La riforma dell’ISEE: linee guida e principali modifiche normative

Giulia Pagliani illustra sinteticamente le principali modifiche normative introdotte con la riforma dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente che sono entrate in vigore all’inizio del 2015. In particolare, Pagliani si sofferma sulle modifiche riguardanti sia la componente reddituale sia quella patrimoniale e descrive dettagliatamente le novità riguardanti il modo di tenere conto, ai fini del calcolo della situazione economica dei nuclei familiari, della presenza di soggetti disabili.

L’ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) è l’indicatore che dal 1998 viene utilizzato in Italia per valutare la situazione economica dei nuclei familiari e stabilire l’accesso (o le tariffe da pagare) ad alcune prestazioni di welfare (sociali e socio-sanitarie, in moneta o in servizi) erogate dai diversi livelli di governo.

L’ISEE viene calcolato tenendo conto del reddito e del patrimonio di ogni componente del nucleo familiare, applicando una scala di equivalenza per permettere la comparazione della situazione di nuclei con differenti numerosità e caratteristiche.

All’inizio 2015 è entrata in vigore la riforma delle modalità di calcolo dell’ISEE, introdotta col decreto n. 159 del 5 dicembre 2013 (pubblicato nella GU del 24 gennaio 2014), e basata sui criteri direttivi stabiliti dall’articolo 5 del D.L. n. 201/2011 (decreto “Salva Italia”). Nel “Salva Italia”, senza che ne derivassero oneri per la finanza pubblica, si dettavano criteri direttivi:

  • adottare una definizione di reddito disponibile inclusiva anche dei redditi esenti da imposizione fiscale;

  • tenere conto dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli e di persone disabili;

  • migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale;

  • differenziare i criteri di calcolo dell’indicatore a seconda delle diverse tipologie di prestazioni.

Mediante l’ISEE la situazione economica viene valutata tenendo conto dei redditi di ogni componente del nucleo familiare, al netto di una serie di deduzioni e del loro patrimonio (che viene valorizzato al 20%), e dividendo la somma di queste due componenti per la scala di equivalenza. L’ISE viene dunque misurato a livello familiare; dividendo per il valore della pertinente scala di equivalenza si ottiene l’ISEE, che esprime, in termini monetari, la situazione economica di ogni individuo appartenente al nucleo familiare.

Le differenze tra le modalità di calcolo dell’ISEE secondo la normativa pre-riforma (di seguito ISEE pre-riforma) e quella attuale (di seguito ISEE 2015) dipendono, quindi, dalla modalità di calcolo delle componenti di reddito e patrimonio e dalle modifiche alla scala di equivalenza.

Prima di presentare tali differenze, va sottolineato che, per meglio contrastare le sotto-dichiarazioni della situazione economica dei nuclei familiari, la riforma ha sensibilmente ridotto l’area dell’autodichiarazione: i dati fiscali e le prestazioni di welfare ricevute vengono, infatti, precompilati tramite le informazioni fornite da Agenzia delle Entrate e INPS; per rafforzare i controlli relativi ai patrimoni mobiliari ai fini di contrastare la loro elusione, le somme detenute come depositi e conti correnti bancari e postali vengono ora valorizzate in base alla consistenza media annua, anziché al 31 dicembre.

Modifiche relative alla componente reddituale

Nell’ISEE pre-riforma la componente reddituale veniva calcolata sommando i redditi dichiarati ai fini IRPEF da ogni componente del nucleo. A questi si aggiungeva il reddito figurativo del patrimonio mobiliare (escludendo i depositi in conto corrente e i buoni postali), valorizzato al tasso di rendimento dei titoli decennali del Tesoro. Chi viveva in affitto poteva dedurre il canone annuo, fino a un massimo di 5.165 euro.

Basandosi sul solo reddito dichiarato a fini IRPEF, la componente reddituale non includeva i redditi soggetti a imposta sostitutiva (come quelli dai rendimenti sugli investimenti finanziari o da fitti), quelli esenti (ad esempio, assegni sociali, pensioni di invalidità, borse di studio), il reddito figurativo derivante dall’abitazione di residenza o da immobili e terreni non locati e gli assegni per alimenti eventualmente ricevuti (al contempo, dalla componente reddituale non erano dedotti gli alimenti pagati).

