La slow economy

Ancora una volta Federico Rampini, ci ha regalato un libro* che fa piacere leggere. Un  libro che può  insegnare quattro cinque cose per capire meglio la portata dei problemi, che chiamiamo “crisi”, sui quali troppo spesso preferiamo stendere un velo fingendo di credere (o credendo davvero)  a chi ci racconta che la via d’uscita è stata imboccata e che possiamo occuparci d’altro, per esempio della giustizia.

Federico Rampini è stato corrispondente di importanti giornali a San Francisco e Pechino, ha insegnato nelle università degli Stati Uniti e della Cina, ha conosciuto e sperimentato due modelli di vita, di produzione e di mercato assai differenti tra di loro e che sono diventati, l’uno, epicentro della scossa che sta cambiando la geopolitica del mondo e, l’altro, simbolo di una lenta ma ininterrotta ascesa, e, giocando sul confronto tra i due modelli, ci fa intravedere quali potrebbero essere le vie per prendere il meglio dei due modi messi a confronto. Rampini non dimentica infatti che se New York è la capitale della crisi mondiale essa è anche la città che può vantare il maggior numero di università, musei, teatri, sale da concerto e che dunque sa attirare intelligenze e giovani talenti da tutto il mondo e che può altresì vantare, grazie ad una rivoluzione verde già avviata, una delle più belle passeggiate urbane del mondo mentre Pechino è ancora impegnata a far applicare la legge varata per rendere accessibile e godibile tutta la Grande Muraglia o a combattere lo smog.

Che cosa caratterizza l’economia cinese? Secondo Rampini essa risente molto dell’influenza di dottrine e insegnamenti antichi e più recenti cui ogni cinese è profondamente legato e che dettano comportamenti modesti, frugali, cordiali, allegri  che fanno sì che a nessun teenager cinese possa venire in mente di sgommare con il motorino producendo nuvole di fumo puzzolente. Il cinese è portato molto più degli occidentali a socializzare, a mostrare la sua voglia di fare, per sé e per gli altri, anche se i segni con cui esprime agli altri la sua simpatia e il suo rispetto sono diversi dai nostri. La modestia è il dato più importante perché è da essa che nasce in modo naturale per il cinese il suo rifiuto del consumismo, del consumare per apparire agli altri ricco, disinibito e potente. Ancor prima di analizzare questo o quel particolare del modo di produzione cinese è da questo dato che bisogna partire per comprendere come la Cina sia in vantaggio nel momento in cui la crisi condanna il mondo allo “sviluppo lento”, alla slow economy di cui al titolo del libro. E dunque nel momento in cui il consumo frugale si pone anche in occidente come una scelta necessaria. Una scelta che può essere sofferta e penosa o che può essere assunta come felice occasione per porre fine agli sperperi di cui una parte di noi è responsabile. Valga per tutti l’esempio del risciò fatto da Rampini. Esso può essere assunto come un emblema di povertà e sofferenza che caratterizza le città cinesi oppure come un mezzo che non consuma petrolio, non aumenta il tasso dell’anidride carbonica  e che nei grandi aggregati urbani è più sicuro e veloce delle automobili. Molti studenti newyorchesi hanno optato per la seconda scelta e Rampini, trasferendosi da Pechino negli Stati Uniti, ha ritrovato i risciò che aveva lasciato in Cina.

La slow economy può essere intesa in molti modi. Può essere subìta come arresto, come lungo rassegnato cammino verso il punto che nel corso di dieci anni ci riporterà ai livelli precedenti di PIL (e alla vigilia di una nuova crisi per la quale i banchieri hanno già pronto l’innesco) oppure può diventare l’occasione per un mutamento di rotta verso nuovi modi di godere e utilizzare  le preziose risorse della terra. Ovviamente Federico Rampini è per questa seconda soluzione tanto più a fronte dei rivolgimenti già in atto nel mondo. Cina, India, Brasile, Russia, Argentina fanno già parte di un club al cui interno i beni non si scambiano con il dollaro ma in valute nazionali, l’Italia fa parte di un club europeo in cui i beni si scambiano con l’euro, la Cina è il principale creditore degli Stati Uniti e le sue riserve sono salite a 2200 miliardi di dollari, mentre i suoi investimenti all’estero sono raddoppiati nel corso del 2009. Negli Stati Uniti Obama è impegnato in una corsa contro il tempo per ridurre le diseguaglianze e dare almeno protezione sanitaria ai milioni di americani che non ne  hanno alcuna. Contemporaneamente ha assunto precisi impegni per la rivoluzione verde, cui finalmente la Cina si dichiara pronta a partecipare. Da noi quelle che si muovono sono solo le banche tornate alle antiche rovinose speculazioni. La parola d’ordine italiana è l’immobilismo: sopravvivere aspettando la ripresa. La peggiore slow economy: “ un lungo periodo di stagnazione in attesa di smaltire le tossine che si sono accumulate nell’organismo economico”. Nessun  progetto, nessuna nuova idea per un futuro basato sulla riconquista di antichi valori, propri anche dei nostri pionieri dell’industria, nessuna fantasia, nessuna voglia di avventurarsi in esperimenti nuovi, anche se il nuovo, come Rampini ci insegna, comincia già ad esistere in questa o quella parte del mondo.

Luciano Barca

 

* Federico Rampini, “Slow economy, rinascere con saggezza”, Mondadori editore, 2009, pag. 196, euro 17,00.

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