La sostenibilità del Servizio sanitario nazionale e l’illusione delle soluzioni semplicistiche

Fabrizio Tediosi partendo dalla considerazione che la Legge di Stabilità e il cosiddetto “decreto appropriatezza” hanno riaperto le polemiche sulla sostenibilità del SSN, sostiene che la crisi economica rende necessario migliorare le performance del SSN. A questo scopo occorre privilegiare i servizi che generano i maggiori benefici, disinvestendo da quelli con profili costi-benefici meno favorevoli. Ciò richiede, però, tempi lunghi; soluzioni semplicistiche sono poco credibili e rischiano di compromettere la fiducia dei cittadini nel SSN.

Il Servizio sanitario nazionale (SSN) sta attraversando un periodo complicato, alle prese con il difficile compito di mantenere un servizio universalistico, con risorse limitate dalla bassa crescita economica e dai vincoli di bilancio imposti dalle condizioni della finanza pubblica italiana. Quest’anno le polemiche sono esplose con l’approvazione del DM 96, cosiddetto “decreto appropriatezza”, e la riduzione, stabilita dalla legge di stabilità, delle risorse precedentemente assegnate al SSN con il Patto per la Salute siglato nel luglio del 2014 dal Governo e dalle Regioni.

Le disposizioni del decreto appropriatezza individuano una lista di prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale soggette a condizioni di erogabilità o “indicazioni prioritarie” e prevedono una sanzione economica per i medici in caso di comportamento prescrittivo non conforme (e non giustificato) alle indicazioni del decreto.

Senza entrare nel merito specifico di tali disposizioni, può essere utile fare alcune considerazioni generali sulla sostenibilità dei sistemi sanitari e qualche riflessione sulle conseguenze delle politiche proposte.

I sistemi sanitari sono tenuti a proteggere la salute della popolazione, garantendo l’accesso a servizi sanitari efficaci e sicuri, appropriati ai bisogni e alle esigenze specifiche dei singoli utenti, ed evitando che questo comporti oneri finanziari eccessivi per gli utenti stessi. Per essere sostenibili, i sistemi sanitari devono avere costi corrispondenti alle possibilità economiche dei cittadini e delle comunità che li devono finanziare. Tale condizione, non è tuttavia sufficiente se mancano la fiducia dei cittadini e degli altri portatori di interesse che costituiscono il sistema sanitario (e che lo finanziano e lo fanno funzionare) e la capacità di adattarsi, da parte del SSN, ai rapidi e continui cambiamenti che modificano i bisogni e le aspettative dei cittadini – i cambiamenti demografici ed epidemiologici, le nuove opportunità e criticità offerte dalle tecnologie sanitarie innovative e in generale i mutamenti ambientali e socio-economici che hanno un impatto sulla salute umana – , anche riallocando le risorse disponibili (H. V. Fineberg, A Successful and Sustainable Health System — How to Get There from Here, New England Journal of Medicine, 2012).

E’, inoltre, ampiamente dimostrato che una parte della spesa sanitaria è inefficiente. Ad esempio, uno studio di qualche anno fa dell’Istituto di Medicina americano (Institute of Medicine, IOM) ha stimato che fino al 30% della spesa sanitaria negli Stati Uniti è attribuibile a inefficienze dovute a fattori quali: l’utilizzo di servizi sanitari non necessari e/o modalità inefficienti di erogazione dei servizi stessi (ad esempio, prestazioni erogate in ambito ospedaliero che potrebbero essere erogate in ambito ambulatoriale a costi inferiori); prezzi eccessivi sia delle tecnologie sanitarie innovative sia, più in generale, dei servizi; sistemi di remunerazione dei medici e delle strutture sanitarie che finanziano tipicamente le singole prestazioni piuttosto che i casi trattati o gli episodi di malattia o, ancora, i risultati in termini di salute; coinvolgimento insufficiente dei pazienti nelle decisioni cliniche; costi amministrativi elevati e frodi. Considerazioni analoghe erano presenti anche nel rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicato nel 2011 sui sistemi di finanziamento di una sanità universalistica che presentava un elenco dettagliato delle fonti di inefficienza dei sistemi sanitari, potenzialmente responsabili addirittura del 40% della spesa sanitaria globale.

I sistemi sanitari moderni devono saper governare i rischi di una cultura consumistica che è sostenuta, oltre che dagli interessi economici dell’industria sanitaria nel suo complesso, da una predisposizione culturale a pensare che il ricorso ai servizi sanitari sia sempre associato a benefici. Tale dinamica porta talvolta all’utilizzo di servizi sanitari anche quando i benefici sono limitati o addirittura inferiori ai rischi, determinando così un’allocazione non ottimale delle risorse disponibili con una conseguente difficoltà a rispondere ai bisogni sanitari di tutta la popolazione.

