La via spagnola al federalismo

Da molti anni nel nostro Paese si parla di riforme in senso federale. Chi più chi meno, quasi tutti gli studiosi della materia hanno dato i loro pareri e suggerimenti in proposito. È noto che questo processo si svilupperà per tappe, prima fra tutte quella relativa al federalismo fiscale che proprio nelle prossime settimane il nostro parlamento sarà chiamato nuovamnete a discutere. Tutti, o quasi, conoscono le opinioni, a volte mutevoli, delle formazioni politiche rispetto al tema generale del federalismo. Meno persone, però, conoscono le realtà che altri Paesi vivono rispetto a questo tema. In questa sede ci si vuole soffermare su una breve analisi del più grande fra i paesi iberici per sottolineare gli aspetti principali di quella che è possibile definire “la via spagnola al federalismo”.

La Costituzione spagnola del 1978[1], intervenuta dopo la fase quarantennale dello Stato autoritario franchista (1936/39-1975)[2] e una breve fase di “transizione politica” (1975-1978), ha posto le basi per la trasformazione della Spagna[3], verso una forma di “Stato di diritto democratico e sociale” (art. 1, comma 1) caratterizzato da una “monarchia parlamentare” (art. 1, comma 3). La Costituzione post-franchista[4] ha garantito il pieno consolidamento della democrazia, dando equilibrata soluzione ad alcune questioni cruciali nella storia politica antica o più recente della Spagna. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, ai poteri del monarca, all’esistenza di un partito unico, alla posizione predominante dell’esercito, all’esistenza di una religione di Stato, al radicato centralismo delle strutture pubbliche, alla quasi inesistente garanzia dei diritti fondamentali. Com’è evidente si tratta di importanti aspetti oggi ampiamente risolti, infatti, la Spagna del dopo ’78 si presenta come un paese che vede riconosciuti i principi liberali, la presenza di un sistema pluralistico di partiti, un potere militare pienamente sottoposto alle autorità civili, uno Stato che si proclama aconfessionale, una Pubblica Amministrazione oggi ammodernata e decentralizzata e una forte tutela dei diritti fondamentali attraverso diversi strumenti giuridici[5].

Il sistema di governo monarchico-parlamentare si desume sia dal rinnovato assetto giuridico della corona (Titolo II), sia dal modello delineato per i rapporti tra governo e parlamento (Titolo V)[6]. I poteri della corona sono stati descritti con precisione nell’art. 62 della Costituzione. In particolare la persona del re assume la più alta rappresentanza dello Stato di cui è simbolo d’unità e permanenza. L’indirizzo politico spetta a governo e parlamento (denominato Cortes Generales) che, legati da un indissolubile legame fiduciario, collaborano nel darvi attuazione nell’esercizio delle rispettive funzioni[7].

È dall’art. 2[8] che, accanto all’unità indissolubile della nazione spagnola, riconosce e garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e delle regioni che la compongono, e dal Titolo VIII (dedicato all’Organizaciòn Territorial del Estado) che si è avviato un ampio e graduale sviluppo del decentramento politico che ha portato al consolidamento di uno “Stato delle Autonomie” dotato di un forte decentramento istituzionale articolato in comunità autonome dotate di autonomia politica[9].

Lo “Stato delle Autonomie” è molto decentrato ma non è ancora uno Stato federale. L’attribuzione della qualifica di “federale” allo Stato spagnolo non è tuttora possibile per diverse ragioni tra le quali abbiamo:

  • Assenza di una vera Camera delle Autonomie nel parlamento nazionale. Non esiste, nel sistema istituzionale spagnolo, una camera federale che rappresenti le diverse comunità autonome. Oggi il Senato, che l’art. 69 della Costituzione definisce, al comma 1, come “la camera di rappresentanza territoriale”, vede la presenza, accanto a quattro senatori per ogni provincia, eletti a suffragio universale, di un certo numero di senatori eletti dalle assemblee legislative delle comunità. Com’è evidente, dunque, né la sua struttura né le specifiche competenze affidategli hanno reso possibile lo sviluppo di un suo effettivo ruolo riguardo alle tematiche delle autonomie[10].
  • Le comunità spagnole sono “autonome”, ma non sono “sovrane” come negli stati federali. La Corte Costituzionale spagnola ha chiarito che autonomia e sovranità sono due cose distinte. Le comunità autonome spagnole, dunque, non sono dotate di un vero e proprio potere costituente, benché siano investite di una potestà statutaria[11].
  • Non è prevista la partecipazione delle regioni ai processi di revisione costituzionale o alla nomina dei membri della Corte Costituzionale[12].

