La trasmissione intergenerazionale della diseguaglianza in Italia: dimensione e meccanismi

Michele Raitano, dopo aver ricordato in cosa consista e come si calcoli la diseguaglianza intergenerazionale, richiama i risultati di un suo recente studio con Teresa Barbieri e Francesco Bloise. Da tale studio risulta confermato che il nostro è un paese in cui i redditi da lavoro dei figli sono fortemente associati a quelli dei genitori ed emerge anche che solo una parte limitata di questa associazione è dovuta al titolo di studio, di norma più elevato per i figli dei più abbienti. Le origini familiari contano molto anche a parità di istruzione conseguita.

Gli studi sulla diseguaglianza intergenerazionale indagano se, e attraverso quali meccanismi, le caratteristiche della famiglia d’origine condizionino i redditi dei figli. Quando si parla di tale forma di diseguaglianza non ci si riferisce, dunque, alla condizione relativa di due generazioni contemporanee di individui appartenenti a coorti diverse – ovvero al tenore di vita e alle opportunità dei “giovani” rispetto agli “anziani” – ma all’intensità dell’associazione fra i redditi dei figli e le caratteristiche (possibilmente i redditi) dei loro genitori.

La misura più utilizzata a questo fine è il coefficiente di elasticità intergenerazionale beta che indica quanto varia il reddito del figlio al variare di quello del genitore. Più beta è alto, più i divari distributivi fra i padri si trasmettono ai rispettivi figli: ad esempio, un beta pari a 0,50 indica che, in media, tra i figli si osserva il 50% della differenza dei redditi che c’era fra i loro genitori.

L’elasticità intergenerazionale viene stimata attraverso una regressione con il metodo dei minimi quadrati ordinari fra (logaritmo dei) redditi dei figli e dei genitori. Tale stima pone, però, numerose difficoltà metodologiche.

In primo luogo, occorrono dati panel che seguono nel tempo più generazioni di una stessa famiglia, ma tali dati esistono in pochi paesi (Regno Unito e Stati Uniti, dove fin dagli anni ’50 sono stati sviluppati panel per coorti di nascita, e i paesi del Nord Europa, dove si fa ampio uso degli archivi amministrativi). Se, come nel caso dell’Italia, mancano informazioni sui redditi dei genitori durante l’adolescenza dei figli, si possono applicare tecniche di stima a due stadi. Nel primo, si usa un campione di “pseudo-genitori”, ovvero individui contemporanei dei genitori effettivi, e si studia l’associazione fra il reddito e una serie di caratteristiche (quali istruzione e occupazione). Nel secondo, facendo uso delle risposte dei figli a una serie di domande sulle caratteristiche dei genitori considerate nel primo stadio, si predice il reddito dei genitori sulla base della stima del primo stadio e si calcola l’elasticità intergenerazionale.

In secondo luogo, quest’ultima dovrebbe cogliere l’associazione fra condizioni “permanenti” di genitori e figli, senza essere influenzata da possibili variazioni temporanee di queste. La diseguaglianza intergenerazionale sarebbe, infatti, sottostimata se i redditi di genitori e figli fossero rilevati in un unico punto del tempo o se quelli dei figli fossero osservati a età troppo giovani, quando l’influenza delle origini familiari potrebbe non avere ancora manifestato tutti i suoi effetti. Per evitare questo errore, occorre osservare i figli nelle età centrali – gli uomini intorno ai 40 anni, mentre per le donne, a causa dei diversi tassi di partecipazione e agli effetti della maternità sulle dinamiche retributive, è più complicato trovare un’età in cui il reddito annuale sia una buona stima di quello permanente – e, ove possibile, calcolare medie pluriennali dei redditi dei genitori. Basi di dati che consentano di stimare la relazione dei redditi “permanenti” di genitori e figli non sono, tuttavia, disponibili in nessun paese.

