La vetta: più difficile da abitare che da raggiungere

Non basta sacrificarsi una vita per arrivare in cima. In cima, una volta arrivati, bisogna anche saperci stare, perché l’alta quota può confonderti, farti perdere l’orientamento e indurti in una caduta rovinosa.

E’ il caso di Carlo Marcelletti, noto cardiochirurgo italiano, marchigiano. Conduce studi brillanti, si laurea e si specializza con il massimo dei voti, prima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti. Dedica la sua giovinezza allo studio, si impegna con incessante abnegazione per realizzarsi umanamente e professionalmente, decide di diventare un grande medico, e lo diventa. In pochi anni è primario ospedaliero, e ben presto viene riconosciuto come il medico più bravo nel campo delle operazioni al cuore dei bambini, il massimo esponente della cardiochirurgia pediatrica italiana. Un vero e proprio luminare, più autorevole di un’enciclopedia medica. Viene chiamato a dirigere diversi centri e reparti pediatrici. Fonda e dirige un’Accademia medica ad Amsterdam ed un’associazione senza fini di lucro per raccogliere fondi, aiutare i bambini malati di cuore e le loro famiglie e dare borse di studio ai giovani medici specializzandi. Diventa un simbolo della scienza applicata alla salute nel nostro Paese. Viene chiamato ad insegnare in diverse università nel mondo. Opera e guarisce migliaia di piccoli pazienti, accrescendo la stima e la riverenza intorno alla sua persona. Gli ospedali e i centri di cura se lo contendono.  

Ma potere e successo diventano con il tempo ingovernabili e lo inducono in errore. All’ospedale Civico di Palermo, dov’è primario, favorisce l’acquisto illecito di forniture mediche da imprenditori della sanità che gli chiedono complicità e lo ricambiano con regali vari. Firma falsi mandati di pagamento, in cambio si fa pagare le partite allo stadio, le vacanze al mare, l’appartamento dell’amante con la quale nel frattempo ha iniziato una relazione, regali e privilegi di ogni tipo. Instaura una relazione con la figlia dell’amante, una tredicenne, con cui si scambia messaggi erotici al telefonino.

 Viene intercettato e indagato, iniziano i processi giudiziari per produzione di materiale pedopornografico, concussione, truffa ai danni dello Stato e peculato, che rivelano le sue fragilità umane nonché il sistema di affari nel quale è coinvolto, insieme ad altri sanitari, e di cui è colonna portante. Presto è sulle pagine di tutti i giornali italiani e le intermittenti televisive dedicano al suo caso molto spazio e risonanza.  

Viene condannato agli arresti domiciliari. Tutti i sacrifici fatti cominciano ad essere umiliati, la sua persona diventa simbolo della corruzione medica e dello scandalo sessuale. Al paesaggio paradisiaco della vetta, si sostituiscono le pareti  spigolose ed impietose della caduta.  Al senso di onnipotenza, il senso di vuoto. Non lo sopporta. Prima si dimette dall’incarico, poi si uccide con un’overdose di farmaci. Muore il 6 maggio 2009 nello sgomento e nell’angoscia di quanti avevano beneficiato della sua grandezza umana e professionale, di quanti, tantissimi, egli stesso aveva sottratto alla morte.

Perché dopo una vita all’insegna della prudenza e dell’impegno,  una carriera così brillante e così  tanti onori e glorie, si finisce con lo sbagliare così? Probabilmente perché la vetta, pur stupenda, è assai delicata, più facile da raggiungere che da abitare. Dove i movimenti devono essere più accorti e la responsabilità massima in tutti gli aspetti del vivere, in quanto il fascino del panorama può tradirti e farti cadere nel vuoto da altezze vertiginose e farti perdere, in poco tempo, ciò che avevi messo una vita a conquistare.

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