L’arte che fa bene. Musei e demenze

Annalisa Cicerchia dopo aver ricordato che le persone con demenza in Italia sono circa 1 milione e che con l’invecchiamento della popolazione il fenomeno è destinato ad aggravarsi, si sofferma su trattamenti psicosociali, educazionali e riabilitativi che oltre alla pratica artistica, come la Musicoterapia e l’Arte Terapia, includono i luoghi del patrimonio culturale: in Italia aumenta il numero di attività che le persone con demenza e chi se ne prende cura possono svolgere, con operatori specializzati, negli spazi messi a disposizione dai musei.

Le demenze sono state definite, nel Rapporto 2016 di Alzheimer Disease International, una priorità mondiale di salute pubblica. Sono in aumento. Nel 2016, 47 milioni di persone ne risultavano affette. Le stime prevedono che nel 2050 saliranno a 131 milioni, con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 4 secondi) e con una sopravvivenza media, dopo la diagnosi, di 4-8-anni. La stima dei costi annuali globali è di 818 miliardi di dollari, con un incremento progressivo e una pressione crescente sui sistemi sanitari.

Il maggior fattore di rischio associato all’insorgenza delle demenze è l’età. Nei paesi industrializzati, queste patologie affliggono circa l’8% degli ultrasessantacinquenni, ma dopo gli ottanta anni, ne è colpita una persona su cinque. Per la sanità pubblica di una società che invecchia inesorabilmente, come l’Italia, l’impatto del fenomeno è di dimensioni allarmanti. Secondo le proiezioni demografiche, infatti, nel 2065 i residenti nel nostro Paese con più di 64 anni saranno un terzo della popolazione, e quelli con più di 84 anni saranno circa uno su dieci. Ci saranno 280 anziani ogni 100 giovani, e il 61 per cento di quegli anziani non sarà autonomo, a causa delle malattie croniche legate all’età, demenze comprese.

Il numero totale dei pazienti con demenza nel nostro Paese è stimato in oltre un milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e sono circa 3 milioni le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari.

Le conseguenza sul piano economico ed organizzativo sono facilmente immaginabili, dal momento che i soli costi annuali diretti per ciascun paziente vengono stimati in cifre variabili da 9000 a 16.000 euro, a seconda dello stadio della malattia. I costi socio-sanitari delle demenze in Italia calcolati dall’Osservatorio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) arrivano a un totale di circa 10-12 miliardi di euro annui, e di questi 6 miliardi per la sola malattia di Alzheimer.

Per l’Istat, sono 8 milioni e mezzo, oltre il 17% della popolazione, le persone che in Italia si prendono cura di chi ha bisogno di assistenza. Solo 900mila di esse lo fanno per mestiere. Tutti gli altri, 7,3 milioni, sono uomini e donne che assistono un loro familiare – coniuge, convivente, genitore, figlio o figlia: ammalato, invalido o non autosufficiente. Per la maggior parte hanno tra i 45 e 64 anni e, in un caso su 4 dedicano alla persona malata più di 20 ore a settimana. Anche queste persone, i carer, sono vittime della malattia e lamentano spesso un elevato carico di stress emotivo, rabbia, solitudine, che li espone a un maggior rischio di soffrire di ansia e depressione, o addirittura di burnout.

Le strategie terapeutiche a disposizione per le demenze – purtroppo ancora non risolutive – sono di tipo farmacologico, psicosociale e di gestione integrata per la continuità assistenziale.

Fra i trattamenti psicosociali, educazionali e riabilitativi nella demenza, che comportano il trattamento dei sintomi cognitivi e della disabilità e il trattamento dei sintomi psicologici e comportamentali, ce ne sono alcuni che ricorrono a forme di pratica artistica, come la Musicoterapia e l’Arte Terapia. L’ISS riconosce che, sebbene le modalità di intervento non farmacologico utilizzate siano numerose, le evidenze di efficacia sono ancora parziali, a causa del limitato numero di studi con disegno adeguato, della scarsa numerosità di pazienti inclusi in tali studi e della disomogeneità di pazienti ed interventi utilizzati.

Se qualità e quantità delle evidenze non sono ancora soddisfacenti, l’impegno di un gran numero di istituzioni culturali a sostegno dei malati e di chi se ne prende cura cresce da più di un decennio in molti paesi. Nel 2006, per esempio, il MoMA avviò un progetto di arte accessibile, dedicato alle persone con Alzheimer e ai loro carer, che divenne ben presto ispirazione e riferimento teorico, metodologico e pratico per iniziative simili in tutto il mondo. Nel 2011, una indagine promossa dal MoMA documentava l’esistenza di programmi di sostegno all’accessibilità per le persone con demenze e loro familiari in altri 33 musei degli Usa.

Anche in Italia, le iniziative si moltiplicano, sebbene a macchia di leopardo: a Napoli, nel 2007, presso Palazzo Reale; a Roma, dal 2011, presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Moltissimo si fa in Toscana.

