La riforma della scuola superiore

Dal prossimo anno scolastico 2010/2011 l’alunno che ha conseguito la licenza media incontrerà sul suo cammino formativo e culturale una nuova scuola secondaria di secondo grado. Potrà scegliere, oltre alle scuole regionali, in cui si insegnano di fatto dei mestieri, fra tre tipologie di insegnamento: il liceo, l’istituto tecnico e quello professionale. Con questa nota ci prefiggiamo innanzitutto di informare riguardo agli indirizzi in cui esse si articolano, alle materie insegnate e al quadro orario, commentando i rispettivi regolamenti. Se alle informazioni aggiungiamo qualche chiosa,  assicuriamo che essa non è dettata da preconcetti, ma ancorata ai dati.

Adempimenti tardivi

La macchina burocratica, come spesso accade, si è mossa in ritardo, giungendo ai destinatari, cioè ai genitori dei circa mezzo milione di adolescenti, ai limiti del tempo massimo. I tre regolamenti, dopo aver superato l’esame del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, sono stati sottoscritti dal Presidente della Repubblica e pubblicati il 15 marzo. Considerato che il termine per l’iscrizione scadeva il 26 marzo, dieci giorni sono stati veramente pochi per fare una campagna informativa che mettesse in grado gli interessati a compiere scelte meditate e i governi regionali a rivedere l’assetto logistico. Se in alcune scuole della capitale, come abbiamo verificato di persona, la guida cartacea è pervenuta il giorno prima, nelle altre città, tipo quelle delle provincie meridionali, quando?

La lentezza procedurale si è riverberata sui singoli istituti, a cui è mancato il tempo materiale per scegliere e far conoscere le forme di flessibilità e personalizzazione adottate dal collegio docenti. Non è poco lo spazio riservato al piano della offerta formativa (POF), mediamente il 25% distribuito diversamente nei vari anni. Anche se questo spazio deve fare i conti con le “risorse di organico assegnate” e le iniziative devono rimanere “nell’ambito di un elenco predisposto dal MIUR”. (n.2.1), si tratta pur sempre di opportunità aggiuntive, la cui opzione implica la frequenza obbligatoria.

Al momento di scegliere ognuno si è arrangiato come ha potuto, i più fortunati, connettendosi al sito del ministero, hanno attinto alla fonte le necessarie informazioni; altri, per non sbagliare, si sono rivolti al tradizionale; altri ancora si sono lasciati abbagliare dalle novità. Infatti i più gettonati sono stati i licei, classico e scientifico. Per fare un esempio, nella media Settembrini di Roma dei 230 licenziandi 100 hanno scelto il classico. Ma anche il liceo musicale ha riscosso consensi superiori alla disponibilità, tant’è che gli iscritti dovranno affrontare un test selettivo.

Tagli

E’ di tutta evidenza che la scuola italiana, nel suo complesso, cioè non solo quella superiore, è stata sottoposta ad una straordinaria potatura, che si è resa necessaria, a detta dei riformatori, per semplificare una struttura nel tempo eccessivamente zavorrata. Che nel nostro paese si sia esagerato nell’introdurre sperimentazioni possiamo convenire con essi, ma che lo abbiamo fatto in modo spropositato rispetto agli altri paesi europei, sia in ordine all’orario che alle materie, è un’affermazione tutta da verificare. Se la proliferazione di corsi è stata partorita da esigenze che non siano strettamente didattiche, ingenerando peraltro disorientamento e isole privilegiate, ben venga il saggio Occam col suo rasoio ben temperato a tagliare gli enti moltiplicati senza necessità.

