L’”Accordo” sulla Grecia. Un colpo all’etica, un colpo all’economia

Vari autori forniscono le loro valutazioni sull’Accordo siglato il 12 luglio tra l’Eurogruppo e la Grecia in condizioni di estrema difficoltà. Di quell’Accordo vengono messe in evidenza alcune peculiarità che si riferiscono in particolare alla novità della procedura di accesso agli aiuti finanziari, al rapporto tra il suo contenuto e consolidate concezione di democrazia, alle strategie che hanno condotto alla sua approvazione e al rilievo assunto dall’esercizio del potere di contrattazione in un contesto di interazione strategica asimmetrica.

Il cosiddetto Accordo tra Eurogruppo e Grecia del 12 luglio presenta numerose peculiarità, almeno agli occhi degli autori di questo Contrappunto che qui di seguito raccontano quali sono gli aspetti che più li hanno colpiti. Gli autori sono Marcello Basili, Alessandra Cataldi, Maurizio Franzini, Elena Granaglia e Elena Paparella.

Le condizioni dell’aiuto finanziario [1. Di Alessandra Cataldi. Le opinioni espresse sono personali e non coinvolgono le istituzioni di appartenenza] . Per meglio comprendere le peculiarità dell’Accordo del 12 luglio è utile ricordare brevemente come funzionano i meccanismi di supporto finanziario (Economic Adjustment Programme) ai paesi dell’Eurozona. Dall’inizio della crisi economica, le istituzioni europee e internazionali hanno ammesso a tali meccanismi cinque paesi: la Grecia nel 2010, il Portogallo e l’Irlanda nel 2011, la Spagna nel 2012 e Cipro nel 2013.

I fondi messi a disposizione attraverso i piani di aggiustamento sono stati erogati da istituzioni europee, internazionali o dagli Stati europei: la Spagna  ha fatto ricorso ai fondi europei di salvataggio EFSF/ESM, che sono garantiti dai Paesi dell’area dell’euro; Cipro e Portogallo hanno attinto sia ai fondi EFSF/ESM che al FMI; Irlanda e Grecia hanno fatto ricorso a fondi EFSF/ESM, al FMI e a prestiti da parte degli Stati europei, gestiti dalla Commissione europea. Il fondo ESM ha operato in sincronia con l’EFSF fino al 2013, anno in cui l’EFSF ha smesso di operare (per rimanere attivo solo per i prestiti già accordati). Portogallo e Irlanda hanno attinto prestiti anche al fondo EFSM, garantito da tutti i Paesi dell’Unione europea.

L’ammontare di prestiti elargiti finora alla Grecia (escludendo i nuovi aiuti previsti dall’accordo del 12 luglio) è di circa 240 miliardi, mentre i finanziamenti agli altri Paesi hanno avuto ordini di grandezza decisamente inferiori: 10 miliardi per Cipro; 100 miliardi per ricapitalizzare le banche accordati alla Spagna (che ne ha spesi solo 41.4); 67.8 miliardi elargiti all’Irlanda; 78 miliardi per il Portogallo.

I finanziamenti sono stati erogati condizionatamente all’attuazione da parte degli Stati di un programma di riforme, il cosiddetto “Memorandum of understanding” definito dalle parti creditrici, che hanno svolto un ruolo di monitoraggio sulle diverse fasi di attuazione delle riforme richieste.

Il programma di finanziamento per la Spagna è strettamente finalizzato alla attuazione di un percorso di ristrutturazione bancaria, definito nel Memorandum. La Spagna si è anche impegnata a consultare preventivamente la Commissione europea e la Banca centrale europea sulle misure finanziarie che, sebbene non incluse direttamente nel Memorandum, avrebbero potuto influire sul successo del programma. Cipro ha sottoscritto l’impegno a ristrutturare il settore bancario, a consolidare i conti pubblici attraverso il raggiungimento di un avanzo primario del 4% nel 2018, ad attuare varie riforme tra cui la modifica del meccanismo di indicizzazione dei salari, il taglio dei salari pubblici e la riforma del sistema pensionistico. L’Irlanda si è soprattutto impegnata a consolidare i conti pubblici attraverso una programma di riduzione delle spesa pubblica per stipendi, pensioni e welfare e attraverso la riforma della tassazione (aumento della base imponibile ai fini delle imposte sul reddito a aumento delle aliquote IVA). Il Portogallo ha accettato un programma trasversale comprendente, tra le altre cose, la capitalizzazione del settore bancario, il consolidamento fiscale dei conti pubblici, le riforme del mercato del lavoro (tra cui l’alleggerimento della normativa sulla protezione del lavoro), le liberalizzazioni nel settore dei servizi, la riforma della giustizia. Infine, la Grecia si è impegnata ad attuare una drastica riduzione della spesa pubblica (realizzata anche attraverso tagli nominali dei salari e delle pensioni pubbliche) e ad attuare varie riforme finalizzate ad aumentare la competitività, a rendere più flessibile il mercato del lavoro e a liberalizzare il settore dei servizi.