La diseguaglianza intergenerazionale dovrebbe essere misurata con riferimento ad ogni fonte di reddito e guardare all’associazione fra genitori e figli di ogni genere. In realtà, a causa di limiti nei dati e complessità metodologiche, le analisi si riferiscono generalmente a coppie di padri e figli maschi e ai soli redditi da lavoro. L’esclusione dei redditi da capitale porta a sottostimare la diseguaglianza intergenerazionale: i redditi da capitale sono, infatti, maggiormente persistenti fra generazioni, dato che la ricchezza (mobiliare e immobiliare) può essere direttamente trasferita mentre (salvo alcuni casi limite) i redditi da lavoro non possono essere ereditati dai figli.

Dalle analisi empiriche, i cui limiti, per le ragioni appena esposte, vanno tenuti presenti, emerge una chiara graduatoria dei paesi OCSE (figura 1, basata su una rassegna curata da Miles Corak sul Journal of Economic Perspectives, 2013). I paesi del Nord Europa e il Canada sono caratterizzati da un grado di mobilità relativamente maggiore, mentre Stati Uniti (contrariamente alla visione romanzata della “terra delle opportunità”), Svizzera, Regno Unito e Italia sono (e di molto) i paesi con maggiore persistenza intergenerazionale.

 

Fig. 1: Elasticità intergenerazionale delle retribuzioni di genitori e figli in alcuni paesi OCSE

Partendo da questa evidenza, in un recente lavoro per l’Italia con Teresa Barbieri e Francesco Bloise ci siamo occupati di stimare la trasmissione intergenerazionale dei redditi da lavoro fra coppie di padri e figli maschi in Italia, facendo uso di un campione che incrocia dati amministrativi di fonte INPS – che registrano la carriera lavorativa di individui di diverse coorti di nascita – con dati campionari di fonte EU-SILC – nei quali sono rilevate alcune caratteristiche dei genitori (ad esempio, istruzione e occupazione). Questo campione ha consentito di predire i redditi dei genitori (non rilevati, come detto, in nessun dataset in Italia) secondo la metodologia a due stadi e di aggiornare le stime di Sauro Mocetti e Patrizio Piraino (entrambe pubblicate su un numero monografico del 2007 del B.E. Journal of Economic Analysis and Policy e contenute nella rassegna di Corak prima ricordata) – basate sui dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia.

Grazie a questi dati – e si tratta di un vantaggio rispetto alle precedenti analisi – possiamo osservare i figli e gli “pseudo-padri” su un lungo orizzonte di tempo (calcolando retribuzioni medie nel periodo) e, quindi, stimare come la trasmissione intergenerazionale delle retribuzioni annue lorde (prima, dunque, dell’intervento delle imposte progressive) risenta delle distorsioni richiamate in precedenza relative all’età in cui si osservano i figli e alla durata del periodo in cui si misurano le retribuzioni di genitori e figli.

Le stime confermano come l’Italia sia un paese ad alta diseguaglianza intergenerazionale, dato che secondo la stima più precisa – quella in cui genitori e figli sono seguiti per 5 anni e i figli sono osservati ad età centrali – l’elasticità intergenerazionale è del 50% (tabella 1). Va inoltre notato che l’elasticità cresce sensibilmente quando nella stima si includono anche i figli che, presumibilmente perché disoccupati, in un determinato anno non abbiano un reddito da lavoro (alternativamente, le medie pluriennali sono calcolate non tenendo conto degli anni con retribuzione nulla). La diseguaglianza osservata fra i soli lavoratori appare, dunque, sottostimata dato che le condizioni socio-economiche della famiglia di origine influenzano anche la possibilità di essere continuativamente occupati. L’analisi conferma inoltre, chiaramente, che la misura dell’elasticità intergenerazionale varia con l’età dei figli e la lunghezza del periodo di osservazione, per cui, se si riuscisse a osservare l’associazione fra reddito “permanente” di genitori e figli, la persistenza dei redditi sarebbe presumibilmente ancora maggiore.