In verità a noi sembra, che la riforma sia dettata, più che da un preciso progetto didattico, da esigenze di cassa. A fronte di un debito pubblico macroscopico bisogna fare dei tagli sugli sprechi, ma anche su quelle spese, che secondo una determinata ottica politica sono improduttive, come quelle destinate all’istruzione. E’ necessario riorganizzare la scuola soprattutto per risparmiare, è questo il diktat della lg.133/2008, che impone a questo servizio (art.65) economie di spesa di 7.832 milioni di euro nell’arco di quattro anni (dal 2009 al 2012). Fermo restando questo obiettivo prioritario, la legge lo maschera dicendo che nel contempo vuole migliorare i servizi scolastici e valorizzare pienamente la professionalità dei docenti. A questo scopo al ministro della istruzione viene dato il compito di approntare un “piano programmatico di interventi volti a una maggiore razionalizzazione delle risorse umane e strumentali, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico”, compresi criteri a cui ottemperare, quali la revisione dei criteri della formazione delle classi (aumenta di un punto il rapporto alunni/docente), la ridefinizione dei curricoli scolastici anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e quadri orari, la razionalizzazione e accorpamento delle classi di concorso per facilitare la flessibilità dei docenti, ecc. Ai dirigenti scolastici recalcitranti viene comminata la responsabilità dirigenziale. Però si consolino i piccoli centri: la scomparsa di scuole o di indirizzi sarà compensata da misure atte a ridurre i disagi degli utenti.

Alla legge hanno fatto seguito i regolamenti attuativi, a cui diamo una occhiata. Non c’è dubbio che le ore di lezione, come ammettono gli stessi riformatori, sono diminuite del 10/15 %; anzi, a ben vedere, sempre secondo loro, l’orario di cattedra è rimasto pressoché invariato, perché d’ora in poi in tutte le scuole l’ora dovrà essere di 60 minuti. “La presenza in aula è più o meno la stessa, distribuita però in un numero minore di materie, in modo da consentire una maggiore concentrazione”.

Il fatto è che con la riforma è stato fatto un taglio notevole al quadro orario: le 40 ore settimanali, spesso di 50 minuti, sono ora diventate 32, anche se di sessanta minuti. Dai calcoli approssimativi fatti dai tecnici del ministero risulta che “non ci sarà una significativa decurtazione del tempo effettivo di studio in termini reali”. Al posto della espressione “di studio” sarebbe più esatto scrivere “ore di lezione in classe”.

Tagli agli istituti tecnici e professionali

Nel caso degli istituti tecnici la diminuzione delle ore di cattedra trova la stessa giustificazione: siccome le attuali 32 ore sono di 60 minuti, corrispondono alle 36/38 precedenti. Se vogliamo che l’istruzione tecnica esca dal coma in cui versa attualmente – dicono i riformatori – dobbiamo intervenire con urgenza. Visto il calo delle iscrizioni, occorre rilanciare gl’istituti tecnici, ripristinando la loro identità, anzi trasformandoli in un cantiere aperto all’innovazione permanente. In questo comparto non si contavano più i corsi, che, leggiamo nel regolamento, hanno superato la ragguardevole soglia di duecento. Di superfetazione si può anche morire; è quello che stava succedendo ai tecnici, per i quali la cura dimagrante può diventare un tonico rivitalizzante. Anche rispetto agli istituti professionali la semplificazione ha fatto le sue vittime. In precedenza si era giunti a 28 sperimentazioni, creando una frammentazione non sempre giustificata da esigenze didattiche e tale da determinare qualche disorientamento. Ora l’accorpamento nei sei indirizzi appare più omogeneo.

I nuovi licei

Sono sei i percorsi liceali: classico, scientifico, linguistico, umanistico, artistico e musicale/coreutico. Il classico con 27 ore settimanali al biennio e 31 al triennio, è rimasto sostanzialmente immutato. Alle lingue classiche, latino (5 h.), greco (4 h), è stata aggiunta una lingua moderna che si studierà per tre ore settimanali nell’intero corso. Per quanto concerne l’orario settimanale il liceo scientifico e linguistico, nonché quello delle scienze umane sono equiparati: 27 ore al biennio e 30 al triennio.

Rispetto al linguistico se condividiamo l’obbligo delle tre lingue moderne, avanziamo qualche perplessità per la fine precoce e prematura del latino: muore dopo due anni, esattamente dopo una esistenza di 132 ore. Avranno fatto in tempo a vedere la luce le declinazioni e le coniugazioni? Tanto più pernicioso (guarda caso dal sostantivo latino pernicies) è il deficit di latino per chi, scegliendo lo studio di una lingua neolatina, sarà alle prese con un lessico in gran parte derivato dal latino. Vorrà dire che il malcapitato dovrà fare ricorso ad un insegnamento supplementare, magari privato, per evitare che i pochi elementi di latino non cadano nel dimenticatoio.