L’Irlanda ha concluso il suo programma di aggiustamento (riuscendo quindi a finanziarsi nuovamente sui mercati) nel 2013, la Spagna e il Portogallo hanno concluso i rispettivi programmi nel 2014. Il programma di Cipro dovrebbe concludersi nel 2016. E la Grecia……

Il programma di assistenza finanziaria alla Grecia è il più generoso ma anche quello che ha funzionato meno, per dirla con un eufemismo. Infatti, malgrado l’enorme sforzo di consolidamento fiscale effettuato negli ultimi anni in base al programma di aggiustamento (riconosciuto dalle stesse istituzioni europee  che parlano letteralmente di “impressive fiscal consolidation effort in recent years”), nel luglio del 2015, dopo cinque anni di profonda recessione economica, la Grecia si trova a dover chiedere altri finanziamenti e non è nella condizione di ripagare il debito accumulato.

E così arriviamo all’accordo del 12 luglio. Il nuovo finanziamento da erogare alla Grecia potrebbe essere erogato dal fondo europeo ESM, in base a quanto hanno deciso i Capi di Stato e di Governo dell’area dell’euro (Euro Summit). Come stabilito nel proprio Trattato, il fondo ESM impegna gli Stati dell’area dell’euro a garantire la stabilità finanziaria all’interno dell’unione monetaria prevedendo finanziamenti a sostegno degli altri Stati dell’area dell’euro in difficoltà.

Il fondo eroga finanziamenti sotto stretta condizionalità, in base a quanto stabilito nel Trattato stesso. Ogni Stato partecipa al fondo versando una quota di capitale ed elegge un rappresentate, che deve essere un membro del Governo responsabile della politica economica nazionale. I diritti di voto sono esercitati dai rappresentanti e sono commisurati al valore della quota capitale versata. Le condizioni in base alle quali i fondi possono essere erogati ad uno Stato che ne fa richiesta sono definite in un Memorandum, i cui contenuti sono negoziati tra la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Paese interessato. Il fondo si finanzia emettendo titoli di debito.

La peculiarità dell’accordo di finanziamento del 12 luglio deciso dall’Euro Summit consiste nell’ inserimento di una doppia condizionalità per l’accesso al fondo: infatti la possibilità di negoziare le condizioni (il Memorandum) per ottenere il finanziamento è stata subordinata alla immediata attuazione di una serie di misure economiche ritenute fondamentali per ricostruire la credibilità politica della Grecia agli occhi dell’Europa. Qualora la Grecia non attui immediatamente le misure richieste, non avrà luogo nemmeno la negoziazione relativa ai finanziamenti del fondo. In sostanza, l’accesso al fondo è stato vincolato al rispetto di determinate condizioni di idoneità. Tra l’altro, la possibilità di definire le condizioni di ammissibilità è prevista dal Trattato costitutivo del fondo ESM, ma in questo caso è stata applicata in via eccezionale.