Tuttavia, benché nasca con forma regionale, lo Stato spagnolo ha acquisito progressivamente tratti e connotazioni di tipo federale dando origine a un modello fortemente decentralizzato. Ė evidente, dunque, che non si può parlare in senso stretto di federalismo spagnolo. Piuttosto il decentramento iberico si colloca oggi in una posizione intermedia tra una forma di regionalismo e un vero e proprio sistema federale. In tal modo, una delle peculiarità più importanti della Costituzione spagnola è quella di evitare una definizione della forma di Stato, lasciando aperto un processo dal punto di vista giuridico e politico dell’attuazione concreta dell’organizzazione territoriale dello Stato[13]

IL SISTEMA DELLE AUTONOMIE TERRITORIALI IN SPAGNA

Com’è evidente, quindi, il costituente spagnolo del 1978 pose le basi per una profonda trasformazione della Spagna che, se si esclude la breve esperienza della Seconda Repubblica (1931-1936), è stata tradizionalmente retta da un rigoroso centralismo[14]. Oltre a sancire il ritorno alla democrazia, si cercò una soluzione per rispondere alle richieste di autonomia provenienti dalle forze nazionaliste, soprattutto basca, galiziana e catalana e, più in generale, per risolvere le diversità regionali che caratterizzano la Spagna come Stato plurinazionale, ma fino a quel momento rifiutate dall’autoritarismo franchista. La soluzione che emerge costituisce il compromesso raggiunto tra le varie forze politiche con diverse posizioni rispetto al decentramento dello Stato, che oscillavano dall’idea di uno Stato unitario e centralizzato a quella di una qualche forma di “federazione”. La Spagna, pur non auto-qualificandosi come Stato federale, si compone di comunità autonome dotate di un elevato grado di autonomia, non dissimile da quella degli stati membri delle federazioni. L’opzione, manifestata dalla Costituzione, che consente alle province di costituirsi in comunità autonome ha prodotto un processo di regionalizzazione diffusa che ha coinvolto non solo le regioni storiche (la Catalogna, i Paesi Baschi e la Galizia), dando vita ad un modello di Stato decentrato originale e vivace, che viene comunemente definito Estado autònomico (“Stato delle autonomie”)[15].

La Carta disegna due differenti vie per costituirsi in comunità autonome ed esse potevano scegliere quale procedimento di accesso all’autonomia seguire.

La prima via, chiamata procedimento “di livello ordinario” o “normale”, è disciplinata dall’art. 143 della Costituzione. Essa prevede per “le province limitrofe, con caratteristiche storiche, culturali ed economiche comuni, i territori insulari e le province d’importanza regionale storica” la possibilità di accedere all’autogoverno costituendosi in comunità autonome. Ai sensi di questo articolo, se i consigli provinciali (Diputaciones) ottengono il concorso dei 2/3 dei comuni compresi nel loro territorio, la cui popolazione sia almeno la maggioranza dal censimento elettorale di ogni provincia, e dopo l’approvazione dello statuto regionale mediante legge organica, è possibile la formazione di una comunità autonoma che potrà essere dotata di un determinato livello di poteri[16]. Le comunità autonome sono costituite con l’approvazione dello statuto di autonomia. Questa via è stata seguita per la creazione della maggior parte delle comunità, che sono state definite di “secondo tipo”.

L’altra modalità per l’ottenimento dell’autonomia è prevista nell’art. 151, comma 1, e dalla seconda disposizione transitoria e, essendo più complessa è chiamata procedimento “aggravato” o di “livello superiore”. Le comunità, infatti, dovevano soddisfare complessi requisiti procedurali. In primo luogo, si richiedeva che i consigli delle province limitrofe ottenessero il concorso dei 3/4 dei comuni del loro territorio, nonché la ratifica da parte della maggioranza assoluta degli elettori di ogni provincia attraverso referendum popolari. Tuttavia, le regioni storiche non rispettarono questa fase del procedimento di costituzione, in quanto era sufficiente l’accordo, per maggioranza assoluta degli organi pre-autonomici, disposto della seconda disposizione transitoria della Costituzione. Inoltre, lo statuto regionale doveva essere approvato mediante un nuovo referendum e successivamente da parte del parlamento per mezzo di una legge organica[17]. Le regioni storiche, insieme all’Andalusia e alla Navarra, hanno utilizzato questa seconda via e sono state definite comunità autonome di “primo tipo”. 

