La Statistica corre sulle parole

Daniela Cocchi esplora un contesto nel quale, forse sorprendentemente, sono frequenti i riferimenti alla statistica e al trattamento dell’incertezza: le opere letterarie. Tali riferimenti possono avere un peso rilevante nella narrazione o essere circoscritti e toccare temi inaspettati. Cocchi ne individua alcuni e li analizza, convinta che possanocontribuire alla diffusione della cultura statistica. Le opere esaminate includono “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Haddon; il “Viaggio al termine della notte” di Celine e le “Operette Morali“ di Leopardi.

I libri che vengono pubblicati contengono, a volte, spunti inaspettati che riguardano temi che ci interessano per qualche motivo e che sono collegati da un filo comune importante solo per il lettore. Mi accade così, da statistica, di notare alcune sorprese, o di seguire dei collegamenti che mi appaiono nuovi e stupefacenti, su argomenti legati alla disciplina statistica intesa in senso stretto, alla probabilità e alla gestione dell’incertezza. Preferisco ritrovare questi spunti in contesti imprevisti, piuttosto che in scritti che deliberatamente trattino questi temi, ovviamente fatte salve alcune eccezioni.

Come primo esempio, ricordo un punto che mi stupisce sempre eche consiste nel trattare la probabilità, come un gioco matematico, senza fare risaltare troppo il fatto che essa sia lo strumento per descrivere in modo rigoroso la mancanza di certezza. Sotto questo aspetto trovo singolare l’inserimento del “problema di Monty Hall” nel bellissimo romanzo “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon. La storia racconta un periodo speciale della vita di un ragazzo autistico che, di fronte a un problema gravissimo, trova la forza di superare temporaneamente le sue difficoltà. Il protagonista viene presentato dall’autore in modo positivo, e la narrazione dà molto risalto alla sua abilità di lavorare con la matematica. In particolare, il ragazzo risolve nel modo giusto il problema di matematica, anzi di probabilità, menzionato sopra. In breve, senza addentrarci in dettagli tecnici, il punto è che un individuo, assegnata la giusta probabilità ad un evento, altrettanto giustamente cambia la valutazione di tale probabilità dopo aver ottenuto una informazione apparentemente ininfluente sul verificarsi dell’evento stesso. Chi dà la risposta sbagliata al problema valuta erroneamente che l’informazione sia ininfluente e quindi non cambia la valutazione di probabilità. Quello che mi stupisce è che, per mettere positivamente in risalto le abilità matematiche del protagonista, il romanziere si riconduca ad un esempio di probabilità, disciplina che tratta l’incertezza, situazione nella quale  le difficoltà di chi soffre di forme di autismo si manifestano in maniera particolare. Ho trovato sorprendente, ma anche molto interessante, che, nello svolgimento della storia, il ragazzo mostra vittoriosamente la sua abilità logica in un esempio che sembra non tenere conto delle difficoltà con cui convive.

L’incertezza è uno spauracchio notevole e una sfida di grande portata. Quando è anche associata all’idea di previsione, per le persone comuni, gli scienziati o i giornalisti rischia di presentarsi sotto una luce non positiva. Ci sono svariati modi, anche lirici, per parlarne. Il “Castello bianco” è uno dei primi romanzi scritti da Oran Pamuk, anche se non è stato il primo ad essere tradotto in italiano. Ambientato a Istanbul dopo il 1650, racconta la storia del “doppio” e dello scambio di persona, molte volte ricorrente nella nostra fantasia.Si incentra sulle vicissitudini di due personaggi: il cristiano (narrante) e il turco che ad un certo punto si scambiano i ruoli. Il romanzo si addentra anche sulla simbiosi che può manifestarsi tra lo schiavo e il padrone e  sulle interazioni tra la scienza e la magia.

L’obiettivo, non esente da rischi, di uno dei protagonisti, cioè il turco padrone dello schiavo cristiano,  è diventare indovino di corte. L’occasione è drammatica: un’epidemia di peste scoppiata ad Istanbul, rispetto alla quale gli esperti capiscono che si diffonde per contagio e si propaga nei quartieri, nessuno dei quali sembra essere risparmiato. Il protagonista, direttamente sollecitato dal figlio del Pascià, che gli chiede quando la peste sarebbe finita, ufficialmente consulta gli astri, ma segretamente, aiutato dallo schiavo cristiano,  pensa a suggerire norme igieniche e a obbligare il minimo di contatti, per diminuire la probabilità di contagio. Nel romanzo compare la frase ‘le predizioni sono certo pagliacciate, ma si prestano benissimo a suggestionare la stupidità’. Senza farsi troppo notare, il protagonista lavora sul numero dei decessi quotidiani e, aggirandosi nel quartiere, cerca di istituire un collegamento tra ciò che vede e le cifre dei morti. L’indovino e i suoi collaboratori ottengono 12 rilevatori, registrano su una mappa della città dove la peste aveva afferrato e infettato le sue vittime, non dove erano morte e ne desumono che occorre ridurre i movimenti all’interno della città, inibendo i rifornimenti. Una volta attuati questi provvedimenti la peste comincia a ritirarsi dai quartieri periferici e dai rioni popolati dai meno abbienti. L’indovino così capisce che la peste avrebbe abbandonato la città entro 20 giorni. Però deve inventare un racconto, che sarà sostenuto a Palazzo per giorni e giorni mentre si continua a fare calcoli e ad aggiornare quotidianamente la previsione.  … ‘La peste stava battendo in ritirata …un mese dopo il Maestro era il primo astrologo di corte. ’