Quali sono le pre-condizioni imposte dall’Euro Summit alla Grecia per accedere al fondo e negoziare un nuovo Memorandum? Alla Grecia si chiede soprattutto di riformare il mercato del lavoro, rendendolo più flessibile e di intervenire nel settore dei servizi e dei prodotti, attraverso ampie liberalizzazioni. Alcune delle richieste di riforma presenti nel documento del 12 luglio erano contenute anche nei programmi di riforma precedentemente sottoscritti dalla Grecia. Tuttavia, secondo quanto affermato dalle istituzioni europee, gli interventi di riforma del Paese in questi ambiti sono stati finora limitati e gli sforzi richiesti ora al Paese sono quindi maggiori. L’obiettivo dichiarato delle riforme richieste è rendere i mercati più flessibili e competitivi, favorire la flessibilità e l’aggiustamento dei prezzi alle mutevoli condizioni economiche, rendere il mercato greco attraente ad imprese ed investitori esteri. Inoltre, l’Euro Summit ha imposto alla Grecia di annullare tutte le misure economiche attuare finora che non siano coerenti con i vecchi Memorandum sottoscritti dai precedenti Governi. In aggiunta, viene richiesto alla Grecia di costituire un fondo nel quale trasferire le attività del Paese da cedere tramite privatizzazioni in modo da ottenere liquidità per rimborsare i prestiti ottenuti finora. Il fondo sarà cogestito da Atene e dalle Istituzioni europee. Le richieste dell’Euro Summit sono a dir poco ambiziose. D’altro canto il Trattato costitutivo del fondo ESM non specifica il perimetro della condizionalità che può essere imposta ad uno Stato che richiede aiuto, ma si limita a dire che essa può riguardare il programma di aggiustamento macroeconomico e le condizioni di ammissibilità al fondo.

Il documento del 12 luglio non affronta, invece, altre spinose questioni. Ad esempio, non rivolge nessuna riflessione agli effetti che le reclamate politiche di liberalizzazioni e deregolamentazioni dei mercati possono avere sull’inflazione interna e, quindi, sulla stessa sostenibilità del debito. Più che un programma di interventi di ampio raggio finalizzati a rimettere in piedi l’economia greca, il documento sembra voler chiedere alla Grecia se è disposta a restare nell’euro a qualsiasi costo, “whatever it takes”.

La questione della democrazia [2. Di Elena Granaglia e Elena Paparella] . La tensione cui i Memorandum sottopongono i tradizionali meccanismi di decisione democratica è stata sottolineata in molte occasioni. La peculiarità della procedura indicata in precedenza sembra esasperare ulteriormente questa tensione. Anche qui è bene partire da una semplice premessa.

Qualsiasi siano le specificazioni, un’etica pubblica democratica richiede, al minimo, che le scelte collettive siano prese da soggetti che si pongano in condizioni di uguaglianza gli uni rispetto agli altri, in modo che nessuno possa sopraffare l’altro o gli interessi degli uni possano contare più degli interessi degli altri. In questa prospettiva, proprio perché il punto di partenza è la pari uguaglianza le posizioni avanzate dalle parti devono essere giustificate nei confronti di tutti coloro che partecipano alla scelta. Laddove le scelte riguardino l’economia, i dati/le evidenze empiriche disponibili sono cruciali ai fini delle giustificazioni.

L’ “Accordo” del 12 luglio rappresenta una violazione assoluta di questi principi, caratterizzandosi per una totale incoerenza con il principio delle cessioni di sovranità in condizioni di parità che ha contraddistinto tradizionalmente il processo di integrazione in Europa. Parafrasando Krugman (La Repubblica, 14 luglio 2015, pag. 3), ciò cui abbiamo assistito assomiglia di più all’ “annientamento assoluto” di una delle parti.

Rispetto al sistema giuridico greco, l’”Accordo” richiede (pag. 2) “l’adozione del codice di procedura civile, che costituisce un’importante revisione delle procedure e delle modalità del sistema della giustizia civile e può notevolmente accelerare il procedimento giudiziario e ridurre i costi”. Si tratta di una riforma della giustizia di uno Stato sovrano, etero-diretta da istituzioni sovranazionali in assenza di base giuridica di natura internazionalistica. L’unico -rischioso – precedente è quello del MoU del Portogallo che prevedeva una riforma della giustizia. In effetti, in Europa, dal 1950, l’unica intromissione nelle procedure giurisdizionali degli Stati avviene sulla base dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che prevede condanne da parte della Corte di Strasburgo per irragionevole durata dei processi.

