La tassazione locale dei redditi in Italia e la mobilità dei ricchi

Enrico Rubolino si occupa degli effetti della tassazione locale su redditi, disuguaglianze e mobilità territoriale. Sulla base di un suo recente studio, Rubolino fornisce una chiara evidenza della relazione negativa tra la progressività dell’aliquote locali IRPEF ed il reddito dichiarato, in particolare da parte dei contribuenti che rientrano nell’1% più ricco della distribuzione dei redditi comunali. Rubolino mostra anche che lo spostamento della residenza fiscale verso comuni con aliquote più basse è la principale spiegazione di tale effetto.

I super-ricchi possono letteralmente rappresentare una miniera d’oro per le casse dei comuni in cui risiedono. Prendiamo il caso di Néchin, un piccolo villaggio belga di appena 2,000 abitanti al confine con la Francia. A prima vista sembra avere tutte le carte in regola per essere un noioso e desolato paese di provincia; in realtà, i registri fiscali raccontano una storia ben diversa. Néchin è una delle città più ricche del Belgio e deve la sua fortuna a Gerard Depardieu, star mondiale del cinema. Il divo non ha fiutato nessun particolare affare in Néchin (non c’è neppure un cinema in questo paesello). La scelta è stata puramente di natura fiscale: spostare il domicilio fiscale a Néchin permette alla star francese di ridurre significativamente la sua quota di reddito da destinare al fisco.

Il decentramento fiscale e la conseguente disparità nel prelievo fiscale tra comuni e regioni in Italia è un tema centrale sia nei programmi elettorali che tra gli accademici. In teoria, una maggiore autonomia fiscale permette alle autorità locali di poter puntualmente rispondere a shock locali o alle specifiche preferenze dei loro residenti su questioni di finanza pubblica. Tuttavia, quando i costi di mobilità sono bassi ed i controlli non molto serrati, una tassazione locale più progressiva può indurre i ricchi a spostarsi in località con un’imposta più bassa. Di conseguenza, differenziali nelle aliquote fiscali tra paesi o tra giurisdizioni fiscali all’interno di uno stato possono generare competizione fiscale per attrarre basi fiscali mobili, mettendo a rischio la capacità delle autorità locali di poter perseguire politiche redistributive, garantire un’efficiente fornitura di beni pubblici e di poter risanare le finanze locali tramite il prelievo fiscale.

In un recente paper, ho analizzato gli effetti della tassazione locale dei redditi in Italia sul reddito dichiarato, sulle disuguaglianze a livello comunale e sulla mobilità interna dal 2000 ad oggi. A partire da fine anni 90, il legislatore ha concesso a regioni, province autonome e comuni di poter approvare un’addizionale IRPEF, applicabile al reddito complessivo sulla base della residenza fiscale del contribuente. La fase iniziale di questo processo di federalismo fiscale prevedeva aliquote geograficamente abbastanza omogenee; un differenziale sempre più marcato si è invece creato nel periodo post crisi, soprattutto a cavallo di due recenti riforme (2007 e 2011) che hanno concesso ai comuni la possibilità di poter adottare un sistema di aliquota progressivo. Le riforme hanno così creato eterogeneità piuttosto marcate. Come evidenziato dalla figura 1, il differenziale geografico nell’aliquota superiore varia fino ad un massimo di 3 punti percentuali. Questa disparità fiscale all’interno del territorio italiano può rappresentare un elemento cruciale nella scelta di dove risiedere (fiscalmente), in particolare per le classi più abbienti: spostare la residenza fiscale, ad esempio, da Torino in Valle d’Aosta permette di risparmiare circa €8,000 ad un residente piemontese nel top 1% della distribuzione dei redditi di Torino.

 

Figura 1. L’addizionale locale IRPEF nel 2015

Lo studio mette in relazione i dati sulle aliquote IRPEF regionali e comunali con i dati sul reddito riportato nelle dichiarazioni fiscali e con i trasferimenti di residenza fiscale. Dal punto di vista empirico, il paper sfrutta diverse strategie. Primo, confronta l’evoluzione nel reddito dichiarato e nella sua distribuzione comunale (con un nuovo dataset creato ad hoc e disponibile su richiesta) prima e dopo le riforme del 2007 e 2011 tra comuni che hanno adottato un sistema di aliquota progressiva (gruppo trattato) e quelli che hanno continuato ad applicare un’aliquota unica (gruppo di controllo) per implementare una strategia di matched difference-in-differences. Secondo, è fornita una stima dell’elasticità del reddito riportato rispetto al net-of-tax rate (i.e., 100 meno l’aliquota locale). Questa elasticità permette di stimare la risposta totale dei contribuenti al variare dell’aliquota locale, inglobando sia risposte reali (e.g., ore di lavoro, scelte occupazionali) sia di elusione fiscale o mobilità tra comuni. Ad esempio, un’elasticità di 0.5 implica che ad un incremento dell’aliquota marginale dell’1% corrisponde, approssimativamente, una riduzione dello 0.5% nel reddito dichiarato. È dunque l’ingrediente principale al fine di prevedere l’effetto di variazioni nelle aliquote marginali locali sulle entrate fiscali e, dunque, sul bilancio comunale.

