L’approccio trasversale alla parità di genere: suggerimenti dall’esperienza della Francia

Anna Covino-Scheidecker in relazione al rilievo che l’obiettivo della parità di genere ha nel PNRR italiano sostiene che per realizzare tale obiettivo un utile punto di riferimento è la Francia che - malgrado alcuni ritardi - occupa una posizione di leadership in questo ambito a livello europeo. A questo fine Covino-Scheidecker ricostruisce le politiche e gli strumenti legislativi introdotti in Francia negli ultimi 40 anni, sottolineando l’ampiezza degli ambiti interessati nonché il rilievo attribuito al monitoraggio dei risultati.

Il PNRR del governo Draghi presta attenzione particolare non soltanto ai giovani ma anche alle donne. Draghi ha affermato che “una vera parità di genere richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi”. Nel PNRR per l’uguaglianza di genere sono previsti, in modo specifico: un programma per la partecipazione femminile al mercato del lavoro diretta o indiretta, la correzione delle asimmetrie che ostacolano le pari opportunità, il potenziamento del welfare, il sostegno all’ imprenditoria femminile.

Date le condizioni di partenza del nostro paese, può essere utile un confronto con la Francia che è uno dei paesi europei, assieme a quelli nordici, a presentare i risultati migliori in temi di differenze di genere.

Lo scopo principale di questa nota è illustrare le politiche adottate e i (significativi) risultati ottenuti dalla Francia nel corso degli ultimi decenni per trarre, eventualmente, da tutto ciò indicazioni utili per accrescere l’efficacia del PNRR, e delle politiche connesse, nel contrastare le disparità di genere.

Alcuni dati comparati. L’indice europeo composito Gender Equality Index dell’European Institute for Gender Equality (EIGE) riferito al 2020 mostra che l’UE (il cui punteggio è di 67,9 su 100) impiegherà almeno 60 anni per realizzare la piena parità di genere. Negli ultimi anni si sono avuti progressi significativi, ma il loro ritmo è stato molto lento.

Al vertice di questa classifica si trovano la Svezia, la Danimarca e la Francia. La Grecia, l’Ungheri e la Romania sono ai più bassi livelli in Europa. L’Italia (v. Fig. 1) presenta valori molti più bassi, ma insieme a Lussemburgo e Malta ha avuto i migliori risultati nell’accelerazione (+10 punti dal 2010).

Figura 1 Gender Equality Index 2020 situazione comparata su una selezione (Svezia, Francia, Europa 28, Italia)

Fonte : EIGE 2020

Il Gender Equality Index monitora dal 2013 la parità di genere sulla base delle politiche europee attraverso sei indicatori, elencati nella Fig. 2 insieme ai corrispondenti risultati ottenuti da Italia, Francia, Unione Europea e Svezia (il paese leader nel punteggio complessivo e in quasi tutti gli ambiti). In questa nota ci concentreremo in particolare sull’indicatore “Work”.

Figura 2 Gender Equality Index 2020 – situazione comparata tra Francia – Italia –Unione Europea sui 6 indicatori  

  Contenuto Unione Europea Svezia Francia Italia
Indice di sintesi GEI Composito con 6 indici 67,9 83,8 75,1 63,5
Work Tasso di occupazione; gruppi vulnerabili, tempo lavorativo, ecc. 72,2 82,9 72,8 63,3
Money Salario mensile, pensione, investimenti 80,6 86,8 87,0 79,0
Knowledge Formazione 63,6 74,2 66,3 61,9
Time Tempo lavorativo, presenza di servizi “care”, tempo personale 65,7 90,1 67,3 59,3
Power Parità per i posti decisionali 53,5 84,2 79,8 48,8
Health Accesso ai servizi sanitari, salute 88 94,5 87,4 88,4

Fonte : EIGE 2020

Con riferimento specifico al tasso di occupazione, in Italia quello delle donne è del 53,1%, di molto inferiore al 67,3% della media europea e il divario tra tasso di occupazione maschile e femminile è del 20% (8 % in Francia e 12% in UE).