L’Accordo richiede altresì (pag. 3), di “fare riforme ambiziose delle pensioni e precisare le politiche intese a compensare totalmente l’impatto che la sentenza della Corte costituzionale relativa alla riforma pensionistica del 2012 ha sul bilancio e attuare la clausola del deficit zero oppure misure alternative reciprocamente accettabili entro ottobre 2015”. In tal modo, si richiede di neutralizzare gli effetti di una specifica sentenza, colpendo al cuore il sistema della giustizia costituzionale, posta a garanzia di diritti fondamentali, che talvolta riesce a “riparare” gli “errori” del legislatore.

E, ancora, (pag. 5) “Il governo deve consultare le istituzioni e convenire con esse tutti i progetti legislativi nei settori rilevanti con adeguato anticipo prima di sottoporli alla consultazione pubblica o al Parlamento”. Il che, a parte l’ambiguità della nozione di “settore rilevante”, apre sempre più la strada all’accreditamento – informale – di riforme nazionali etero-dirette.

Al contempo, l’”Accordo” prevede (p. 5) che “fatta salva la legge sulla crisi umanitaria, il governo greco riesaminerà, per modificarla, la legislazione introdotta in contrasto con l’accordo del 20 febbraio ..”.

Infine, un’ulteriore violazione dell’uguaglianza fra le parti, è dovuta al fatto che tra  le istituzioni con le quali il governo dovrebbe convenire c’è il Fondo Monetario, un’istituzione ben diversa dagli Stati-Nazione dell’Unione.

Certo, la Grecia ha problemi istituzionali che necessitano di interventi profondi. Gli aiuti, inoltre, richiedono comportamenti reciprocanti da parte della stessa Grecia. Il punto è che le regole dovrebbero essere decise partendo da posizione di parità, nella consapevolezza che i problemi dell’euro sono problemi di tutti e che trattare tutti come uguali, che è la richiesta al centro dell’etica democratica, è ben lungi dal richiedere di trattare in modo uguale. Al contrario, occorre tenere conto delle diversità delle situazioni. Il che significa, fra l’altro, che non appare accettabile chiedere a chi sta peggio comportamenti che si richiederebbero a chi sta meglio. D’altro canto, se un obiettivo centrale è la ricostruzione della fiducia, come ci dice l’economia sperimentale, regole “ carine” (cooperative) sono assai più efficaci di regole “ carogna”.

Ancora, una costruzione democratica delle regole richiede trasparenza: cosa sanno oggi i cittadini dell’Unione circa la destinazione degli aiuti? Quanti di essi in passato sono andati alle banche e quanti dei nuovi aiuti fanno la stessa fine?

Si potrebbe convenire su queste osservazioni, ma sostenere che l’accordo siglato rappresenti l’unico modo per salvare la Grecia. Ci troveremmo, così, di fronte a un classico trade off. Ma anche su questo fronte l’”Accordo” desta più di una perplessità. Si consideri la raccomandazione secondo cui “le politiche per il mercato del lavoro dovrebbero essere allineate sulle migliori prassi internazionali ed europee e non dovrebbero comportare un ritorno alle precedenti impostazioni non compatibili con gli obiettivi di promozione di una crescita sostenibile e inclusiva”. Politiche di ulteriore tagli della spesa pubblica, incremento di tassazione e diminuzione degli stipendi portano verso una crescita sostenibile e inclusiva? L’evidenza disponibile punta nella direzione opposta.

Se è così, sorge però legittima la domanda: non dovrebbe essere nell’interesse dei creditori massimizzare le probabilità di vedersi restituire i fondi concessi? Se, almeno in apparenza non è così, quale può esserne la ragione?

Le strategie e il potere [3. Di Marcello Basili e Maurizio Franzini] . La domanda appena posta rimanda a un quesito più generale che è affiorato diverse volte in questi ultimi mesi. Quali sono gli obiettivi dei giocatori? Che tipo di “gioco” stanno giocando e con quali strategie?

Molti commentatori ed economisti su quotidiani nazionali e internazionali hanno presentato i negoziati come una situazione strategica assimilabile a un gioco del pollo (game of chicken). Altri hanno sottolineato che se così fosse, Tsipras avrebbe trascurato due aspetti fondamentali: i costi reputazionali, cioè le conseguenze implicite in termini di perdita di credibilità che la Troika soffrirebbe qualora accogliesse le richieste greche; la possibilità che emerga incoerenza temporale, cioè l’avere risorse e tempo senza vincoli porterebbe la Grecia a non realizzare le riforme richieste dalla Troika.