Tab. 1: Elasticità intergenerazionale dei redditi lordi di padri e figli maschi, in base all’età dei figli e alla durata del periodo di osservazione

Ma da cosa dipende l’associazione dei redditi da lavoro di genitori e figli? Come richiamato in precedenza, a differenza di quanto accade con i redditi da capitale, salvo rari casi aneddotici, i genitori non possono trasferire direttamente reddito da lavoro ai propri figli. Tale associazione si manifesta allora quando i genitori – per via genetica o attraverso meccanismi legati alla disponibilità di risorse economiche o alla trasmissione di valori – influenzano alcune caratteristiche dei figli, dalle quali dipendono le loro prospettive retributive. Un elenco non esaustivo di tali caratteristiche include le motivazioni e le preferenze (in primis verso lo studio), lo stato di salute, l’istruzione e la sua qualità, le abilità cognitive e le competenze extra-scolastiche, le abilità non cognitive, il capitale economico per intraprendere attività autonome o proseguire quelle di famiglia nonché l’insieme di connessioni sociali in cui si è inseriti.

La trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze discende, allora, sia dall’influenza dei genitori sulla dotazione dei figli di tali caratteristiche, sia dal rendimento che i mercati del lavoro assegnano a queste ultime (ad esempio, al diverso titolo di studio o alle connessioni sociali di cui si dispone). Le differenze fra paesi rispetto alla diseguaglianza intergenerazionale derivano, dunque, dalla diversa distribuzione delle caratteristiche trasmesse e dalla loro diversa valutazione nel mercato del lavoro.

La letteratura economica ritiene, generalmente, che la principale determinante della diseguaglianza intergenerazionale sia l’investimento in capitale umano, riconducibile all’istruzione dei figli. I figli dei genitori più abbienti hanno, in media, un titolo di studio più elevato, per una varietà di circostanze che vanno dalle preferenze trasmesse alla possibilità anche economica di studiare più e meglio. Se la retribuzione varia con il titolo di studio, la diseguaglianza tenderà a persistere e gli avvantaggiati saranno considerati meritevoli perché più produttivi. Ma alla base di tale “merito” vi è spesso un vantaggio familiare.

Solitamente non si indaga quanta parte della trasmissione intergenerazionale sia “mediata” dal titolo di studio e quanta, invece, emerga a parità di quest’ultimo, rimandando a altri fattori più o meno accettabili (abilità individuali non osservabili o connessioni sociali). Nel nostro lavoro ci siamo interessati a misurare quanto vari la diseguaglianza intergenerazionale quando nella stima si tenga conto del titolo di studio dei figli e – consci che l’istruzione non è una proxy esaustiva delle abilità individuali – anche del livello occupazionale raggiunto, che dovrebbe essere maggiormente legato ad abilità dei figli non osservate nei dati, ma note ai datori.

 

Fig. 2: Stima dell’elasticità intergenerazionale dei redditi da lavoro in Italia (padri e figli osservati per 5 anni)

Il risultato è che la diseguaglianza intergenerazionale resta molto elevata – circa il 40% (figura 2) – se si tiene conto dell’istruzione dei figli e si riduce di poco – a circa il 30% – quanto si consideri assieme all’istruzione anche la loro occupazione. Sembra, dunque, che in Italia gran parte della trasmissione intergenerazionale della diseguaglianza dei redditi non è spiegata da meccanismi indiretti, attraverso le dotazioni di istruzione e l’occupazione raggiunta, ma emerga “in via diretta” a parità di istruzione e occupazione. Sul prossimo numero del Menabò vedremo se tale “effetto diretto” sia attribuibile ad abilità individuali o risenta – in qualche misura – di meccanismi ancora più iniqui e inefficienti legati al ruolo dei network sociali di appartenenze e alle rendite ad essi connessi.

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