I risultati sono chiari: una maggiore progressività nella tassazione locale ha un effetto negativo sul reddito riportato. Come mostrato nella figura 2, la riduzione nel reddito è un fenomeno concentrato principalmente nella coda superiore della distribuzione dei redditi. Precisamente, i comuni che hanno optato per un’addizionale IRPEF progressiva hanno sperimentato, in media, una riduzione nel reddito dichiarato del 5% e della quota di reddito detenuta dall’1% più ricco della distribuzione dei redditi comunali di circa il 6% rispetto ai comuni con un’addizionale unica. In termini di elasticità, queste stime si traducono in un’elasticità del reddito riportato rispetto al net-of-tax rate di 0.3.

 

Figura 2. Evidenza descrittiva della riforma del 2011

Questi risultati danno credito alla tesi secondo cui i contribuenti più ricchi (à la Gerard Depardieu ma non solo) rispondono ai differenziali nella tassazione locale spostandosi da comuni con un’aliquota più alta verso località con una tassazione più bassa. Per analizzare questo meccanismo, l’analisi mette poi in relazione il numero di contribuenti che ogni anno si sposta da una provincia di origine o ad una provincia di destinazione d con il differenziale nell’addizionale IRPEF tra d ed o. Come mostrato nella figura 3, i contribuenti rispondono significativamente al differenziale nelle aliquote locali: in media, un aumento dell’1% nel differenziale d’aliquota tra una coppia di province o-d aumenta il numero di contribuenti che si spostano annualmente da o a d dell’1.6%.

Figura 3. Spostamenti di residenza fiscale e differenziali nella tassazione

La domanda finale è se questi trasferimenti di residenza rappresentano una riallocazione della popolazione (e della forza lavoro) all’interno del paese o se è soltanto il mero prodotto di una “firma su un pezzo di carta” (Slemrod, Joel, “Location, (real) location, (tax) location: An essay on mobility’s place in optimal taxation,” National Tax Journal, 2010, 63(4): 843-864), dove il cambio di residenza sarebbe fiscale ma non fisico. La natura dei dati non consente di distinguere il meccanismo sottostante, ma un ulteriore esercizio empirico sembra indirizzare i risultati verso la seconda ipotesi. Se lo spostamento è reale, il mercato immobiliare capitalizzerebbe questi flussi migratori e dovremmo osservare, ceteris paribus, un aumento (riduzione) nei prezzi delle abitazioni situate nelle aree con aliquote più basse (alte). I risultati non forniscono alcuna evidenza di un reale impatto sui prezzi delle abitazioni, suggerendo, dunque, che il flusso migratorio potrebbe in realtà essere uno strumento usato dai ricchi per eludere il fisco.

Questi risultati forniscono diversi spunti di riflessione sull’efficienza e l’equità del sistema fiscale. Da una prospettiva globale, il libero movimento di basi fiscali migliora il welfare complessivo poiché induce una riallocazione di risorse verso località più produttive. Tuttavia, quando i costi di cambiare residenza fiscale sono pressoché nulli ed il concetto di residenza fiscale vagamente definito, il movimento di basi fiscali all’interno del paese può generare competizione fiscale per attrarre nuovi residenti. In tal caso, la residenza fiscale può essere basata puramente sul ritorno fiscale ed essere diversa dalla residenza fisica e, dunque, dal luogo in cui i beni pubblici vengono utilizzati. Una possibilità non disponibile a chiunque, ma ristretta ai contribuenti che dispongono di diversi indirizzi fiscali tra i quali poter scegliere e per cui il beneficio di spostare la residenza fiscale compensa il costo di tale spostamento. Ogni qualvolta la residenza fiscale è diversa da quella reale, è messa a rischio l’abilità delle autorità locali di poter efficientemente provvedere ad un’ottima fornitura di beni pubblici e di attuare politiche redistributive. Accertarsi che il cambio di residenza non sia solo su “un pezzo di carta” (ad esempio con un metodo di verifica più accurato e rigido nelle sanzioni) potrebbe essere utile per migliorare l’efficienza e l’equità del nostro sistema fiscale.

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