LO STATUTO DELLE COMUNITÁ AUTONOME

Lo Statuto della comunità autonoma è la norma istituzionale basica d’ogni comunità, essendo definita dalla Costituzione spagnola come la “norma istituzionale della Comunità Autonoma”. In tal senso lo statuto, non la Costituzione, è la norma che crea, costituisce e pone in essere la comunità. Si tratta di leggi organiche dello Stato che richiedono l’approvazione del parlamento nazionale (le Cortes Generales), cioè, devono essere approvati dallo Stato centrale con la maggioranza qualificata del congresso, invece che quella semplice ordinariamente richiesta. Si tratta di leggi organiche “rinforzate” perché non possono essere approvate oppure modificate senza il consenso della comunità autonoma. Una volta approvate non possono più essere modificate da parte della legislazione ordinaria, neanche statale. In sostanza il suo contenuto è determinato dalla dialettica tra le istituzioni politiche della comunità, quelle dello Stato centrale (delle Cortes in particolare), e dal corpo elettorale (che ha la facoltà di pronunciarsi con referendum)[18]

Si potrebbe dire che gli statuti di autonomia sono norme “quasi-costituzionali”, perché presiedono all’ordinamento della comunità e traggono la propria legittimazione nella stessa Costituzione del 1978 la quale ne costituisce anche un ineliminabile parametro di riferimento. Questo spiega il perché le leggi regionali (ordinarie) siano gerarchicamente inferiori agli statuti di autonomia. Le leggi statali non sono gerarchicamente superiori alle leggi regionali, il rapporto tra legge regionale e legge statale si spiega per mezzo del “principio di competenza”.

La Costituzione spagnola stabilisce all’art. 147, che gli statuti di autonomia devono contenere necessariamente:

a) la denominazione della comunità;

b) la delimitazione del suo territorio;

c) le competenze assunte dalla comunità autonoma nel quadro stabilito dalla Costituzione;

d) la definizione dell’organizzazione istituzionale;

e) il suo procedimento di riforma.

In sostanza, gli statuti avrebbero dovuto disciplinare sopratutto in ordine all’organizzazione interna delle comunità. 

A definire l’equilibrio fra lo Stato e le comunità autonome concorrono, oltre alla Costituzione, i due “patti autonomistici” concordati nel 1981 e nel 1992 fra il governo in carica e il principale partito d’opposizione. Con il primo, tra le altre cose, è stato definito una sorta di statuto-tipo delle comunità. Con il secondo, in cui il principio di cooperazione fra il centro e la periferia viene qualificato come “consustanziale al buon funzionamento dello “Stato delle autonomie”, si prevede l’istituzionalizzazione di organismi misti (le “conferenze settoriali”), quali “strumenti abituali e normali” per “articolare le attività delle varie amministrazioni pubbliche”[19].    

Tra le norme della Costituzione sono inoltre previsti meccanismi di “flessibilità” del livello di competenze disciplinato nello statuto. Ai sensi dell’art. 150, comma 1, lo Stato potrà delegare con legge alle comunità autonome nuove competenze legislative; in base all’art. 150, comma 2, si prevede la possibilità di trasferire o delegare, con legge organica, competenze legislative o esecutive in materie di titolarità statale; infine, l’art. 150, comma 3, stabilisce che qualora l’interesse nazionale lo esiga, con deliberazione espressa a maggioranza assoluta delle Cortes, sarà possibile emanare una legge statale di armonizzazione delle disposizioni normative regionali[20].  

Esiste, poi, anche un meccanismo per costringere le comunità autonome che non abbiano ottemperato ai loro obblighi costituzionali, legislativi o che abbiano agito in modo gravemente pregiudizievole agli interessi generali ad uniformarsi a tali doveri. Sulla base dell’art. 155, infatti, è affidato al governo centrale il potere di richiamare la comunità autonoma ai suoi obblighi e, nel caso in cui questa non provveda e previa decisione espressa dalla maggioranza assoluta del Senato, di adottare le misure necessarie per obbligarla all’adempimento[21].

Circa l’autonomia finanziaria delle comunità autonome, oltre al divieto di imposizioni fiscali su beni situati fuori dal loro territorio, l’art. 156 prevede che le loro risorse siano costituite da imposte cedute totalmente o parzialmente dallo Stato, da tributi propri, da trasferimenti del bilancio statale (art. 157), e da un fondo di compensazione destinato a correggere gli squilibri economici infra-territoriali in nome del principio di solidarietà, distribuito dalle Cortes fra le comunità autonome e le province (art. 158)[22].  