Museums Art & Alzheimer’s (MA&A) è un progetto che si è svolto tra 2015 e 2017, sostenuto dal programma Erasmus+. Confrontando esperienze europee ed extra-europee, si propone di facilitare l’accesso all’arte e ai musei da parte di persone con demenza, dei loro familiari e dei loro assistenti professionali. Gli obiettivi principali del progetto MA&A sono quelli di sviluppare strumenti e attività educative finalizzate a promuovere il benessere delle persone che vivono con la demenza e di chi se ne prende cura, attraverso l’arte e le attività museali. Si intende così contribuire anche a innescare un cambiamento nella percezione sociale della demenza e a costruire una società “dementia friendly”. L’idea sottesa a MA&A è che l’arte, intesa come esperienza culturale e relazionale complessa, e il museo, concepito come spazio inclusivo per l’apprendimento informale, possano essere d’aiuto per sviluppare nuove strategie e modalità di comunicazione e relazione con le persone con demenza. Il progetto, che coinvolge partner tedeschi, irlandesi e lituani, è guidato dal Museo Marino Marini di Firenze, dal 2012 impegnato nella programmazione di attività museali accessibili alle persone con demenza e ai loro carer e nella formazione degli educatori e dei carer. Nella primavera del 2012, il Dipartimento Educativo del Museo Marino Marini ha avviato il progetto “L’Arte tra le mani”, che ha sperimentato diverse modalità di coinvolgimento delle persone malate e di chi se ne prende cura; ha sviluppato un programma di divulgazione, che comprende una pubblicazione, un corso di formazione per educatori museali e operatori geriatrici e corsi di approfondimento per caregiver professionali e familiari sulle modalità di comunicazione con le persone con Alzheimer attraverso l’arte.

Sempre a Firenze, la Fondazione Palazzo Strozzi per l’Alzheimer ha promosso dal 2011 il Progetto ‘A più voci’, rivolto a malati e caregiver. Per ogni mostra, vengono organizzati cicli di tre incontri, progettati e condotti insieme da educatori museali e geriatrici. Completa il programma un’esperienza diretta con artisti.

Negli ultimi anni, le esperienze fiorentine hanno fatto scuola, e la Toscana vanta ormai una cinquantina di musei, piccoli e grandi, in tutte le province, che hanno attivato programmi rivolti a questo pubblico particolare. Gli operatori toscani stanno contribuendo alla formazione specifica dei loro colleghi in altre parti d’Italia, come la Provincia di Trento e l’Emilia Romagna. C’è da sperare che questa pratica di welfare culturale, che regala ore di serenità e di benessere ai malati e che contribuisce ad alleviare il carico dei loro familiari, si estenda anche alle regioni del Mezzogiorno. Questo sarebbe importante anche alla luce del fatto che – ad esempio in Calabria – a causa delle difficoltà strutturali del servizio sanitario nazionale nel Sud del Paese, patologie come l’Alzheimer possono essere diagnosticate con un ritardo fino a quattro anni sulla media nazionale. Nella prospettiva dell’invecchiamento della popolazione e della crescita del numero di anziani con limitazioni gravi che vivono con un coniuge o da soli, investire nel potenziamento delle risorse dei servizi culturali territoriali, come musei e biblioteche, appare in tutta la sua rilevanza strategica.

Il valore di questa sperimentazione, per quanto polverizzata e ancora scarsamente documentata, va però al di là del solo sollievo per i malati e per i loro cari, di oggi e di domani. Ci sono almeno due importanti vantaggi, che vale la pena considerare.

In primo luogo, incoraggiare lo sviluppo di attività culturali e artistiche rivolte agli anziani, che sono la categoria di cittadini con i livelli di partecipazione e pratica più bassi, significa sostenere, peraltro con costi almeno in parte già coperti, politiche di invecchiamento attivo e di contrasto all’isolamento, alla chiusura, alla depressione, che in molti considerano l’anticamera del deficit cognitivo.

Il secondo contributo delle esperienze condotte nel mondo per l’inclusione delle persone con disabilità cognitive riguarda una idea innovativa di musei accessibili. Queste esperienze hanno infatti aperto strade di mediazione culturale finora non battute, modalità nuove ed efficaci di contatto tra chi entra in un museo e i contenuti fisici e culturali delle collezioni, di interazione con quei contenuti, di comprensione, di ricordo – quello che si può, quanto si può, se si può – e soprattutto di creazione di significati e comunicazione. Contatto, interazione, comprensione, ricordo, creazione e comunicazione sono le azioni alla base di qualsiasi strategia per abbattere barriere di ogni tipo e per coinvolgere il pubblico, tutto il pubblico, anche quello non praticante, cioè il non-pubblico, nella proposta culturale di un museo. Se i luoghi dell’arte e della cultura non sono per natura spazi inclusivi, come dimostrano i dati desolanti della bassa affezione espressa dagli italiani, le esperienze con le persone affette da demenze insegnano che si può cambiare. I musei possono trasformarsi in spazi accoglienti per molti, possono imparare i linguaggi di tanti tipi di pubblico che oggi restano fuori dai loro cancelli e insegnare loro il proprio.

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