La rivendicazione di assembraMenti, movimento per la parità intergenerazionale

assembraMenti è un movimento per la parità intergenerazionale nato durante l’emergenza sanitaria da Covid-19. L’articolo descrive la sua esperienza partendo dalle riflessioni sviluppate in un’inchiesta pubblicata per Pandora Rivista; in particolare, le autrici mettono in luce come le scelte economico-sociali del Paese abbiano generato una situazione di immobilismo sociale per gli under-35 in Italia. Inoltre, esse ripercorrono le varie attività di sensibilizzazione in cui il movimento è impegnato.

Tra le numerose disuguaglianze che il Covid-19 ha messo in luce rientra una di cui, in Italia, si tratta troppo di rado: la disuguaglianza intergenerazionale. Da una parte, con il decisivo superamento, nel 2018, degli over 60 sugli under 35, l’Italia ha consolidato un trend ormai invalso da numerosi anni e volto ad una preferenza, anche per ragioni di ritorno elettorale, verso la popolazione anziana nello stanziamento delle risorse pubbliche; dall’altra si è assistito ad un’attestata perdita della ricchezza media individuale (oltre il 60% della popolazione tra i 25 e i 29 anni abitualmente non supera i 1.250 euro), unito ad un tasso di disoccupazione del 18%, che, non solo riflette ancora gli strascichi della crisi del 2008, ma rischia di peggiorare in conseguenza della crisi economica post Covid-19. A livello mondiale, questo quadro trova riscontro nelle ultime dichiarazioni del Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il quale ha annunciato che un giovane su sei ha perso il lavoro a causa dell’emergenza sanitaria.

assembraMenti è un movimento che nasce dalle riflessioni di un gruppo di giovani, donne, le quali, oltre a fronteggiare la crisi del mercato del lavoro negli ultimi anni, hanno vissuto il lockdown riconoscendo le contraddizioni intrinseche e lo sbilanciamento dei diritti tutelati dalle misure igienico-sanitarie intervenute nelle diverse fasi. L’inchiesta, sfociata poi in un articolo dal titolo “Una generazione in lockdown” pubblicato su Pandora Rivista, è scaturita dalla presa di coscienza di un amaro paradosso: se l’impatto sanitario dell’emergenza ha avuto le sue più gravi ripercussioni sulle fasce d’età più anziane, quello economico si è invece riverberato sui giovani.

La nostra analisi è partita dalla constatazione che solo il 23% degli under 35 ha continuato a lavorare durante il lockdown, a fronte del 65% degli over 35 e addirittura con un picco del 73,6% per gli over 55. Ciò si spiega anche alla luce dei dati del Ministero del Lavoro, secondo cui i giovani tra i 20 e i 29 anni risultano impiegati meno in attività essenziali, di cui rappresentano solo il 14.6% (Lattanzio, 2020). Inoltre, costituendo il 25.5% della forza lavoro totale dei settori notoriamente foriere di situazioni lavorative precarie come turismo, cultura e ristorazione, ci si può aspettare che numerosi giovani lavoratori abbiano perso il proprio impiego durante il lockdown senza possibilità di ritrovarlo, trattandosi di settori tra quelli che più faticano a riprendersi. Senza contare la grossa fascia di stagisti, tirocinanti e praticanti, i quali sono stati esclusi da qualunque tutela economica prevista dal decreto Cura Italia e che, con molta probabilità, subiranno un danno in termini di perdita di chance di inserimento lavorativo.

Da qui, il secondo paradosso: chi ha continuato ad andare a lavorare era proprio chi, per una mera questione di età, era più soggetto al virus. A fronte di scarsi dati estremamente provvisori, siamo comunque riuscite a rilevare come i 40 anni risultino uno spartiacque significativo sia per il rischio di sviluppare una forma grave della patologia, sia per una maggiore probabilità di ospedalizzazione, ricovero in terapia intensiva e decesso.

Infatti, secondo i dati dell’Istituto Superiore della Sanità, l’età mediana dei contagi si è registrata intorno ai 62 anni ed a 81 quella dei decessi. Per quanto in un’ottica di prevenzione l’attenzione vada posta sul contagio, le valutazioni relative alla salute dell’individuo e il carico sul sistema sanitario nazionale, da cui si giustificano misure restrittive come il lockdown, vanno fondate sulle ipotesi di peggioramento della malattia, memori del fatto che, come confermato dall’OMS, l’80% dei casi non si aggrava. Mancando dati ufficiali italiani al riguardo, i numeri relativi alle ospedalizzazioni sono basati su una stima effettuata da studiosi inglesi, secondo cui i soggetti che necessitano di essere ospedalizzati sono dello 0% tra gli 0 e i 9 anni; 0,04% tra i 10 e i 19; 1,04% tra i 20 e i 29; 3,43% tra i 30 e i 39. Relativamente al ricovero in terapia intensiva, l’unico dato disponibile era uno studio condotto in Lombardia, che mostrava che di 1591 pazienti ammessi in terapia intensiva, solo 60 avevano meno di 40 anni, di cui 38 con malattie preesistenti. Infine, al 21 maggio, risultavano essere 78 in totale le persone sotto i 40 anni morte di Covid-19 in Italia, di cui 53 con patologie gravi preesistenti e 14 privi di comorbilità, mentre dei restanti 11 non erano disponibili informazioni cliniche.