LA DETERMINAZIONE DELLE COMPETENZE: IL “PRINCIPIO DISPOSITIVO”

La ripartizione delle competenze fra Stato centrale e comunità autonome viene determinata attraverso il “principio dispositivo”[23], vero dominus in materia, codificato nell’art. 147, comma 2, lettera d) secondo il quale spetta allo statuto di ogni comunità stabilire “le competenze assunte entro il quadro stabilito nella Costituzione e le basi per il trasferimento dei servizi corrispondenti alle medesime”. Questo principio, secondo il quale l’ampiezza delle competenze di ogni comunità viene a dipendere da quanto stabilito nel suo stesso statuto, rappresenta una peculiarità del modello di regionalismo spagnolo. Il quadro costituzionale in cui gli statuti devono muoversi è costituito da un sistema di doppia lista e clausola residuale, previsto negli articoli 148 e 149.

L’art. 149, comma 1, riguardo alle comunità di “primo tipo”, elenca una serie di materie di competenza esclusiva dello Stato che evidenziano un’indubbia rilevanza nazionale[24] (tra queste, i rapporti internazionali o l’immigrazione), mentre le materie non espressamente attribuite allo Stato potranno essere gestite dalle comunità, se assunte nei loro rispettivi statuti. Le materie di questo articolo vengono quindi a costituire l’unico limite per l’assunzione statutaria di competenze da parte di tali comunità[25]. Per quelle di “secondo tipo”, il riferimento, durante i primi cinque anni, andava fatto all’art. 148 che espressamente individuava le competenze regionali che la comunità autonoma poteva assumere facoltativamente nei propri rispettivi statuti[26].

Questi due elenchi di materie contenuti nella Costituzione spagnola, nonostante il grado di precisione, non hanno carattere esaustivo di tutte le competenze pubbliche, perciò esistono settori che non sono ricompresi né nell’uno né nell’altro elenco. Inoltre, come si può osservare, sono poche le materie di competenza autenticamente esclusiva delle comunità autonome, dal momento che lo Stato centrale ha titoli trasversali e generici che gli consentono di intervenire nelle materie riservate alle comunità autonome, con il risultato che spesso si creano tensioni dialettiche fra i due sistemi. I rapporti tra competenze statali e competenze delle comunità vedono un’ampia giurisprudenza da parte del Tribunale Costituzionale che si è molto spesso dovuto pronunciare in proposito. 

La tendenza che si è manifestata nell’attuazione della Costituzione da parte degli statuti si è sviluppata nel senso della omogeneizzazione del livello di competenze[27]. In una prima fase, nel 1981, gli “accordi autonomici” sottoscritti dal governo nazionale conservatore, insieme ai rappresentanti del partito socialista, definirono in termini identici le competenze delle comunità di “secondo tipo”. Successivamente, trascorsi i cinque anni previsti dalla Costituzione, con la firma dei nuovi “accordi autonomici” fra il governo centrale socialista (in carica dal 1982) e il partito popolare all’opposizione, si delineò un’equiparazione delle competenze di tutte le comunità, cosicché oggi è difficile continuare a parlare di “primo” e di “secondo tipo”, se non sul mero piano della ricostruzione storica[28].

Il rapporto tra uniformità e “asimmetria”[29], resta, nonostante gli accordi autonomici, un nervo scoperto del regionalismo spagnolo. La presenza di hechos diferenciales[30] (fatti differenziali),  vale a dire elementi peculiari di alcune comunità autonome (lingua, cultura, o configurazione geografica), comporterebbe, secondo le ancor vive rivendicazioni autonomistiche, la necessità di livelli di autonomia assai più differenziati di quelli odierni. Per fare alcuni esempi, si può evidenziare come allo stato attuale la differenziazione, che consiste in una asimmetria di fatto fra le varie comunità autonome, si traduce in termini giuridici nella previsione di lingue co-ufficiali e di una loro proiezione culturale e istituzionale[31]; nell’esistenza di un corpo giuridico speciale per alcune parti del paese[32]; in regimi finanziari speciali[33].

