La riforma fiscale e le elezioni Australiane

Lisa Magnani interviene sul tema delle difficoltà che incontrano i progetti di riforma fiscale - che non consistano nella riduzione, più o meno generalizzata, delle aliquote - illustrando il caso dell’Australia che si avvia alle elezioni politiche. Magnani ricostruisce le recenti vicende e i temi in discussione in quel paese che dimostrano la reticenza ad affrontare questi temi nei modi appropriati per promuovere l’ equità e la trasformazione dell’economia di fronte a problemi come il cambiamento climatico.

Mentre in Italia si discute di delega fiscale e la prospettiva di cambiamento suscita reazioni che rischiano di mettere in crisi il governo, può forse essere utile, per capire gli ostacoli che le riforme fiscali sempre più di frequente incontrano, guardare alla situazione in altri paesi. Qui lo faremo con riferimento all’ Australia, dove l’ultima riforma davvero sostanziale risale a 40 anni fa mentre, dal 2018, prima della pandemia, l’attuale governo conservatore, continua a ridurre le aliquote con lo scopo di alleggerire la pressione fiscale.

Ora, a poche settimane dalle elezioni politiche, i politici riparlano di riforma fiscale ma lo fanno sottovoce, come si fa quando si deve affrontare una conversazione imbarazzante. E così gli Australiani si accingono ad andare a votare con poche e maldestre informazioni sulla riforma fiscale che tutti si aspettano perché senza riforma fiscale non si possono affrontare molti dei temi caldi delle politiche future, come il cambiamento climatico, la spesa per gruppi sociali svantaggiati, l’emergenza della sicurezza abitativa, ma anche l’istruzione e la ristrutturazione dell’economia per liberarci dalla dipendenza dal carbone. La politica fiscale per il 2021-2022 presentata e discussa in Parlamento un paio di settimane fa, si barcamena tra misure temporanee, come la riduzione del 50% dell’accisa sulla benzina (attiva fino al dicembre 2022), misure populiste (la riduzione del costo della birra) e misure atte a prendere tempo, come quelle relative alle fonti di energie e al cambiamento climatico. Di fatto, a poche settimane dalle elezioni, l’Australia non discute di riforme fiscali. Purtroppo la casa è in fiamme e gli Australiani discutono del costo della birra.

Come confermano i dati governativi, di tempo forse ce n’è meno di quanto si pensi. Il costo pubblico delle misure adottate per sostenere l’occupazione è enorme, seppure per lo più giustificato. Di fatto, la spesa sociale è aumentata, ad esempio la spesa per gli anziani, e per le persone con disabilità (Australian Institute for Health and Welfare, settembre 2021). Nonostante ciò, sono molte le aree del sistema di welfare il cui finanziamento continua a mostrare lacune. E’ il caso della spesa per le famiglie che è considerevolmente diminuita dal 2015, mentre la riforma del finanziamento delle scuole pubbliche approvata un decennio fa non è mai stata attuata, e continua il trend decrescente degli investimenti nella cura degli anziani che il governo conservatore di Howard iniziò nel 1997 con l’Aged Care Act. Di ciò sono responsabili anche i livelli storicamente molto bassi dei tassi di interesse e la tradizionale corsa agli investimenti-rifugio, come la casa, in periodi di incertezza. Dall’inizio della pandemia gli affitti in Australia sono aumentati in media del 9,4% e i prezzi delle abitazioni del 22%; al di fuori delle grandi città le tendenze sono ancora più allarmanti: +12% per gli affitti e +26% per il prezzo delle abitazioni (Covid-19: Rental Housing and Homelessness Impacts in Australia, Novembre 2021). Inoltre, è crescente la frazione del reddito mensile dei meno abbienti assorbito dalle spese per l’affitto:  dal 40.5% nel 2019 al 45.7% nel 2021. Questo quadro già fosco si fa ancora più sinistro se posto sullo sfondo delle attuali spinte inflattive e della stagnazione di lungo periodo dei salari reali, a cui solo una ripresa che sa di miracolo forse metterà fine (si veda a questo proposito il rapporto della Reserve Bank of Australia del 2022).

L’invecchiamento della popolazione, l’emergenza abitativa e il sostegno alle famiglie oltre a gravare sui bilanci familiari continuano a costituire sfide per le finanze pubbliche e, secondo le proiezioni dell’OCSE (“The Long Game: Fiscal Outlooks to 2060 Underline Need for Structural Reform”, Luglio 2021), entro il 2060 il debito pubblico Australiano si aggirerà sul 60-70% del PIL. Di fronte a questi campanelli d’allarme, il governo Australiano sostanzialmente si limita a sbandierare la sua riforma fiscale approvata nel 2018, che avvantaggia i ceti più abbienti e non fa nulla per favorire un’incisiva azione pubblica, nel presente e nel futuro.

Come ha messo in evidenza l’Australia Institute in un suo rapporto del marzo 2022 (“Fair Go Gone: Stage 3 Tax Cut and Low and Middle Income Tax Offsets”), la riforma fiscale del governo Morrison ha conosciuto dal 2018 tre fasi che, nel loro complesso, avevano tre obiettivi principali: i) diminuire le imposte dirette per il 2.5% degli Australiani con i redditi più alti; ii) proteggere la classe media dallo slittamento verso scaglioni fiscali più alti; ii) semplificare il sistema della tassazione sul reddito. In questa riforma non c’è nulla per sostenere i salari in particolare quelli più bassi. Inoltre, come sottolinea il rapporto dell’Australia Institute, mentre la qualità della cura agli anziani dipende dai salari dei lavoratori di quel settore, non vi è alcun intervento a sostegno dei salari di infermieri, lavoratori e lavoratrici del settore della cura, così come di quelli degli insegnanti.