In un’ottica di bilanciamento dei diritti come criterio guida nel contemperamento delle esigenze costituzionali, laddove viene esclusa una gerarchia tra le stesse, quindi, gli under 40 paiono aver sopportato un sacrificio sproporzionato in relazione al fine ultimo di tutela della salute. Non solo, ma rischiando meno di contrarre il virus, i giovani avrebbero forse potuto rappresentare la chiave di ripartenza del Paese: l’ipotesi di una riapertura a fasce demografiche avrebbe invero permesso di affidare la ripresa economica ai giovani, garantendo una tutela più prolungata per i soggetti a rischio. Tale ipotesi si scontra però con la peculiarità del contesto italiano nel quale, per effetto di una prolungata trascuratezza nei confronti della questione dell’emancipazione e dell’indipendenza economica dei giovani, il 49% di coloro compresi tra i 25 e i 34 anni convive ancora con i propri genitori, a fronte di una media europea del 28,5%, rischiando, in un contesto epidemiologico, di trasmettere il virus a fasce più anziane all’interno del nucleo familiare.

Il corto circuito che ne emerge non è altro che il risultato di decenni di politiche economiche e sociali che si sono dimenticate di investire sui giovani, impedendo loro di acquisire potere contrattuale, potere d’acquisto e peso politico.

Per non ripetere gli errori del passato, abbiamo delineato un Manifesto aperto alla firma, con dieci proposte per ripartire dalla nostra generazione. Partendo dalla premessa, per noi imprescindibile, dell’inclusione della fascia under 35 nel processo di decision-making a livello nazionale, regionale e locale, chiediamo sia un rafforzamento delle garanzie che azioni positive a sostegno delle fasce più giovani. Sul piano lavorativo, risulta più che mai pressante l’esigenza di tutela e riconoscimento di tutte le forme di lavoro precario e l’agevolazione del turnover generazionale, soprattutto nel settore pubblico. In quest’ottica, fondamentale è lo snellimento dell’accesso alle professioni con una adeguata riforma anche degli esami di abilitazione, i quali troppo spesso costituiscono una barriera all’ingresso nel mondo del lavoro basato su modalità anacronistiche e tempistiche elefantiache. Occorre infatti un cambio di prospettiva sul lavoratore giovane, che, non più solo fardello inesperto per il datore di lavoro, rappresenti il portatore di un valore aggiunto in termini di alfabetizzazione digitale, capacità innovativa, specializzazione e flessibilità.

Dal punto di vista di sostegno alla crescita e alla realizzazione, personale e professionale, la tutela in ambito lavorativo deve accompagnarsi con lo scardinamento del c.d. welfare familistico, che vede sempre più le famiglie (che ne abbiano i mezzi), e non i sistemi di welfare, sostenere i giovani privi di sostentamento. Una situazione che deresponsabilizza lo Stato e contribuisce a creare disuguaglianze tra chi ha il privilegio di provenire da una famiglia con possibilità economiche e chi invece no. Sulla stessa stregua, si rendono altresì necessarie misure di sostegno a soluzioni abitative per under 35, tramite un mercato degli affitti accessibile e un maggiore accesso ai prestiti degli istituti di credito.

Con l’intento dunque di sensibilizzare alla questione della parità e della responsabilità intergenerazionale, assembraMenti vuole raggiungere sia gli under-35, per risvegliare in loro un sentimento generazionale e di rivendicazione dei propri diritti di realizzazione collettiva ed individuale, sia i rappresentanti della politica e della società civile, perché creino spazio nei tavoli decisionali e adottino politiche economiche, di lavoro, di istruzione, di innovazione e sostenibilità in favore delle fasce più giovani. In particolare, riteniamo che il coinvolgimento oggi, di chi vivrà come membro pienamente attivo della comunità domani, nelle scelte che riguardano il futuro sia alla base di una democrazia rappresentativa, quale quella che governa il nostro Paese.

Per questo abbiamo lanciato sui social network la campagna #seigiovanecidicono, realizzando un video che vuole mettere in luce le contraddizioni trasversali che vivono oggi i giovani italiani e abbiamo coinvolto una rete di oltre 150 partner e associazioni attive sulle tematiche giovanili. Da un dialogo partecipato con le diverse realtà, è stato elaborato il Piano Giovani 2021, un documento nato come reazione all’assenza delle questioni problematiche giovanili nel corso dei recenti Stati Generali dell’Economia. Il piano d’azione si snoda su tre macro-obiettivi: Sviluppo Sostenibile, Società Inclusiva e Cultura dell’Innovazione, perseguendo lo scopo di incidere sulla legge di Bilancio 2021 e, allo stesso tempo, generare un fronte comune per la creazione di quell’identità generazionale poc’anzi ricordata.

Riesumando il vecchio principio, e grido di inizio della Rivoluzione Americana, “no taxation without representation”, se siamo quelli che pagano, oggi in termini di mancanza di risorse economiche e sociali, domani anche in termini di risorse naturali, vogliamo avere voce in capitolo, contribuendo a migliorare il nostro Paese. Per questo è nato assembraMenti, in un momento storico che ha messo a nudo le disuguaglianze che affliggono l’Italia, tra cui quella che vede il costante ampliarsi della distanza tra giovani ed anziani. Occorre dunque un’inversione di rotta, o ancor più una rivoluzione prospettica, poiché l’investimento a favore di esigenze e istanze giovanili rappresenta un investimento sul futuro, che non può che andare a beneficio dell’intera società, in particolare all’interno di un sistema di welfare di un paese sempre più anziano.

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