Altro aspetto, tutt’ora aperto nella ricerca di un assetto soddisfacente del regionalismo in Spagna, è rappresentato dalla necessità di dar vita a meccanismi di raccordo e collaborazione tra i diversi livelli di governo. Benché le relazioni tra ordinamento statale ed ordinamento delle comunità autonome non siano regolate dal principio di gerarchia, è frequente che si vengano a creare tensioni dialettiche tra i due sistemi. Nel silenzio del testo costituzionale sono stati creati molteplici organi misti, tra i quali spiccano le “conferenze settoriali”, organi permanenti di collaborazione, creati per ognuno dei principali settori dell’amministrazione nei quali sia lo Stato che le comunità autonome sono rappresentate ai massimi livelli[34].

Quello spagnolo, insomma, rappresenta un interessante “modello” da analizzare soprattutto in funzione dei recenti accadimenti politici che hanno visto riaprire un intenso confronto nei rapporti fra Stato e autonomie regionali (si pensi alla Catalogna), per la presenza delle incalzanti e differenziate domande di autonomia che nel recente passato sono culminate con l’approvazione dei nuovi statuti di autonomia.

 BIBLIOGRAFIA 

G. AMATO, Forme di Stato e forme di Governo, il Mulino, Bologna, 2006.

B. CARAVITA (a cura di), Le Regioni in Europa, esperienze costituzionali a confronto, Giampiero Casagrande Editore, Roma, 2002.

C. CHIMENTI, Noi e gli altri, Vol. II, Parte II, G. Giappichelli Editore, Torino.

G. DE VERGOTTINI, Diritto Costituzionale Comparato, CEDAM, Padova, 1999.

T. GROPPI, Il Federalismo, Editori Laterza, Bari, 2004.

M. IACOMETTI, La Spagna, in Costituzioni Comparate, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005.

ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, I volti del federalismo, Milano, 1996.

F. LANCHESTER, Le Costituzioni degli altri, Giuffrè Editore, Milano, 2005.

R. SCARCIGLIA e D. DEL BEN, Spagna, il Mulino, Bologna, 2005.

 


[1] Per una breve analisi sulla storia costituzionale spagnola: M. Iacometti, La Spagna, in Costituzioni Comparate, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, pp. 199-201.

[2] Per un’analisi storica e costituzionale della situazione spagnola si rimanda al testo di R. Scarciglia e D. Del Ben, Spagna, il Mulino, Bologna, 2005.

[3] Capitale: Madrid; Superficie: 505,811 Km2; Popolazione: 46.954.694 (2010).

[4] La Costituzione spagnola del 1978 è facilmente consultabile sul sito: www.boe.es n. 311 del 29/12/1978.

[5] Per meglio comprendere le importanti innovazioni realizzatesi nell’ordinamento spagnolo si veda il Tìtulo preliminar della Costituzione, destinato ad individuarne le coordinate fondamentali.

[6] M. Iacometti, La Spagna, in Costituzioni Comparate, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005.

[7] Per una più ampia analisi della forma istituzionale e della forma di governo: G. De Vergottini, Diritto Costituzionale Comparato, CEDAM, Padova, 1999, pp. 698-719.

[8] L’art. 2 recita: “La Costituzione si basa sulla indissolubile unità della nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli, e riconosce e garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà tra esse”.   

[9] Le comunità autonome sono diciassette: Andalusia, Aragona, Asturie, Baleari, Canarie, Cantabria, Castiglia-La Mancia, Castiglia e León, Catalogna, Comunità Valenciana, Estremadura, Galizia, La Rioja, Madrid, Murcia, Navarra e  Paesi Baschi. Vi sono, poi, due città autonome, Ceuta e Melilla, che non sono configurate come comunità autonome, nonostante la Costituzione prevede una tale possibilità.  

[10] T. Groppi, Il Federalismo, Editori Laterza, Bari, 2004, pp. 130-133.

[11] M. Iacometti, op. cit., pp. 225-227.

[12] Ibidem.

[13] T. Groppi, op. cit., pp. 130-133.

[14] M. Iacometti, op. cit., pp. 200-201.

[15] T. Groppi, op. cit., pp. 130-133.

[16] M. Iacometti, op. cit., pp. 228-231.

[17] C. Chimenti, Noi e gli altri, Vol. II, Parte II, G. Giappichelli Editore, Torino, pp. 34-39.

[18] T. Groppi, op. cit., pp. 130-133.

[19] C. Chimenti,  Noi e gli altri, Vol. II, Parte II, G. Giappichelli Editore, Torino, pp. 34-39.

[20] M. Iacometti, op. cit., pp. 230-231.

[21] Ibidem.

[22] C. Chimenti,  op. cit., pp. 34-39.

[23] Ibidem.