Figura 3 Divari fra i tassi di occupazione equivalente a tempo pieno maschili e femminili

Il caso della Francia. La Francia, come si è detto, è ben posizionata nel Gender Equality Index ma nonostante i recenti progressi, deve ancora fronteggiare alcune sfide, in particolare quella relativa alle carriere delle donne e alla parità salariale. Esaminiamo rapidamente alcuni dati.

La parità salariale è in lenta evoluzione (+ 3 punti in 13 anni). Attualmente, in base ai dati INSEE, le differenze retributive annue tra uomini e donne sono dell’ordine del 18, 4 %, se riferite ai soli contratti a tempo pieno e del 23,7% se si considerano tutti i contratti indipendentemente dal tempo di lavoro. Se si restringe il confronto ai lavori uguali e a competenze uguali per uomini e donne, il divario si riduce al 9%. Da questi dati si può desumere che le donne sono svantaggiate molto per il limitato accesso ai contratti più vantaggiosi e alle posizioni più remunerate. Un conferma in tal senso viene dalla Fig. 4, che mostra come le differenze salariali di genere siano più marcate tra i quadri.

Figura 4 – Differenze salariali di genere per categorie socio-professionali

Questi dati sembrano confermare la tesi del soffitto di vetro che impedisce alle donne di salire in alto nella scala professionale e retributiva e di cui si è di recente occupata Eleonora Romano sul Menabò. Secondo dati non recentissimi (INSEE 2012) nelle aziende le donne rappresentano il 40,3% dei quadri, ma solo il 17,2% dei dirigenti. Inoltre, nel 2019, la quota di donne presenti nei comitati esecutivi delle aziende francesi (CAC 40) era il 20,2% ( contro il 28% negli Stati Uniti e 24% nei paesi scandinavi).

Benché non tutto sia dipeso da essa, la legislazione ha avuto un ruolo molto importante nella dinamica delle questioni di genere in Francia.

Dalla protezione accordata nel 19esimo secolo alla donna nel suo doppio ruolo di madre e lavoratrice, la legislazione è evoluta, dopo la seconda guerra mondiale, verso la garanzia del principio di uguaglianza uomo-donna sul piano professionale. Il preambolo della Costituzione del 27 ottobre 1946, punto 3, proclama che « la legge garantisce alla donna dei diritti uguali a quelli dell’uomo in tutti i campi ». A partire dagli anni ’70 sono state introdotte molte leggi che, osservate in retrospettiva, rivelano come il legislatore abbia lavorato in modo iterativo intervenendo in moltissimi ambiti e utilizzando molteplici leve. In particolare, ha mirato a coinvolgere sempre di più il settore privato, ha reso obbligatori sistemi di rilevazione dei dati e di controllo, è intervenuto sulle condizioni strutturali e di ecosistema, fino a imporre delle quote “rosa” al privato ed ha incentivato con strumenti di defiscalizzazione forme di welfare aziendale (asili privati di azienda, assegni famiglia…). Negli ultimi anni maggiore attenzione è stata prestata alla questione del soffitto di cristallo e alla predisposizione di indici in grado di consentire un informato monitoraggio.

Esaminiamo le leggi principali raggruppate per tematiche.

Remunerazione. La legge del 22/12/1972 enuncia il principio dell’uguaglianza della remunerazione tra donna e uomo per lo svolgimento di uno stesso lavoro. La legge n° 2006-340 del 23 marzo 2006 sulla parità salariale introduce l’obbligo di negoziare delle misure per eliminare le differenze di remunerazione (al 31 dicembre 2010).

Contratto di lavoro e discriminazione. La legge del 11/7/1975 proibisce di formulare offerte di lavoro riservate a un solo genere nonché rifiutare un’assunzione o di licenziare in funzione del genere o della situazione di famiglia. La legge n°83-635 del 13/7 1983 (loi Roudy)   modifica il codice del lavoro ed il codice penale e introduce la direttiva europea, affermando il principio dell’uguaglianza per: assunzioni, remunerazione, promozione, formazione. Inoltre, la nozione di motivo legittimo di discriminazione è soppressa e si afferma il principio di salario uguale a “valore uguale” (esperienza, competenze e diploma). La legge istituisce l’obbligo per l’impresa di produrre un rapporto annuale sulla situazione comparata (RSC), strumento di monitoraggio avanzato per quantificare le disuguaglianze nelle diverse professioni allo scopo di ridurre le differenze di trattamento. La legge n° 2001-1066 del 16/11/2001 introduce sia l’onere della prova a carico dell’azienda in caso di discriminazione sia la nozione di discriminazione indiretta (direttiva europea 2000/78 del 27/11/2000). Infine, la legge n° 2008-496 del 27/5/2008 introduce diverse disposizioni dil diritto comunitario in materia di discriminazione (diretta e indiretta), rinforzando la protezione di chi ne resta vittima.

