La ristrutturazione digitale: una nuova sfida per i servizi pubblici per l’impiego

Alessandra Fasano e Ludovica Rossotti si occupano dei Servizi Pubblici per l’Impiego dal punto di vista dell’esigenza di una loro ristrutturazione digitale. Le due autrici illustrano quanto sia variegato in Europa e in Italia il grado di utilizzazione da parte dei servizi per l’impiego delle nuove tecnologie e sostengono che la digitalizzazione può rappresentare un’occasione per facilitare la comunicazione tra sistemi che attualmente non sono connessi e che ciò può contribuire a ridurre le disuguaglianze territoriali.

Da circa un ventennio, l’Europa fa molto affidamento sulle politiche attive e sui Servizi per l’Impiego (SPI) per aumentare l’occupazione, avendo riconosciuto l’esigenza di modernizzare e rafforzare le istituzioni del mercato del lavoro. Questa esigenza sembra farsi più acuta per le conseguenze delle recenti evoluzioni del progresso tecnologico e per quelle che si prospettano per il futuro: processi di produzione mediati dalla digitalizzazione, forme di lavoro emergenti, nuova organizzazione della produzione, diffondersi della “gig economy”, del caporalato digitale e dei “gig workers”. È, allora, opportuno chiedersi quali sono i punti di forza e di debolezza di questi Servizi e che risposte essi possono dare ai bisogni emergenti.

Nonostante in questi anni tutti i paesi europei abbiano introdotto significative riforme in tale ambito, è possibile individuare, in base alla struttura organizzativa, al tipo di servizi attivati e al processo di ammodernamento, quattro macro modelli degli SPI, corrispondenti ad altrettanti insiemi di Paesi: i) mediterranei; ii) scandinavi, baltici e anglosassoni; iii) dell’Europa centrale; iv) dell’Europa dell’Est.

Un elemento chiave della distinzione è rappresentato dall’implementazione di servizi on line e dall’espansione della tecnologia a rete, che risultano solo parzialmente realizzate nel modello mediterraneo. L’Italia, pertanto, si trova ad affrontare il bisogno di rafforzare gli strumenti delle politiche attive del lavoro, che richiedono una ristrutturazione digitale dei servizi.

La costruzione di un sistema integrato di politiche del lavoro è stato il tema dell’evento centrale di “Italian Employers’ Day 2017” – iniziativa giunta alla seconda edizione, lanciata dalla Rete europea dei servizi pubblici per l’impiego (PES Netwok), che ha previsto una serie di incontri organizzati dal 13 al 24 novembre 2017 in ciascun Stato membro – che, tra l’altro, ha avviato una consultazione pubblica atta a raccogliere i contributi degli attori interessati, sulla base dei quali costruire una strategia nazionale degli SPI, oltre a prevedere un calendario di iniziative territoriali (fiere del lavoro, workshop, recruitment day, job cafè), che coinvolgono i Centri per l’impiego (CPI) e ne promuovono i servizi presso le aziende.

In Italia, il Decreto Legislativo 150/2015 ha istituito l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), che ha tra i suoi obiettivi il coordinamento delle politiche del lavoro a favore di persone in cerca di occupazione e la ricollocazione dei disoccupati, mediante la predisposizione di strumenti e metodologie a supporto degli operatori pubblici e privati del mercato del lavoro e la costruzione di un database nazionale dei differenti CPI territoriali e dei servizi che essi offrono. Con il “collocamento 2.0” per disoccupati e inoccupati è prevista la messa a regime di alcuni strumenti che mirano a una migliore gestione del mercato del lavoro e al monitoraggio delle prestazioni erogate, tra cui il “fascicolo elettronico del lavoratore”, facendo confluire le informazioni in un sistema unitario. Una difficoltà in merito deriva dalla presenza di diversi sistemi regionali informatici sul lavoro, che non dialogano tra loro e non contribuiscono a connettere il territorio in una dimensione nazionale e internazionale.

Da un lato è, infatti, riconosciuta l’importanza di creare una rete nazionale dei servizi e delle politiche attive del lavoro coordinata dall’ANPAL; dall’altro, il contesto territoriale reale si incontra e si scontra con criticità e opportunità, che non rendono agevole la costruzione di un ecosistema in grado di interagire al suo interno; a ciò si aggiunge la difficoltà di condivisione di una nuova grammatica del lavoro in grado di riscrivere nuovi linguaggi per operare un cambiamento che sposti il focus dall’occupabilità alla continuità del lavoro.

Da una recente ricerca effettuata sui servizi pubblici per l’impiego nel Lazio, in Calabria e in Puglia (Fasano A., Rossotti L. et al., “The Best Offer: Monitoring and Analysing the Best Practices of the Public Job Centres and of the Private Employment Agencies together with the University Placement and Employment Orientation Services”, in Larsen C. et al. (eds.), The Importance of Governance in Regional Labour Market Monitoring for Evidence based Policy making, Rainer Hampp Verlag, Augsburg, München, 2017), infatti, risulta che la fornitura tecnologica non è adeguata e che la capacità comunicativa dei CPI tramite la rete Internet non è del tutto efficiente. Inoltre, emerge la mancanza di una rete dei servizi a livello territoriale in grado di costruire confronti e dialoghi tra gli stakeholder coinvolti e presenti a livello locale, a cui si affiancano alcuni retaggi culturali che condizionano il modo di vedere i centri stessi.