[24] L’elenco è ampio e dettagliato, tra queste abbiamo: le condizioni fondamentali che garantiscono l’uguaglianza dei cittadini spagnoli di fronte ai diritti e ai doveri costituzionalmente sanciti; nazionalità, immigrazione ed emigrazione; rapporti internazionali; difesa e forze armate; amministrazione della giustizia; diritto del lavoro, commerciale, penale, processuale, penitenziario e civile, proprietà intellettuale e industriale; normativa doganale e tariffaria, commercio con l’estero; sistema monetario, bancario, creditizio e assicurativo; pesi, misure, finanza e debito pubblico; legislazione di base in materia di sanità, previdenza sociale, ambiente, amministrazioni pubbliche, boschi, regime minerario ed energetico e mezzi di comunicazione; porti di interesse generale, aeroporti e gli altri trasporti che attraversino il territorio di più comunità; opere pubbliche di interesse generale; tutela del patrimonio artistico e culturale, pubblica sicurezza, eccetera.

[25] Il contenuto dell’art. 149 risulta più complesso di quello che si potrebbe ricavare da una semplice lettura del disposto iniziale (“lo Stato ha competenza esclusiva nelle seguenti materie”), poiché sono previste tre maniere diverse per stabilire la competenza statale: a) in alcune materie si attribuisce allo Stato la competenza esclusiva, ossia gli si attribuiscono sia le competenze normative sia esecutive (es. relazioni internazionali, difesa, forze armate, ecc.); b) in altre materie, le più numerose, si attribuisce allo Stato la legislazione di “base” cosicché alle comunità autonome rimane la potestà normativa di dettaglio e l’esecuzione (es. materia sanitaria, protezione dell’ambiente, ecc.); c) infine, in determinate materie si attribuisce allo Stato la c.d. “legislazione” (cioè delle norme giuridiche e delle potestà regolamentari), con la conseguenza che alle comunità autonome compete meramente l’esercizio della potestà di attuazione delle norme statali (es. lavoro, proprietà intellettuale e industriale, pesi e misure, ecc.). Per un maggior approfondimento si veda il volume B. Caravita (a cura di), Le Regioni in Europa, esperienze costituzionali a confronto, Giampiero Casagrande Editore, Roma, 2002. 

[26] Le competenze spettanti alle comunità autonome sono di rilievo eminentemente locale, quali: l’auto-organizzazione delle istituzioni di autogoverno; l’ordinamento del territorio; lo sviluppo economico, l’urbanistica, abitazione e opere pubbliche, trasporti locali; l’agricoltura, l’allevamento, i boschi e migliorie forestali, la tutela ambientale; gli impianti idraulici e i sistema di irrigazione, la gestione di terme e fonti; pesca, caccia, mercati locali, l’artigianato, i musei, le biblioteche e i conservatori, il patrimonio artistico, l’aiuto alla cultura e alla ricerca, turismo, sport, tempo libero; assistenza sociale, sanità e igiene; la polizia locale, eccetera.

[27] T. Groppi, op. cit., pp. 130-133.

[28] F. Lanchester, Le Costituzioni degli altri, Giuffrè Editore, Milano, 2005, pp. 521-532.

[29] B. Caravita (a cura di), op. cit.

[30] T. Groppi, op. cit., pp. 130-133.

[31] Per quanto riguarda le lingue: il castigliano è utilizzato ufficialmente in tutto il territorio; ma il catalano, il galiziano, l’euskera (la lingua parlata nei Paesi Baschi), il valenziano e la lingua di Maiorca sono considerate lingue co-ufficiali nelle relative comunità. Si tenga presente che la lingua è un fatto differenziale molto importante in Spagna.

[32] Il cosiddetto “diritto forale” della Navarra e dei Paesi Baschi.

[33] In particolare, l’elenco dei “fatti differenziali” per comunità autonoma è il seguente:

1. Paesi Baschi: territori forali (Alava, Guipùzcoa e Vizcaya), lingua, diritto civile forale, polizia locale e sistema di finanziamento speciale.

2. Catalogna: lingua, diritto civile speciale e polizia locale.

3. Galizia: lingua e diritto civile forale.

4. Navarra: diritto civile forale, polizia locale, sistema di finanziamento speciale e, nell’area basca, lingua.

5. Canarie: Cabildos e un particolare regime economico e fiscale.

6. Baleari: lingua, “consigli insulari”, diritto civile speciale.

7. Comunità Valenziana: lingua e diritto civile.

8. Aragona: diritto civile.

[34] T. Groppi, op. cit., pp. 130-133.

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