I medici, nei sistemi sanitari moderni, sono quindi chiamati a fornire risposte sia ai bisogni sanitari reali dei pazienti sia alle loro aspettative relativamente ai benefici dell’assistenza sanitaria, che sono frequentemente irrazionali e frutto della cultura consumistica a cui si è accennato. La pressione dei pazienti, e i rischi di incorrere in contenziosi medico-legali, spinge talvolta i medici alla pratica della cosiddetta medicina difensiva con l’erogazione o la prescrizione di prestazioni sanitarie di dubbia utilità. Tale fenomeno, pur non essendone l’unica causa, contribuisce, a generare inefficienze, delle quali è prova l’osservata variabilità nei comportamenti prescrittivi dei medici.

Soprattutto in un periodo di crisi economica, quindi, è evidentemente necessario, per la stessa sostenibilità del SSN, individuare azioni finalizzate a migliorarne le performance focalizzando l’attenzione sui servizi maggiormente in grado di generare benefici e disinvestendo da quelli meno efficaci o con profili costi-benefici meno favorevoli.

Le disposizioni contenute nel “decreto appropriatezza” potrebbero essere considerate un tentativo di incentivare il disinvestimento da prestazioni a basso valore in un’ottica di contenimento dei costi e miglioramento delle performance del SSN.

Tuttavia, la definizione a livello nazionale di una lista di indicazioni sull’appropriatezza prescrittiva, peraltro neppure derivante da un’ampia consultazione deo professionisti sanitari, non sembra considerare la complessità dei cambiamenti necessari per innescare miglioramenti significativi dell’appropriatezza prescrittiva. Questi ultimi richiedono strategie di intervento articolate in grado di affrontare le diverse cause dell’inappropriatezza. Non sorprende, quindi, che il “decreto appropriatezza” abbia suscitato reazioni negative da più parti, soprattutto in un contesto di generale contrazione delle risorse pubbliche disponibili per il SSN.

Anche l’idea di sanzionare economicamente i comportamenti prescrittivi inappropriati, sebbene solo quando non giustificabili, sembra difficilmente attuabile e sottovaluta la complessità inerente all’utilizzo degli incentivi economici per orientare i comportamenti prescrittivi dei medici, in un sistema sanitario già sotto pressione per i continui tagli alle risorse ad esso dedicate.

Prima facie, poiché gli incentivi modificano i comportamenti, sembrerebbe plausibile utilizzare incentivi economici per orientare i comportamenti prescrittivi. Introdurre tali incentivi è, tuttavia, molto difficile. Diversi studi effettuati nei paesi in cui sono stati introdotti sistemi di remunerazione dei medici che prevedono incentivi finanziari per premiare quelli che migliorano la qualità dei loro servizi, mostrano che, sebbene gli incentivi modifichino i comportamenti prescrittivi, le conseguenze sulla qualità dei servizi e sulla produttività sono limitate (A. Scott et al. The effect of financial incentives on the quality of health care provided by primary care physicians, Cochrane Database of Systematic Reviews 2011, 4, Art. No. CD008451). La relazione tra incentivi economici e comportamenti prescrittivi dei medici appare, dunque, più complessa di quanto si tende a supporre. Inoltre, non esistono evidenze solide sulle conseguenze degli incentivi economici utilizzati per sanzionare comportamenti prescrittivi negativi.

E’ inoltre opportuno sottolineare che in un contesto di risorse relativamente limitate e di crescente difficoltà di accesso ai servizi sanitari pubblici, le politiche di disinvestimento rischiano di far aumentare il ricorso ai servizi privati, con conseguente aumento dei pagamenti diretti out of pocket dei cittadini. Nel contesto italiano, ciò è particolarmente pericoloso visto che la spesa sanitaria out of pocket, già abbastanza alta, è in crescita e la fiducia dei cittadini nel SSN è in diminuzione.

La sostenibilità del SSN probabilmente non può fare a meno di politiche di ri-allocazione delle risorse che, da un lato, determinino disinvestimenti dai servizi meno efficaci ed efficienti e, dall’altro, favoriscano i profondi cambiamenti necessari per agire sui molteplici fattori che concorrono a generare inefficienze. Tali cambiamenti sono realizzabili solo in tempi lunghi e dovrebbero coinvolgere tutti i portatori di interesse del settore sanitario, ad esempio, l’organizzazione e il management del sistema, le relazioni interne ad esso, i sistemi informativi – che dovrebbero essere effettivamente in grado di documentare le modalità di impiego delle risorse e delle prestazioni sanitarie e di aiutare i professionisti a migliorare l’appropriatezza prescrittiva. Dovrebbero inoltre essere accompagnati da una ricerca seria e indipendente, in grado di produrre evidenze scientifiche su come migliorare la performance del SSN e sull’impatto delle politiche e dei cambiamenti in atto.

Tutto ciò non è semplice, ma soluzioni semplicistiche di breve periodo sono poco credibili e rischiano di compromettere la fiducia dei cittadini nel SSN.

Schede e storico autori