In un mercato del lavoro sempre più digitalizzato i CPI devono, anzitutto, fare i conti con una scarsa dotazione informatica (personal computer e annesse periferiche elettroniche per operatori e utenti in numero non adeguato alle esigenze, spesso sistemi operativi obsoleti), con la frammentazione dei rispettivi siti a livello provinciale che non ne agevola la consultazione da parte degli utenti, così come con la scarsa presenza sui Social Network che non ne consente la diffusione e la conoscenza tra la componente più digitale dell’utenza.

Inoltre, non è messa a regime, ma lasciata alla libera iniziativa dei singoli operatori dei CPI, la creazione di sinergie e di circolarità dei flussi informativi con gli altri servizi di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro (quali agenzie per il lavoro e uffici universitari di job placement), nonché con gli altri attori del mercato del lavoro (ognuno portatore di propri interessi), contribuendo ad alimentare competizione tra pubblico e privato e tra gli stessi servizi pubblici.

Si tratta, dunque, di modernizzare i CPI sia da un punto di vista tecnologico (fornendo gli strumenti base adeguati), sia da un punto di vista culturale, ideando una nuova narrazione che permetta di svecchiarne la percezione, ancorata all’immaginario collettivo che li associa a uffici di collocamento, tanto che le aziende li riconoscono nella vecchia veste, attribuendo loro funzioni di controllo piuttosto che di erogazione di servizi gratuiti, e i disoccupati spesso si limitano a percepirli come meri organismi burocratici piuttosto che come fonte di orientamento.

Come affrontare, quindi, le sfide per le politiche attive del lavoro nell’era della rivoluzione digitale?

Nello stesso panorama italiano è possibile individuare alcune iniziative che valorizzano il ruolo dei CPI, prevedendo un ammodernamento digitale degli dei suoi strumenti.

In Valle d’Aosta, Emilia Romagna e in Umbria, ad esempio, da qualche anno, oltre al sito Internet dei CPI, è stato introdotto “Lavoro per te”, il portale dei servizi per il lavoro, realizzato dalle rispettive Regioni in collaborazione con le relative Province, attraverso il quale è possibile consultare e candidarsi alle offerte di lavoro nonché accedere ad alcuni servizi amministrativi on line, utilizzando sia le potenzialità derivanti dalle nuove tecnologie sia l’integrazione con altri sistemi.

Nel 2014, “Liguria Digitale” ha realizzato “MiAttivo” un nuovo strumento on line per la politica del lavoro, che permette un contatto diretto tra cittadini e i CPI regionali, tramite il quale gli iscritti, indicando la propria condizione lavorativa, ricevono le convocazioni via sms e via e-mail.

Dal 2015, l’Agenzia Piemonte Lavoro (APL), al fine di rendere più agevole il coordinamento e la gestione dei centri, ha intrapreso una politica di razionalizzazione dei servizi web per i cittadini e per le aziende, facendo convogliare tutte le informazioni riguardanti il lavoro sul sito dell’agenzia. Dal 2016 la Regione Lombardia ha adottato “Dote Unica Lavoro”, ovvero un modello innovativo nel campo delle politiche attive del lavoro.

Da qualche anno, il CPI di Ravenna ha attivato nuovi servizi, tra cui “Job Fair”, una vetrina virtuale in cui le aziende possono trovare informazioni sintetiche sui profili più interessanti, suddivisi per caratteristiche specifiche o per gruppo professionale di appartenenza, a partire dalle quali esplicitare manifestazioni di interesse.

Alle iniziative dei CPI si affianca quella di “Job4U”, una startup innovativa a vocazione sociale, nata negli ultimi anni, che mette a disposizione una piattaforma tecnologica cloud, in grado di rendere più automatica e capillare l’erogazione dei servizi per il lavoro (in collaborazione con i centri stessi, università, scuole superiori e pubbliche amministrazioni impegnate nel job matching), attraverso un accesso continuo, da qualunque dispositivo e luogo, a una consulenza di carriera digitale per accompagnare il processo di ricerca di un lavoro.

 Negli ultimi anni, dunque, sono stati fatti ulteriori passi avanti nella direzione di una ristrutturazione digitale degli SPI; tuttavia, l’ammodernamento dei CPI risulta ancora in modalità patchwork, con un Centro-nord più all’avanguardia rispetto al resto dell’Italia. Uno specchio che riflette le “diverse Italie” (Pavolini E., “Welfare e dualizzazione dei diritti sociali”, in Ascoli U. (a cura di), Il welfare in Italia, il Mulino, Bologna, 2011) in cui è diviso il Paese, caratterizzate non solo da diseguaglianze nei profili di vita ma anche nell’ acceso ai servizi.

È necessario, pertanto, agire su tre fronti: i) ridurre il divario tecnologico tra servizi che operano in realtà locali differenti; ii) rendere la digitalizzazione un’occasione di interoperabilità tra sistemi in modo da armonizzarli e consentire, ad esempio, la comunicazione tra banche dati che attualmente non sono tra loro connesse, ma che nell’insieme possono rappresentare una fonte di ricchezza informativa; iii) operare affinché anche l’ammodernamento tecnologico dei servizi per l’impiego non sia foriero di ulteriori diseguaglianze territoriali.

In conclusione, se le idee si tradurranno in pratiche la digitalizzazione, contribuendo a creare nuovi linguaggi e spazi alternativi di conoscenza, permetterà di abbattere le barriere che non consentono a tutti di accedere in modo virtuoso alle informazioni sul mercato del lavoro.

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