La domanda fondamentale è questa: il gioco del pollo rappresenta adeguatamente il confronto in atto? Quel gioco non è altro che la rappresentazione stilizzata di una situazione in cui due giocatori, ciascuno a bordo di un’auto, corrono a tutta velocità l’uno verso l’altro in un inevitabile scontro dall’esito mortale. Vince chi sterza per ultimo, mentre l’altro è il pollo (vigliacco). Il gioco del pollo, che implica un rischio catastrofico (la morte in caso di collisione) è un gioco one-shot (simultaneo) o in forma normale, cioè non è prevista una successione di mosse, e ha più di una soluzione (equilibri di Nash multipli).

C’è un tema ricorrente tra i negoziatori e anche tra i commentatori, che il gioco del pollo non può considerare: la defezione dall’accordo sulla base della sfiducia nella capacità di comportarsi razionalmente dell’altro, ovvero la presenza di un dilemma di fiducia (trust dilemma) del tipo “mi fido o non mi fido”, che la ripetizione del gioco può facilmente risolvere. Forse chi parla di perdita bilaterale di fiducia si riferisce a questo aspetto?

In questi giorni si è parlato molto di mancanza di fiducia nei confronti della Grecia. Ma può esserci anche un problema opposto, e cioè di limitata fiducia della Grecia nei confronti della sua controparte. Lo potrebbe giustificare il fatto che le simulazioni della Troika sulla base delle quali sono state accettate le cosiddette riforme prevedevano una riduzione del PIL del 5%, mentre in realtà Il PIL greco in 4 anni si è ridotto di oltre il 25%, la disoccupazione è raddoppiata arrivando al 26% e il rapporto debito pubblico/PIL è esploso oltre il 180%. E lo potrebbe giustificare anche il fatto che la Troika nel 2010 a fronte di una crisi di solvibilità del Governo ellenico e di un’elevatissima concentrazione del debito, con un rapporto tra prestiti e titoli di 20 a 80, invece di operare una ristrutturazione, che solo negli ultimi trentacinque anni è avvenuta 180 volte nel mondo, ha preferito optare per due bailout e il successivo haircut che a oggi sono costati complessivamente più di 360 miliardi di euro, oltre alla distruzione dell’economia greca, e non hanno risolto nulla, visto che nell’accordo dell’Eurosummit di Bruxelles del 12 luglio si parla di un terzo prestito da 82-86 miliardi.

Infine, la fiducia potrebbe vacillare di fronte a chi non ha seguito le procedure più ovvie per far fronte al rischio di mancato rimborso del prestito da parte dello stato – e cioè la stipula di un contratto assicurativo chiamato Credit Default Swap (CDS) che fa parte della popolosa famiglia dei derivati – ponendo tutta la “colpa” della manca restituzione sul debitore. Va anche ricordato che i titoli del debito pubblico sono rischiosi per definizione e lo spread compensa il creditore per il rischio -paese, cioè per la probabilità positiva , e più o meno alta, che l’emittente non sia in grado di rimborsare alla scadenza.

Ma non tutti possono far pesare allo stesso modo la propria sfiducia. In realtà, il colpo di scena del referendum e il memorandum uscito dall’Eurosummit di domenica chiariscono meglio la natura del confronto in atto tra Grecia e Troika. Anzitutto si tratta non di un gioco a un solo stadio ma di una vera e propria negoziazione (barganing), caratterizza da mosse e contromosse, proposte e controproposte. Per questo la situazione strategica in atto a Bruxelles può essere rappresentata come un gioco sequenziale o in forma estesa.