Con l’ISEE 2015 vanno ora incluse tutte le forme di reddito disponibile, anche quelle fiscalmente esenti o non rientranti nella dichiarazione IRPEF. In dettaglio, la componente reddituale dell’ISEE 2015 include:

  • il reddito complessivo dichiarato ai fini IRPEF, compreso (a differenza di quanto accadeva pre-riforma) il reddito dell’abitazione principale e i contributi previdenziali dei lavoratori autonomi;

  • i redditi soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo d’imposta (ad esempio, le rendite finanziarie, i redditi fondiari da cedolare secca e le rendite dei fondi pensione privati);

  • i trasferimenti assistenziali, previdenziali e indennitari a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche (ad esempio, assegni sociali, pensioni di invalidità, indennità di accompagnamento, social card);

  • i proventi derivanti da attività agricole;

  • gli assegni di mantenimento dei figli effettivamente percepiti;

  • i redditi di terreni e immobili non locati (calcolati a partire dalla rendita catastale);

  • il reddito figurativo delle attività finanziarie, determinato applicando al patrimonio mobiliare complessivo del nucleo familiare (al netto di depositi e conti correnti) il tasso di rendimento medio annuo dei titoli decennali del Tesoro (come nell’ISEE pre-riforma), o, se inferiore, il tasso di interesse legale vigente maggiorato di un punto percentuale.

Dai redditi conseguiti da ciascun componente nell’ISEE 2015 vanno dedotti:

  • il canone annuo dell’affitto dell’abitazione di residenza, fino a un massimo di 7.000 euro, maggiorato di 500 euro per ogni figlio convivente dal terzo in poi;

  • il 20% del reddito da lavoro dipendente (o assimilati), fino a un massimo di 3.000 euro;

  • il 20% del reddito pensione o trasferimento, fino a un massimo di 1.000 euro;

  • l’importo degli assegni di mantenimento effettivamente corrisposti;

  • alcune tipologie di redditi agrari;

  • le spese sanitarie, mediche e di assistenza specifica relative alla situazione di disabilità, certificate a fini fiscali (fino a un massimo di 5.000 euro).

Con la riforma è stata inoltre introdotta una serie di deduzioni a livello del nucleo familiare, legate alla presenza nel nucleo di persone con disabilità e, in particolare, non autosufficienti. Nell’ISEE pre-riforma si teneva conto della non autosufficienza solo mediante maggiorazioni delle scale di equivalenza – la scala veniva maggiorata di 0,5 per ogni componente con handicap psicofisico permanente o di invalidità superiore al 66% – e senza differenziare la gravità della non disabilità. La riforma ha invece rivisto le definizioni di disabilità, invalidità e non autosufficienza accorpandole in tre distinte classi – disabilità media, grave e non autosufficienza – e ha introdotto una deduzione dal reddito in funzione del grado di disabilità secondo le seguenti franchigie:

  • 4.000 euro per persona con disabilità media (incrementate a 5.500 euro se minorenne);

  • 5.500 euro per persona con disabilità grave (incrementate a 7.500 euro se minorenne);

  • 7.000 euro per persona non autosufficiente (incrementata a 9.500 euro se minorenne).

Per le persone non autosufficienti si è inoltre ammessa la deduzione delle spese certificate per i collaboratori domestici e gli addetti all’assistenza personale – o per le rette di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali –, nel limite dei trasferimenti assistenziali, previdenziali e indennitari percepiti da amministrazioni pubbliche. Come descritto nell’articolo di Trivellato in questo numero del Menabò, alcune sentenze del TAR del Lazio e del Consiglio di Stato hanno dichiarato illegittime sia l’inclusione nella componente reddituale individuale dei trasferimenti assistenziali, previdenziali e indennitari percepiti da amministrazioni pubbliche), sia la differenza tra le franchigie previste per i maggiorenni e i minorenni con disabilità.