Un altro aspetto fondamentale del sistema fiscale, dal quale dipende la sua capacità di raggiungere importanti obiettivi di giustizia sociale, riguarda la progressività delle imposte, cioè la misura in cui la percentuale di tassazione media cresce al crescere del reddito. La terza fase della riforma fiscale, che verrà attuata dal governo Australiano nei prossimi anni, altera tale progressività. Per esempio per coloro che guadagnano tra 120,000 e 180,000 dollari annuali l’aliquota passerà dal 37% al 30%, per i redditi da 180,000 ai 200,000 dollari l’aliquota andrà dal 45% al 30%, mentre per i redditi al di sopra dei 200,000 l’aliquota resterà al 45%. Vi sono, poi, altri aspetti delle riforme introdotte dal governo Australiano che meritano attenzione. Come ha di recente evidenziato Il Tax Institute nel suo documento programmatico “The case for Change” (2021) il grado di progressività di un sistema fiscale dipende anche da ciò che si include (o non si include) nella base imponibile. In Australia i guadagni in conto capitale sono praticamente assenti dalla base imponibile; inoltre, il sistema fiscale ignora la tassazione sulla ricchezza e, in particolare, non prevede alcuna imposta di successione. Tutto ciò si riflette, naturalmente, sulla disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Peraltro, il fatto che la ricchezza sia concentrata in poche mani significa che anche il valore complessivo dell’eredità si concentra in poche famiglie, e l’allungamento della vita, associato all’invecchiamento della popolazione, peggiora queste tendenze. L’esito è un aggravamento della trasmissione della disuguaglianza da una generazione ad un’altra.

Un recente studio dell’ Australian Council of Social Services (“Inequality in Australia 2020: Overview”, ACOSS, maggio 2020) denuncia la presenza di ampi e persistenti divari nella distribuzione della ricchezza in Australia: il 20 % più ricco possiede una ricchezza che è 90 volte quella del 20% più povero. Ma da questo punto di vista la situazione di molti altri paesi è assai peggiore. La Fig. 1 ci ricorda che contro queste tendenze ben poco è stato fatto a livello mondiale dagli anni ‘60 e la conseguenza è che l’1% più ricco possiede una quota di ricchezza che varia, tra i paesi, dal 12% al 38%.

 

Figura 1: La porzione di ricchezza dell’1% più ricco, vari paesi, dal 1900 ad anni recenti

L’ ineguale distribuzione della ricchezza si riflette sulla distribuzione dei reddito in quanto accresce la quota di reddito che va al capitale, più concentrato del reddito da lavoro. Tutto ciò risulta dalla Fig. 2 che illustra le tendenze degli scorsi decenni.

 

Figura 2: La distribuzione funzionale del reddito in Australia, 1960-2017

Fonte: Gianni la Cava (RBA) da dati dell’Australian Bureau of Statistics

 

E si può ricordare che la crescita di lungo periodo della quota di reddito da capitale è altamente correlata con la crescita del rendimento delle proprietà immobiliari, una componente importante della ricchezza in Australia.

Il sistema fiscale australiano non è però l’unico che continua ad ignorare i guadagni in conto capitale e la tassazione della ricchezza e sulle eredità, rinunciando ai corrispondenti introiti. Ad esempio a livello del Gruppo di paesi OCSE, la base imponibile per l’imposta di successione si è ristretta anziché allargarsi negli ultimi decenni, grazie soprattutto al trattamento fiscale di donazioni e proprietà immobiliari (si veda al proposito OECD, “Inheritance Taxation in OECD Countries”, maggio 2021). Attualmente solo lo 0,5 % dei proventi fiscali deriva da questi tipi di tasse sulla ricchezza.

Il Tax Institute ci ricorda anche che i recenti disastri ambientali (dagli incendi del 2019 alle alluvioni del 2022 alla siccità decennale che li ha preceduti), i dibattiti sui costi della pandemia e quelli sulla ristrutturazione dell’economia, hanno finalmente chiarito che il problema non è tagliare le spese ma piuttosto generare introiti capaci di sostenere quelle strategie di lungo periodo di cui l’Australia necessita. Purtroppo non molto si è fatto neppure per fare di questa consapevolezza la base di un piano politico. Le conseguenze delle riforme delle aliquote della tassazione del reddito e la mancanza di una adeguata considerazione fiscale di ricchezza, successione e guadagni in conto capitale saranno una ridotta capacita di intervenire a favore dei più bisognosi e la mancanza di risorse per sostenere la ristrutturazione strutturale che il cambiamento climatico impone.

Certo, affrontare il tema della riforma fiscale è rischioso soprattutto in tempi di elezioni e basti ricordare che il partito Laburista Australiano ha perso le elezioni federali del 2019 proprio sui temi fiscali. Tuttavia, alzare il tiro su temi che definiscono il tipo di società che vogliamo e parlarne con serietà e in modo documentato, è importante per non ridurre la politica ad una gara di popolarità tra candidati ugualmente “grigi”. Di riforma fiscale si riparlerà a breve, dopo le elezioni, quando procrastinare non sarà più possibile.

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