Inoltre, e soprattutto, la contrattazione si svolge tra due giocatori con un potere diverso: un leader, la Troika, che impone le regole e un follower, la Grecia, che vi si deve adeguare, in un contesto in cui le conseguenze delle scelte sono incerte, quindi devono essere caratterizzate da probabilità. Per questo la situazione può essere formalizzata come un Gioco di Stackelberg Bayesiano, dove il follower sceglie l’azione sulla base della mossa del leader. Inoltre va considerato che i giocatori non sono blocchi omogenei e che altri giochi hanno luogo all’interno di ciascuno schieramento, come mostra l’incertezza sull’approvazione da parte del Parlamento greco delle decisioni di Tsipras, da un lato, e il conflitto emerso all’interno dell’Eurogruppo, dall’altro. Ma è indubbio che senza il ricorso alla nozione di potere, difficilmente si potrà comprendere la partita in atto.

A questo proposito, comunque la si valuti, è di interesse la recente intervista concessa da Yanis Voroufakis a New Statesman. Anzitutto Varoufakis racconta dell’assenza di una qualsiasi solidarietà da parte dei paesi mediterranei dell’Eurozona, illustra la scarsa considerazione che l’Eurogruppo ha del Parlamento Europeo, unico organo eletto a suffragio universale dai cittadini dell’Unione e sostiene che l’Eurogruppo, cioè la struttura che ha imposto il memorandum del 12 luglio, non è previsto né disciplinato nei Trattati. Inoltre, a suo parere, l’Eurogruppo sarebbe completamente controllato dalla Germania – alla quale finisce per allinearsi anche la Francia – e la volontà della Germania tende a coincidere con quella di Wolfgang Schäuble. E al riguardo è significativo il richiamo di quanto si legge nella biografia non autorizzata Kohl: nel 1996 al summit di Dublino rivolto a Schäuble, il cancelliere tedesco disse “Why exactly do you think I’m still in office? I’m still here because of Europe. Without me, no one in Germany will get this done.”

Secondo Varoufakis, per Schäuble il problema non era negoziare, per lui la questione era semplice: “questo è il cavallo puoi salirci sopra oppure morire”. L’ex ministro greco racconta di come, di fronte alla riduzione della liquidità delle banche, abbia cercato di proporre alcune riforme fondamentali (fisco, per esempio) per poi procedere ai cambiamenti più articolati e complessi. Schäuble, ricorda Varoufakis, rifiutò la proposta perché per lui esisteva già un programma non negoziabile ed era quello concordato dai governi precedenti. Tutto ciò segnala, quanto meno la percezione di una grande asimmetria di potere tra le parti e di una coesione attorno alle posizioni più estreme, quelle che traevano la propria forza anche dalla indifferenza rispetto alle conseguenze che avrebbe potuto avere la scelta dell’uscita della Grecia dall’euro.

Probabilmente anche per contrastare questo potere Varoufakis, come egli dichiara, pensò fattivamente a una Grexit, cioè di comunicare che neanche la Grecia temeva la soluzione estrema e, dunque, non poteva essere battuta agitando questo timore. A questo scopo, Varoufakis progettò di costruire nel proprio ufficio una sorta di “gabinetto di guerra”. La minaccia della Grexit avrebbe dovuto concretizzarsi non nell’emissione di una nuova moneta, ma nell’annuncio dell’emissione di proprie note di debito (IOU), del controllo diretto della Banca Centrale Greca e della ristrutturazione del debito tenuto dalla BCE. Questa strategia, che forse avrebbe potuto dare nuovo potere negoziale alla Grecia, fu bocciata dalla riunione del comitato ristretto di Syriza per 4 a 2.

Ora che l’accordo è stato  non solo siglato ma anche approvato, proprio mentre scriviamo, dal Parlamento greco si conosce la conclusione di questa  fase importante, ma non conclusiva, dell’interminabile gioco. In particolare, l’austerità – malgrado i suoi fallimenti – sembra essere l’unica politica da seguire per onorare i debiti e la limitazione della democrazia – sempre inquietante – sembra essere dovuta non all’esigenza di spingere i debitori a comportamenti che effettivamente siano di garanzia per i creditori ma all’apparente tentativo di esibire la sinistra muscolatura del potere.

Il problema di come conciliare la democrazia con i diritti dei creditori è certamente un problema rilevante soprattutto quando le costruzioni politiche sono difettose come è nel caso dell’Europa. Ma che qualcuno pensi di nascondere questi difetti con un’esibizione muscolare non può che turbare profondamente chi tiene la democrazia in alta considerazione.

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