I due precedenti esempi hanno un sostanzioso peso nelle rispettive narrazioni, ma molto più frequenti nella  letteratura sono i riferimenti brevi a temi inaspettati, tra cui quelli legati alla statistica appaiono spesso davvero sorprendenti. Ricordiamone due, entrambi esilaranti. Il primo è il riferimento alla legge dei grandi numeri che appare in un romanzo per nulla legato a temi quantitativi: “Solal”, di Albert Cohen, pubblicato nel 1930, e ripreso negli anni ’90. Il breve dettaglio racconta che uno stravagante ebreo di Cefalonia aveva l’abitudine di predire in segreto a tutti i bambini che conosceva“che un giorno sarebbero diventati milionari. Li esortava a tenere a mente la sua profezia e a ricordarsi di lui il giorno della loro prosperità. In questo modo, riponendo ogni speranza sul calcolo delle probabilità, si preparava delle rendite per l’avvenire e seguiva con sollecitudine lo sviluppo intellettuale e commerciale dei suoi giovani futuri protettori che, a tempo debito, avrebbero certamente saputo manifestargli la loro riconoscenza”. Il secondo viene dal “Viaggio al termine della notte” del 1932, di Louis Ferdinand Celine. Nelle sue peregrinazioni, il protagonista arriva ad Ellis Island, il punto di approdo degli emigranti negli Stati Uniti, e può mettere a frutto la sua enorme abilità nel contare le pulci e classificarle secondo molteplici e variamente interessanti criteri.  Questo gli procura un impiego al servizio docce dell’isola come agente conta-pulci, anche se il destino gli gioca un brutto scherzo, perché “l’incaricato della navetta delle statistiche, un armeno, fu promosso repentinamente agente conta-pulci in Alaska per i cani degli esploratori”.

Un altro campo che possiamo esplorare riguarda il “perché viene menzionata la statistica o lo statistico professionista”. Anche in questo caso riportiamo due esempi. Chi non ha temuto, a suo tempo, le “Operette Morali“ di Giacomo Leopardi? L’ultima è il famosissimo Dialogo di Tristano e di un amico, ovvero del coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, di mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimulare nessuna parte dell’infelicità umana ed accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa ma vera, 1832. In essa, come possiamo ricordare, viene sviluppato il tema del pessimismo eroico, riservato a pochi destinati alla sofferenza, e appare una curiosa invettiva che recita “ …viva la statistica! vivano le scienze economiche, morali e politiche, le enciclopedie portatili, i manuali, e le tante belle creazioni del nostro secolo! e viva sempre il secolo decimonono! forse povero di cose, ma ricchissimo e larghissimo di parole …”. Siamo di fronte a un omaggio e non a una denigrazione della statistica. La “modernità” del diciannovesimo secolo non piace all’Autore, che elenca alcuni dettagli che proprio non condivide. Tra i tanti aspetti che potevano essere colti, Leopardi individua proprio quella disciplina, poco conosciuta anche nel ventunesimo secolo, eppure per lui indicativa di un progresso che non approva.

E concludiamo con un cenno ad un lavoro che forse in Italia non è notissimo, il romanzo “Pietroburgo”, del 1913, di Andrej Belyj, definito da Vladimir Nabokov come uno dei quattro più grandi romanzi del ventesimo secolo. Non è il caso qui di riportarne la trama: si tratta del tormentato rapporto di odio di un figlio nei confronti di un padre ottuso e troppo autoritario, nello sfondo dei moti del 1905 in Russia. Lo menzioniamo perché, nel corso di una festa in una dimora aristocratica, un personaggio esteticamente fuori luogo, che di mestiere fa il professore di statistica, inizialmente tenta di dare, inascoltato, il proprio parere a difesa di alcuni aspetti dei ribelli, accusati in base a diversi luoghi comuni di essere molto peggio di quanto non siano effettivamente. Nessuno gli dà peso e si ritrova a parlare di argomenti astrusamente statistici, e quindi innocui, con dei convitati poco importanti.

Nelle righe precedenti ho raccolto qualche esempio in cui la statistica o il trattamento dell’incertezza sono menzionati in contesti inaspettati. Si tratta di spunti validi per contribuire alla diffusione della cultura statistica.

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