La situazione economica delle famiglie italiane: atmosfera da anni ’80

Marilena Giannetti e Rama Dasi Mariani si occupano della recente indagine della Banca d’Italia sul reddito e la ricchezza degli italiani, relativa al 2014, dalla quale emerge una fotografia con chiari e scuri. Per la prima volta dal 2006, il reddito familiare non risulta in calo, ma, come sottolineano Giannetti e Mariani, nel complesso il suo livello è vicino a quello della fine degli anni ’80 e, d’altro canto, la sua distribuzione, così come quella della ricchezza, è caratterizzata da una forte disuguaglianza.

Qual è la situazione economica delle famiglie italiane e come stanno cambiando le loro abitudini di consumo e di risparmio? Una prima risposta a questa domanda può essere fornita sulla base dei dati dell’indagine campionaria sui bilanci delle famiglie italiane (IBF) condotta dalla Banca d’Italia ogni due anni. I risultati relativi al 2014 sono appena stati pubblicati e il quadro generale sembra segnalare una situazione di stabilità rispetto al biennio precedente. Si tratta di una buona notizia perché per la prima volta dal 2006 non si registra un peggioramento.

Il reddito familiare. Le prime elaborazioni riportate sul Bollettino Statistico  riguardano il reddito disponibile medio familiare (non “corretto” per la dimensione del nucleo familiare), definito dalla somma di tutte le fonti di reddito di ogni componente del nucleo, al netto delle imposte sul reddito e al lordo dei trasferimenti pubblici in moneta. Il suo valore medio nel 2014 risulta invariato in termini reali rispetto a quello del 2012. In un’ottica di lungo periodo, dal 1977 ad oggi, il reddito familiare medio è cresciuto del 35%, ma il calo registrato a partire dal 2006 lo ha riportato ai livelli registrati tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, in seguito al forte calo registratosi dal 2006 e, in misura ancora maggiore, dal 2010 (fig. 1, dove è riportato il trend del periodo 1995-2014, e dove, per comparazione, si mostra anche il reddito lordo calcolato a partire dai dati di contabilità nazionale). Nel periodo 2006-2012 hanno contribuito alla sua riduzione i redditi da lavoro dipendente e autonomo, diminuiti rispettivamente del 17% e del 39%, e, in misura minore, i redditi da capitale, scesi dell’11%. Nel biennio 2012-2014, invece, le due tipologie di reddito da lavoro hanno invertito il trend negativo, crescendo del 2% e 4%, rispettivamente, mentre i redditi da capitale sono diminuiti di un ulteriore 4%. Stabili, infine, sono stati in media i redditi da trasferimento.

Guardando alle variazioni di lungo periodo tra i percentili della distribuzione del reddito, i dati raccolti dalla Banca d’Italia segnalano che i primi due decili (ovvero i meno abbienti) sono stati colpiti da una maggiore riduzione del tenore di vita; addirittura,  in termini di potere d’acquisto, il reddito disponibile medio familiare del primo decile risulta tornato ai livelli del 1977. Questo segmento della distribuzione ha risentito in maniera particolare della variazione negativa dei redditi da lavoro e, recentemente, anche di quella dei redditi da trasferimento, in forte calo solo nella coda bassa della distribuzione. Il decile più ricco, invece, ha subito una flessione solo a partire dal 2006, a causa soprattutto della riduzione dei redditi da lavoro autonomo. Congiuntamente, le dinamiche agli estremi della distribuzione hanno lasciato invariato, attorno al 33%, l’indice di diseguaglianza di Gini rispetto all’ultima rilevazione,

L’indagine del 2014 riserva un’attenzione particolare al bonus fiscale introdotto dal governo Renzi destinato ai lavoratori dipendenti con una retribuzione lorda complessiva compresa tra gli 8.000 e i 26.000 euro annui. Il bonus di 80 euro mensili è stato percepito da circa il 20% delle famiglie italiane e, poiché esso è attribuito in base alle retribuzioni individuali (e non ai redditi familiari), i nuclei con più di un percettore o con più di una fonte di reddito ne hanno beneficiato maggiormente. Nonostante la metà di esse abbia dichiarato di ritenere il bonus una misura di policy temporanea, in media le famiglie hanno dichiarato di aver speso quasi il 90% del bonus percepito. Le analisi quantitative basate sull’effettivo andamento dei consumi indicano, invece, un impatto complessivo del bonus sulla spesa pari al 60%.

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Il reddito equivalente. Nel Bollettino Statistico si parla anche del reddito equivalente, un indicatore del tenore di vita familiare che tiene conto della dimensione familiare e delle economie di scala che ne derivano (il reddito familiare complessivo viene infatti diviso per le scale di equivalenza, che sono basate sulla dimensione del nucleo familiare). A differenza di quello familiare complessivo, il reddito medio equivalente ha subito un lieve calo rispetto al 2012 (fig. 1) nonostante i cambiamenti demografici avvenuti nel biennio, a parità di altre condizioni, avrebbero dovuto comportare una crescita del reddito equivalente. Per la prima volta dagli anni ’80, infatti, il numero medio dei componenti del nucleo familiare è aumentato e l’aumento del numero di componenti di per sé accresce il reddito equivalente dato che è maggiore il numero di individui che possono beneficiare delle economie di scala familiari.

In generale, le tendenze demografiche di lungo periodo risultano immutate. Nei quasi quarant’anni coperti dall’IBF la popolazione residente in Italia risulta invecchiata, il livello medio di istruzione aumentato mentre la partecipazione femminile al mercato del lavoro è cresciuta.