Partenariati sociali. La legge n° 2001-397 del 9/52001 (legge Génisson) prevede per il RSC degli indicatori definiti attraverso decreto, con l’obbligo di negoziare accordi collettivi (azienda o settore). I sindacati sono tenuti a una equilibrata rappresentatività di genere.

Formazione. La legge n° 2004- 391 del 4/5/2004 introduce condizioni per l’uguaglianza di genere nell’ambito della formazione professionale, e l’agevolazione dell’accesso per le donne. La legge n° 2007-1223 del 21/8/2007 precisa le azioni per l’accesso alla formazione professionale delle donne che riprendono l’attività lavorativa dopo interruzioni dovuta a motivi familiari.

Soffitto di vetro per le donne – posizioni decisionali chiave. La legge n° 2011‑103 del 27/1/2011 (legge Copé‑Zimmermann) sul modello di alcuni paesi del Nord Europa ha prodotto i suoi effetti grazie all’obbligo di quote. Le donne sono in effetti oggi più del 40% nei Consigli di amministrazione delle grandi aziende e la Francia ha il primato nell’Unione europea. Una nuova legge in corso di approvazione (legge Rixain) prevede delle quote per le posizioni dirigenziali. Le aziende con più di 1000 dipendenti dovranno pubblicare annualmente i dati di genere riguardanti 10% dei posti a più alta responsabilità. L’obiettivo è che la quota di donne raggiunga il 30% nel 2027 e il 40% nel 2030. In caso di non raggiungimento degli obiettivi la sanzione prevista è pari all’1% della massa salariale. Il testo prevede anche la costruzione di un indice sulla parità di genere tra gli studenti il cui contenuto sarà definito da un decreto. Uno degli obiettivi è misurare e limitare la scarsa presenza delle donne in discipline come ingegneria o informatica, da cui dipendono, almeno in parte, le attuali disuguaglianze retributive.

Monitoraggio composito e multi-obiettivi. La legge del 5/9/2018 (Libertà di scegliere il proprio futuro professionale) introduce l’obbligo per le imprese con più di 50 dipendenti di pubblicare annualmente un Indice globale sulla parità di genere, articolato su 100 punti e 5 indicatori.

Gli indicatori che segnalano un ritardo sono due. Il primo è quello relativo al “congedo di maternità”, dato dal rapporto tra le donne che ottengono aumenti di stipendi dopo aver beneficiato del congedo di maternità e il numero di dipendenti che ottengono un aumento di stipendi. Il valore di questo indice è zero nel 13% dei casi. Il secondo indice che segnala ritardi è quello delle “alte remunerazioni”:  considerando il 10% più elevato delle retribuzioni, solo in un quarto delle aziende vi è parità tra donna e uomo.

In conclusione. Il PNRR si propone di far crescere il Gender Equality Index del nostro paese di 5 punti entro il 2026, per raggiungere la media europea. Si tratta di un obiettivo assai ambizioso che richiede numerosi cambiamenti strutturali riguardanti non soltanto le retribuzioni ma anche il sistema di welfare, l’accesso delle donne a carriere più remunerate, l’introduzione di quote e molto altro. L’esperienza francese, come si è cercato di sostenere in questa nota, può essere di aiuto per individuare le politiche più efficaci e gli ambiti ai quali esse devono rivolgersi. Una menzione particolare meritano, forse, i tentativi del legislatore francese di coinvolgere le aziende e l’attenzione posta all’acquisizione di dati e alle definizione di indicatori in grado di permettere un adeguato monitoraggio e una tempestiva valutazione delle politiche adottate.

Schede e storico autori