La violenza

Il mio primo commento all’aggressione di Silvio Berlusconi è stato che quell’atto poteva essere stato commesso solo da un cretino, incapace, tra l’altro di valutare le conseguenze del suo gesto. Ho saputo successivamente che l’autore è un malato, da dieci anni in cura, e mi è dispiaciuto di aver usato quel termine riferito alla persona anziché all’atto. Ma desidero ribadire, a fronte di troppe giustificazioni e di quanti si sono più o meno compiaciuti del gesto di quel malato di mente, un netto giudizio di condanna sia per la violazione di una elementare norma di civiltà – e ciò attiene alla morale –  sia per la dimostrata assenza di una pur elementare educazione civica e politica. Priva di modelli contemporanei validi e di maestri, troppa gente pensa che le politica sia l’arte di eccitare gli animi e non quella di ascoltare, elaborare e riproporre alla comunità obiettivi con cui conquistare anche quelli che nella fase dell’ascolto  sono apparsi reticenti o avversi ad un dialogo costruttivo. Basta assistere ai dibattiti televisivi che ogni sera ci vengono proposti dalla TV: interruzioni violente, indici accusatori, sovrapposizione di voci stridule, inquadrature di volti arrossati, bocche spalancate per farsi udire, costante violazione delle più elementari regole della coesistenza sotto lo stesso tetto. Le eccezioni sono veramente poche, anche se tutti invitano gli “altri” ad abbassare i toni.

Ma come non capire che ogni atto di violenza anche solo verbale, tanto più grave in una situazione caratterizzata da un profondo disagio causato non solo dalla crisi economica, è un atto che produce una lacerazione nel tessuto democratico del Paese, tessuto già logorato da anni di errori organizzativi e politici e da una sottovalutazione costante della necessità di socializzare la politica e cioè della necessità di aggregare, unire, ricollegare i tanti spezzoni in cui la società oggi si divide? Vogliamo rispondere alla violenza usata a Milano contro il Presidente del Consiglio alimentando ulteriormente la violenza – non a caso all’aggressione hanno fatto seguito l’attentato alla Bocconi, attribuito come al solito agli anarchici, e la sottrazione al Parlamento della legge finanziaria – o condannandola  non solo a parole, ma con i fatti e i comportamenti? E’ indubbio che ogni giorno vengono compiuti contro i lavoratori, gli immigrati, gli zingari, i “diversi” atti di violenza ben più gravi di quello compiuto contro l’on. Berlusconi. Ma questa è una ragione di più per combattere la violenza e le violazioni dei diritti della persona umana, e non certamente per alimentare forme estreme di lotta. Ci sono state eroiche insurrezioni nella storia cui va la nostra riconoscenza per la strada che hanno aperto alla conquista di diritti di libertà, ma non è certo oggi questa la soluzione per le centinaia di migliaia di persone prive di lavoro o per le piccole aziende in difficoltà. C’è un diffuso disagio nel Paese – questo è certo – ma, se vogliamo, è ancora possibile dare ad esso uno sbocco positivo scegliendo e definendo la via di una crescita dei diritti di cittadinanza  da opporre a chi attenta ai diritti esistenti. La crisi economica che stiamo vivendo è anche il frutto di una crescente esclusione di ceti operai e borghesi da diritti fondamentali: diritto al lavoro, diritto alla salute, diritto a sostenere liberamente le proprie opinioni, a praticare la propria religione.

C’è una antica e bella canzone popolare polacca, la Warshavianka (la ragazza di Varsavia ), che nel 1831fu fatta propria dai cadetti di Varsavia insorti contro lo Zar russo Nicola I°. Da allora la canzone ha cambiato le parole del testo più di dieci volte: divenne infatti la canzone della rivolta polacca del 1883, poi di lotte tedesche, francesi. Nel 1905 fu l’inno della rivoluzione borghese russa, sedata nel sangue dallo zar, e nel 1936 fu l’inno delle forze internazionali accorse in Spagna per difenderne la libertà contro Franco. Nel 1943, durante l’assedio di Leningrado, Shostakovich la fece diventare movimento della sua settima Sinfonia e canto dell’unità patriottica nella città assediata dai nazisti. Io amo molto quella canzone perché unisce nel nome della libertà tante generazioni diverse e vorrei che si tornasse a cantarla: ma è indubbio che l’intero testo andrebbe ancora una volta ripensato e riscritto perché nessuno dei testi passati  – questo è il punto – si adatta più alla situazione di oggi. Non che le rivolte e le dittature che le provocano siano cessate  in quelle parti del mondo dove ogni legge è calpestata da chi detiene con le armi il potere e sia venuto meno il dovere di solidarietà contro gli oppressi che si ribellano. Ma pensiamo veramente che la situazione  in Italia sia già questa? Se pensiamo invece che la Costituzione italiana del 1946 debba e possa essere la Costituzione di tutti e che la Carta di Lisbona debba e possa essere applicata in ogni paese dell’Unione europea allora è necessario usare ogni mezzo legale per tutelare i diritti sanciti e non spingere in direzione di rotture che possono divenire non sanabili. Ognuno deve fare, nell’ambito delle regole costituzionali che tutelano la piena libertà di ciascuno e di tutti, le proprie scelte: sia coloro che vogliono modificare il modello produttivo che ha portato al susseguirsi di crisi economiche sempre più gravi e riaccendere così speranze ed ideali, sia coloro che vogliono difendere un modello che si è aggrovigliato su se stesso. Per vincere il confronto occorre che le scelte siano precise, dichiarate, motivate e che si smetta di rinviarle – a cominciare da quelle necessarie a sostenere sul mercato la domanda –  con le scuse più varie: siano queste legate a questioni di letto o a questioni di giustizia o a questioni meno personali. Anche il rinvio è una violenza ai danni del Paese.

                                                                              l.b.

Schede e storico autori