La tassazione degli immobili e l’Irpef, una riconciliazione auspicabile

Fernando Di Nicola, dopo avere ricordato i molti limiti che, malgrado i recenti cambiamenti, continua a presentare la tassazione degli immobili, valuta la proposta complessiva di riforma avanzata da Nens, che introduce tra l'altro un'imposta patrimoniale erariale sostitutiva di quelle sul reddito. Rispetto a tale proposta Di Nicola suggerisce una variante che riconduce i redditi figurativi di mercato nell'alveo dell'Irpef i cui effetti redistributivi consentirebbero di tutelare i redditi effettivi più bassi.

La tassazione degli immobili in Italia è stata negli ultimi anni oggetto di frenetiche modifiche, che hanno coinvolto le principali imposte di cui si compone. Tale tassazione, oltre che frammentaria appare inefficiente ed estemporanea, cioè determinata da esigenze di cassa o di messaggio politico, piuttosto che ad un tax design ispirato ad efficienza ed equità.

Nella tassazione comunale, per la quale si è deciso che le patrimoniali sugli immobili fossero un’idonea forma di partecipazione alle spese locali, si osserva una continua modifica dell’imponibilità della casa di abitazione, a seguito della quale si è arrivati perfino a creare due imposte patrimoniali (IMU e TASI), denominate paradossalmente “imposta unica”, probabilmente per tassare patrimonialmente la prima casa senza ricondurla alla più generale IMU.

Per le imposte dirette erariali (IRPEF e cedolare secca sostitutiva sugli affitti di abitazioni) le modifiche non sono state da meno, con uscita ed entrata di redditi immobiliari, effettivi o figurativi, totali o parziali, soggetti a progressività o proporzionali, nell’evidente tentativo di raccordarsi con le parallele modifiche che avvenivano in ambito locale,.

Infine permangono sia imposte sui trasferimenti a titolo oneroso (registro e bollo) più elevate rispetto a quelli non onerosi (successioni e donazioni) -peraltro sugli acquisti anziché sulle eventuali plusvalenze realizzate con le vendite – sia un significativo maggior carico sulle locazioni (aliquote massime IMU più reddito effettivo a tassazione Irpef o sostitutiva) rispetto ai redditi figurativi dei fabbricati tenuti a disposizione (sola IMU).

La tabella  1 illustra l’ evoluzione del peso delle varie imposte nell’ultimo triennio per il quale si dispone di dati.

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Secondo molti, un peso del fisco sui trasferimenti, ed a carico degli acquirenti piuttosto che degli eventuali guadagni realizzati con le cessioni, deprime l’efficiente mobilità di questa parte di capitale, al contempo creando forte disparità con il trattamento riservato ad altre plusvalenze, in particolare quelle  da partecipazioni qualificate, tassate interamente nell’anno di realizzo a tassazione progressiva Irpef.

Ma anche la citata tassazione ad aliquota marginale Irpef (o a sostitutiva, se per opzione e con riferimento alle sole abitazioni) determina un eccesso ed una disparità di tassazione, in quanto i fabbricati affittati e soggetti ad Irpef o a imposta sostitutiva pagano sul fronte locale una IMU maggiorata, sopportando dunque un maggior carico sia rispetto alle abitazioni principali, sia agli altri fabbricati a disposizione.

Anche per superare i limiti qui richiamati, di recente il NENS ha messo a punto  un progetto complessivo di riforma della tassazione immobiliare, dal costo in termini di minor gettito stimato in 7,5 miliardi annui, e consistente in estrema sintesi nella riduzione della tassazione sui trasferimenti onerosi,  e di quella patrimoniale locale con maggiore omogeneità tra prime e seconde case, nella completa detassazione Irpef e cedolare sugli affitti e sulle rendite, nella trasformazione delle addizionali Irpef locali in sovrimposte, nell’ aumento dell’imposta di successione e nell’introduzione, infine, di una patrimoniale familiare con franchigia di 500mila euro, aliquote tra 0,25% e 1%, imponibile ancorato ai valori di mercato e non a quelli catastali, ormai fortemente sottostimati e distorsivi (a causa dell’ancoraggio ai vani catastali gli attuali estimi tendono a favorire le abitazioni di pregio e a gravare invece su quelle periferiche, spesso abitate da nuclei a basso reddito).

Le riduzioni ingenti di imposte progressive oggi vigenti (IMU su seconde case e locali, Irpef o cedolari su affitti effettivi, con un minor carico qui stimato in oltre 16 miliardi) e l’introduzione di una patrimoniale progressiva, ma per poco più di 3 miliardi, genererebbero globalmente un impatto di tipo regressivo, oltre che un’accentuazione della minore incidenza della tassazione immobiliare rispetto a quella sui redditi da lavoro o pensione.

Nella figura che segue, che riporta l’aumento percentuale del reddito disponibile per decili  determinato dalla riforma, è possibile osservare il profilo leggermente regressivo di quest’ultima.

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Si noti come lo sgravio più basso si ha nel primo decile mentre nell’ultimo, quello dei più benestanti, l’aumento di reddito disponibile che deriva dalla riforma sarebbe quasi doppio in percentuale del reddito; per tutti i decili, comunque, la riforma presenterebbe una significativa riduzione del carico.

Uno scenario di riforma alternativo

Proprio in considerazione dell’ingente riduzione di carico che deriverebbe da questa riforma, ed allo scopo di migliorare il disegno della riforma della tassazione immobiliare, si è cercato di stimare l’entità del carico fiscale vigente sugli immobili rapportandola ai redditi effettivi o figurativi di mercato anziché a quelli catastali variamente rivalutati o a imponibili di natura patrimoniale.