Attualmente, la dimensione media dei nuclei familiari è di 2,5 persone, l’incidenza delle coppie con figli è scesa al 34% e quella delle famiglie monocomponente è salita al 30%. Infine, il numero dei percettori di reddito da lavoro nei nuclei con capofamiglia di età compresa tra i 35 e i 64 anni è passato da uno ogni tre a uno ogni due membri.

Anche nel caso del reddito equivalente, la variazione del tenore di vita è stata difforme lungo i percentili della distribuzione e la fascia maggiormente penalizzata è la meno abbiente. Tra il 2006 e il 2012 la sensibile diminuzione dell’indicatore del reddito equivalente è attribuibile in particolare ai nuclei con prevalenza di percettori di reddito da lavoro o da trasferimento diverso dalla pensione (fig. 2) e con presenza di membri di età compresa tra i 19 e i 54 anni.

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Di conseguenza, dal 2006 è aumentata la quota di individui a basso reddito – ossia di coloro che hanno un reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano, considerata dall’Eurostat la soglia di povertà relativa –, passando dal 19,6% al 22,3%. A tale dato negativo si aggiunge una maggiore persistenza nella condizione di povertà relativa: nel 2014, infatti, aveva un reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano l’80% di chi già nel 2012 non superava la soglia, mentre prima del 2006 il tasso di persistenza nella povertà relativa in due rilevazioni successive dell’IBF si aggirava intorno al 65%. Infine,  come atteso, la quota di individui a basso reddito è maggiore nel Mezzogiorno, tra gli stranieri e tra i giovani.

La Ricchezza. Dal 2006 ad oggi il divario dello stock di ricchezza patrimoniale (mobiliare e immobiliare, al netto delle passività) detenuto da giovani e anziani è notevolmente aumentato. Certamente tale differenziale riflette il naturale processo di accumulazione dei risparmi lungo il ciclo di vita; tuttavia, la ricchezza media in termini reali delle famiglie con capofamiglia al di sotto dei 35 anni si è dimezzata, mentre quella delle famiglie con capofamiglia al di sopra dei 65 anni è aumentata del 60%. Poiché la ricchezza delle famiglie italiane è costituita per la maggior parte dall’abitazione di residenza, l’andamento appena descritto riflette in primo luogo quello della proprietà immobiliare. La quota di famiglie proprietarie di  immobili, infatti, è costantemente aumentata solo tra quelle con capofamiglia ultra-cinquantenne, mentre per le altre il valore è tornato ai livelli di fine anni ’70.

Il valore medio e quello mediano della ricchezza delle famiglie residenti in Italia risultano pari nel 2014, rispettivamente, a 218.000 euro e 138.000 euro. La notevole differenza tra valore medio e mediano riflette la forte asimmetria della distribuzione, dovuta al fatto che nella coda bassa della distribuzione sono molti i nuclei con ricchezza molto limitata, se non nulla o negativa (nel caso dei nuclei indebitati). La ricchezza netta detenuta dal 30% delle famiglie italiane più povere rappresenta meno dell’1% di quella totale; al contrario, il 5% più ricco detiene il 30% del patrimonio complessivo. In generale, la ricchezza netta delle famiglie è principalmente composta da immobili, aziende e oggetti di valore. In particolare i primi costituiscono i quattro quinti della ricchezza netta e sono preponderanti in tutti i decili della distribuzione, tranne che nei due più bassi dove, come atteso, la ricchezza netta risulta negativa o nulla.

Ad ogni modo, tra il 2012 e il 2014 l’indebitamento delle famiglie più povere è diminuito e il dato riflette la minore incidenza sia dei debiti per l’acquisto di immobili sia di quelli per il finanziamento del consumo corrente. Tuttavia, la quota di famiglie finanziariamente vulnerabili, ossia con un reddito monetario inferiore a quello mediano e una spesa annuale per il servizio del debito superiore al 30% dello stesso reddito (ad esempio, per il pagamento degli interessi sui mutui), è diminuita solo nel secondo quartile. In media la quota di famiglie in questa condizione è rimasta stabile intorno all’11% di quelle indebitate e al 2% del totale.

Le famiglie più facoltose hanno perso molta della loro ricchezza in termini reali tra il 2012 e il 2014, soprattutto a causa del calo del valore degli immobili (-15%). Il minor indebitamento dei meno abbienti e la riduzione dei valori immobiliari hanno contribuito, nell’ultimo biennio, alla riduzione di 3 punti percentuali dell’indice di Gini della ricchezza netta. Il valore di tale indice resta comunque elevatissimo, intorno al 61%. Tale dato è di per sé allarmante se ci si preoccupa delle disuguaglianze economiche intra-generazionali, ma lo è ancora di più se si considera che, rispetto al reddito, la ricchezza si trasmetta ancora più facilmente fra le generazioni di genitori e figli. A conferma di ciò, il Bollettino Statistico segnala che nel 2014 un terzo della ricchezza netta proviene da eredità o donazioni.

Trarre conclusioni generali da questo quadro così frammentato è un compito arduo che, peraltro, non rientra tra gli obiettivi degli autori del Bollettino Statistico. Si possono, però, richiamare brevemente i principali risultati che emergono dall’Indagine e che sono stati presentati in questa Scheda: i  flussi di reddito sono rimasti invariati rispetto a due anni fa mentre il valore dello stock della ricchezza risulta diminuito notevolmente. I gruppi della popolazione maggiormente bisognosi di tutela, ossia i più giovani e i più poveri, hanno subito un peggioramento della loro condizione relativa sotto il profilo del reddito, ma non della ricchezza netta. Quest’ultima, peraltro, risulta aumentata per i meno abbienti, grazie alla diminuzione dell’ indebitamento che però, forse è conseguenza della riduzione del consumo.

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