che risultano avere bisogni complessi e che non sono inviati ai Centri per l’Impiego.

Il Decreto del 18 maggio 2018 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, emanato di concerto con il Ministero dell’economia e delle Finanze, individua la quota di riparto del Fondo povertà destinata a ciascuna Regione sulla base dei seguenti cinque indicatori (Tab.1):

  • Quota regionale nuclei beneficiari SIA 2017*
  • Quota regionale persone in condizione di povertà assoluta
  • Quota regionale persone in condizione di grave deprivazione materiale
  • Quota regionale persone a rischio di povertà
  • Quota regionale popolazione residente

Con l’attuale sistema, avendo ciascun criterio lo stesso peso (il 20%), se ipotizzassimo, per assurdo, che una regione popolosa come la Lombardia (circa il 15% della popolazione italiana) non avesse neanche una persona a rischio di povertà, scopriremmo che sarebbe comunque destinataria di una quota parte dei 272 milioni di euro del Fondo povertà del 2018 destinato ai servizi, per l’accesso al REI pari al  3,36%  (v. Criterio 5 della tabella 1), e cioè a 9,1 milioni di euro. Si noti che per la quota del Fondo, pari nel 2018 a 25 milioni di euro, destinata ai senza dimora e ai neo-maggiorenni già in carico ai servizi socio-educativi residenziali, si è ritenuto ritiene, invece, necessario utilizzare indicatori diversi.

Tabella 1. Indicatori per la definizione della quota di riparto regionale del Fondo Povertà

L’incidenza della quota assegnata al criterio “Quota di popolazione” (v. penultima colonna a destra Tab. 1) sulle risorse complessive assegnate a una regione è molto variabile e ha, ovviamente, un peso più elevato nelle regioni che hanno una percentuale di beneficiari della misura SIA (dal 2018 REI) più bassa e tassi di povertà inferiori. Agli estremi della distribuzione osserviamo il Veneto ( 33,9%) e la Sicilia ( 10,8%): un terzo delle risorse del Veneto viene assegnato non in funzione diretta dei fabbisogni connessi alla creazione e al rafforzamento  dei servizi  essenziali per  l’implementazione del REI/ SIA ma in funzione del numero di abitanti.

Le regioni più penalizzate dall’utilizzo dell’attuale  meccanismo di riparto delle risorse sono in ordine: la Sicilia,  la Campania che perdono circa 5 milioni di euro ciascuna (v. ultima colonna a destra) e, a seguire, la Puglia e la Calabria che si caratterizzano per il maggior numero di persone in condizioni di povertà  e che beneficerebbero di una allocazione delle risorse più equa. Le Regioni che maggiormente traggono vantaggi da questi criteri di ripartizione del Fondo sono di contro: il Veneto e, a seguire, il Friuli Venezia e Giulia e la Lombardia.

Si potrebbe obiettare a questo ragionamento che la quota dei beneficiari SIA 2017 non rifletta i reali tassi di povertà né, di conseguenza, i fabbisogni di adeguamento della rete dei servizi per far fronte all’aumento della platea in parte già realizzata con l’introduzione REI, tuttavia il criterio connesso alla platea  dei beneficiari della misura di contrasto della povertà ha un peso limitato (solo il 20%).

In conclusione, la regolamentazione riguardante l’allocazione dei fondi destinati al rafforzamento dei servizi sociali necessari a gestire la misura di contrasto della povertà REI avendo dato un peso rilevante, dal 20% nel riparto regionale sino anche  al 40% in quello riguardane i singoli Ambiti sociali territoriali (Decreto MLPS del 18 maggio 2018, art 4 comma 6), finisce con il  produrre un effetto distorsivo.

Nel primo trimestre del 2018 il 72% dei beneficiari del REI risiede nelle cinque regioni del sud che, di contro, percepiscono solo il 56,5% delle risorse destinate alla rete dei servizi sociali (è compresa la quota di riparto del PON Inclusione Avviso n.3/2016 (Istat 2018 Idem).

Il risultato dell’attuale meccanismo di riparto è che al Sud vanno più fondi per le misure ‘passive’, i trasferimenti monetari della carta REI, e al Nord, in proporzione, vanno più fondi per realizzare i servizi livelli essenziali. In altri termini invece di adottare una soluzione perequativa legata al tasso più elevato di povertà, rispetto tutte le regioni degli stati membri UE28, e allo scarso finanziamento storico da parte dei Comuni dei servizi sociali e specificatamente di quelli connessi al contrasto della povertà, si adotta una soluzione penalizzante. Dal punto di vista logico questa soluzione contrasta con l’obiettivo esplicito di introdurre dei livelli essenziali esigibili su tutto il territorio.

Sarebbe stato opportuno non introdurre il quinto indicatore della ‘Quota di popolazione residente’ perché tende ad alterare la ripartizione del Fondo Povertà a favore di un dato che esula dai fabbisogni legati alla povertà e perché implicitamente tutti gli altri indicatori, essendo calcolati facendo 100 la distribuzione nazionale, già includevano l’informazione sulla popolazione residente.

L’ultima colonna a destra della tabella 1 elimina il quinto indicatore riguardante la numerosità assoluta della popolazione residente in ciascuna Regione, che nei fatti non rappresenta un dato sconnesso dalla povertà, e presenta una proposta di ripartizione del Fondo Povertà più rispondente alle finalità di rafforzamento dei servizi necessari all’implementazione del Reddito di Inclusione.

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