Attraverso un modello di microsimulazione che ha messo in relazione i dati rilevati dall’indagine SILC-Istat sui redditi delle famiglie con quelli fiscali dichiarativi e catastali, è stato stimato che i redditi catastali delle abitazioni rappresentano poco più dell’8% di quelli di mercato, a causa sia del valore catastale che, pur rivalutato ai fini IMU con il moltiplicatore 160 della rendita, resta mediamente inferiore alla metà del valore di mercato (cfr. la pubblicazione, Immobili in Italia), sia perché le abitazioni hanno un reddito catastale pari all’1% del valore catastale (ancor meno se rapportato a quello di mercato) contro un rendimento medio di mercato osservato pari ad oltre il 3,5%.  In sostanza, considerando le diverse forme di tassazione gravanti sui fabbricati ed all’occorrenza annualizzando quelle che si riscuotono per loro natura solo in occasione dei trasferimenti, l’aliquota implicita gravante sui redditi di mercato immobiliari – ben inferiore al 20% – è nettamente inferiore a quella sugli altri redditi soggetti ad Irpef (principalmente da lavoro dipendente, autonomo e da pensione, ma anche i dividendi e le citate plusvalenze).

Ne deriva, ed è la nostra prima conclusione, che sebbene la tassazione immobiliare abbia urgente bisogno di profonda revisione, non necessita di una complessiva riduzione del carico.

Il secondo pilastro del quadro di riforma che qui si prospetta riguarda la progressiva  esclusione dei redditi immobiliari dallo spettro di applicazione dell’Irpef. Tale tendenza, rafforzatasi negli ultimi anni a causa del crescente peso della tassazione patrimoniale comunale, contrasta con alcuni obiettivi essenziali dell’azione redistributiva e della rappresentazione della capacità contributiva ai fini di erogazioni assistenziali. L’imposta personale, oltre ad essere di gran lunga la principale, ed essenzialmente l’unica imposta capace di assicurare una reale azione redistributiva, per progressività ed entità delle risorse coinvolte, ha anche il grande pregio di prendere in considerazione la complessiva situazione personale del contribuente (livello del reddito, salute, composizione della famiglia, presenza di particolari spese), così da poter adattare il livello di aliquota media effettiva e l’entità della tassazione che ne deriva. Non è, invece, progressiva l’IVA, se calcolata correttamente rispetto al reddito e non alla spesa, e non lo sono le varie imposte di bollo e di registro; perfino gran parte delle patrimoniali immobiliari, come ICI, IMU e TASI, risultano sostanzialmente proporzionali se calcolate con riferimento ai redditi di mercato e per tutta la popolazione.

L’accresciuta esclusione di importanti quote di reddito dall’Irpef è inoltre un argomento sempre più utilizzato per suggerire una forte attenuazione della progressività ed un passaggio dell’Irpef alla cosiddetta flat tax, un’aliquota unica che troverebbe la sua giustificazione nel fatto che l’Irpef è sempre più un’imposta di specie sui redditi da pensione e da lavoro dipendente, costituenti l’80 % circa della sua base imponibile.  Incidentalmente, però, si ricordi che i dati dichiarativi rilevano che i redditi autonomi e da capitale rappresentano quote significative ed addirittura maggioritarie negli scaglioni più elevati, quelli dove opera la maggiore azione redistributiva.

Così, per conservare per quanto possibile il carattere onnicomprensivo dell’imposta personale progressiva sul suo reddito complessivo, e per mantenere un profilo di progressività della tassazione immobiliare, si è provato a prospettare e microsimulare una riforma alternativa che, ferme restando le modalità di tassazione comunale proposte dal NENS (IMU su prime e seconde case con aliquote effettive analoghe, ma complessivamente ridotte rispetto al vigente, insieme alla trasformazione delle addizionali in sovrimposte a parità di gettito), non introducesse una patrimoniale e inserisse nell’imponibile Irpef i redditi immobiliari figurativi di mercato (approssimabili tramite i citati valori OMI oppure con l’auspicabile e urgente revisione degli estimi catastali), ridotti del 20% sia per tener conto degli oneri di manutenzione, sia per motivi di cautela rispetto al metodo di stima utilizzato. I redditi figurativi di mercato così ridotti sarebbero utilizzati in Irpef anche in presenza di affitto dell’abitazione o del locale, che sarebbe così incentivato.

Con queste ipotesi di scenario l’impatto sia redistributivo che di gettito, sarebbe molto diverso, come si osserva nella figura 2.

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Dal punto di vista redistributivo si rileva un guadagno in termini di incidenza per i primi 8 decili ed uno svantaggio per il nono e soprattutto il decimo, quello con reddito equivalente più elevato.

Dal punto di vista del gettito, invece, questa ipotesi di riforma sarebbe in sostanziale parità, con ciò non accentuando il vantaggio esistente, in termini correttamente comparati di incidenza sul reddito, di altre specie di introiti.

Un certo rilievo sarebbe da attribuire al fatto che, in presenza di tassazione di redditi figurativi, è auspicabile tener conto delle effettive disponibilità finanziarie del contribuente.  L’inserimento in Irpef, da questo punto di vista, costituirebbe una forma migliore di tassazione, più rispettosa del principio della capacità contributiva, in quanto esenterebbe i redditi più bassi e le situazioni più disagiate, imponendo, invece, un’imposta crescente in base ad un reddito imponibile onnicomprensivo o quasi, come sarebbe quello Irpef con la riforma proposta.

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