Modifiche relative alla componente patrimoniale

Nell’ISEE pre-riforma la componente patrimoniale si otteneva sommando il patrimonio immobiliare, basato sul valore catastale di immobili, fabbricati e terreni (al netto di eventuali quote residue di mutui), e quello mobiliare, inclusivo anche di depositi e buoni postali. Chi risiedeva in una casa di proprietà, poteva detrarre dal patrimonio una franchigia pari al mutuo ancora in essere o, se più favorevole, fino a 51.646 euro. Sul patrimonio mobiliare si applicava una franchigia di valore massimo di 15.494 euro.

Nell’ISEE 2015 la componente patrimoniale, che, come detto, viene valorizzata al 20% nel calcolo dell’indicatore, continua a essere determinata sommando, per ciascun membro del nucleo familiare, il valore del patrimonio mobiliare e immobiliare (compresi quelli posseduti all’estero). Il valore del patrimonio immobiliare, però,non è più riferito ai più favorevoli valori catastali, ma è pari al valore determinato ai fini dell’IMU (che prevede per i fabbricati residenziali un moltiplicatore di 160 della rendita catastale rivalutata del 5%), al netto di eventuali mutui residui. Si sono inoltre introdotte modifiche alle deduzioni concesse sul valore del patrimonio:

  • dal patrimonio mobiliare si detrae un importo massimo di 6.000 euro, incrementato di 2.000 euro per ogni componente della famiglia oltre al primo, fino a un massimo di 10.000 euro; è poi prevista un’ulteriore deduzione di 1.000 euro per ogni figlio convivente dal terzo in poi (al posto della precedente franchigia fissa di 15.494 euro);

  • dal valore dell’abitazione di residenza si sottraggono l’eventuale mutuo residuo, una franchigia di 52.500 euro (prima il mutuo residuo o la franchigia di 51.646 euro erano in alternativa) e 2.500 euro per ogni figlio convivente dal terzo in poi. Il valore dell’abitazione di residenza ottenuto eccedente tali franchigie viene valorizzato per 2/3.

Modifiche relative alla scala di equivalenza e alla definizione del nucleo familiare

Nell’ISEE pre-riforma il nucleo familiare di riferimento era quello relativo alla famiglia anagrafica e, per ogni tipo di prestazione erogata in base all’ISEE, un individuo poteva far parte di un solo nucleo familiare.

La scala di equivalenza, per famiglie da 1 a 5 componenti, si basava, nell’ordine, sui seguenti valori: 1; 1,57; 2,04; 2,46; 2,85. Per ogni altro componente dal sesto in poi si aggiungeva un valore di 0,35. La normativa prevedeva che alla scala si aggiungessero alcune maggiorazioni pari a:

  • 0,2 in caso di presenza nel nucleo di figli minori e di un solo genitore;

  • 0,2 per nuclei familiari con figli minori, in cui entrambi i genitori svolgevano attività di lavoro o di impresa;

  • 0,5 per ogni componente con handicap psicofisico permanente o di invalidità superiore al 66%.

Con l’ISEE 2015 sono state introdotte alcune innovazioni nel modo in cui va definito il nucleo familiare di riferimento a seconda del tipo di prestazione di welfare richiesta e si è prevista la possibilità di ricalcolare un “ISEE corrente”, al posto di quello standard basato sulle informazioni dell’anno precedente la richiesta, laddove almeno uno dei componenti del nucleo si trovi ad affrontare improvvise difficoltà occupazionali che determinino una variazione sostanziale della condizione economica della famiglia.

Per quanto riguarda le scale di equivalenza, la riforma ha introdotto poche novità, lasciando immutata la precedente scala e intervenendo solo rendendo più generose le maggiorazioni per nuclei con minori. In dettaglio, la scala va maggiorata di:

  • 0,2 per nuclei con 3 figli, 0,35 con 4 e 0,5 con almeno 5 figli;

  • 0,2 per nuclei con minorenni (0,3 se di età inferiore a 3 anni) in cui entrambi i genitori abbiano lavorato almeno 6 mesi;

  • 0,2 per nuclei con minorenni (0,3 se di età inferiore a 3 anni) in caso di famiglie monoparentali, con genitore anche non lavoratore.

Come detto, si sono invece eliminate le maggiorazioni per ogni componente disabile, di cui si tiene conto, in modo più articolato, nelle deduzioni dalla componente reddituale.

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