Il liceo artistico è indubbiamente il più articolato, proponendo dopo il biennio comune sei opzioni: arti figurative, architettura e ambiente, design, audiovisivo e multimediale, grafica, scenografia. Quand’anche anch’esso abbia subito le attenzioni del rasoio di Occam (rammentiamo che la più diffusa sperimentazione, quella denominata Michelangelo, prevedeva circa 40 ore di insegnamento) risulta il più pesante con il suo monte ore, 34 e 35 ,rispettivamente al biennio e al triennio.

Concludiamo con quella che viene considerata comunemente una novità, cioè il liceo con due diramazioni: la musicale e la coreutica, pur avendo entrambe la stessa portata d’acqua, cioè 32 ore settimanali per tutto il quinquennio. Sembra il più sontuoso e ambizioso, perché deve educare gli scolari a interagire all’interno di complessi vocali e strumentali. A questo scopo è indispensabile saper cantare e saper suonare, non uno ma due strumenti. Il che è possibile sulla base di conoscenze “dei principali codici della scrittura musicale”, in altri termini conoscere la teoria e il solfeggio musicale. Come sarebbe possibile del resto “eseguire opere musicali” (sic) senza queste competenze basilari?

Il regolamento non dimentica che esistono già licei musicali e conservatori, anzi prevede (art.13, comma_8) che, almeno nella fase iniziale, vengano stipulate apposite convenzioni con essi, in altre parole auspica il coordinamento e la collaborazione con le scuole similari già funzionanti. Se, come prevedibile, lo sbocco naturale dei neonati licei sono il perfezionamento e la specializzazione nei conservatori, bisogna evitare che essi siano un doppione.

Con l’aggettivo coreutico (dal greco danzare nel coro) viene designato l’altro indirizzo, caratterizzato dal binomio musica e danza. Anche in questo caso si ravvede la necessità di concertare con l’accademia nazionale della danza metodologie e contenuti didattici.

Dei 40 licei musicali previsti ne verranno attivati nella fase iniziale 24, mentre i licei coreutici saranno solo quattro: a Roma (al Convitto nazionale Vittorio Emanuele II), a Teramo (al classico Delfico), a Udine (all’istituto magistrale Uccellis), a Busto Arsizio (Varese). Qualora fosse necessaria,a causa delle richieste esuberanti, è prevista una prova selettiva per i candidati iscritti a questi ultimi.

I nuovi istituti tecnici

Cancellando le sperimentazioni, che si erano sedimentate nel corso degli ultimi decenni, la riforma ha tracciato undici percorsi racchiusi in due settori. Nel primo a carattere prevalentemente economico si studieranno materie come amministrazione, finanza, marketing e turismo. In pratica, se si mette da parte il turismo che ha l’aria di un intruso, è quello destinato a formare contabili e ragionieri. Nel secondo, detto tecnologico, sono previsti nove indirizzi: meccanica, meccatronica ed energia/trasporti e logistica/informatica e telecomunicazione/elettronica ed elettrotecnica/grafica e comunicazione/sistema moda/agraria agroalimentare e agroindustria/costruzioni ambiente e territorio/chimica materiali e biotecnologie.

I nuovi istituti professionali

Rispetto ai tecnici i professionali si distinguono perché più orientati in senso operativo; appunto per questo ad essi è vitale la connessione con i settori produttivi del territorio. Devono proiettarsi verso la dimensione “glocal”, tenendo conto della globalizzazione, ma non dimenticando le esigenze degli acquirenti locali. Anche questi sono stati accorpati in due settori. In quello dell’industria e artigianato sono possibili due opzioni, o produzioni artigianali e industriali oppure manutenzione e assistenza tecnica. Più articolato si presenta il settore dei servizi con quattro indirizzi: servizi per l’agricoltura e sviluppo rurale, servizi socio-sanitari, servizi enogastronomici e alberghieri, servizi commerciali.

In conclusione una cosa è certa: siamo di fronte ad una cura dimagrante “epocale”, senza precedenti. Dai calcoli fatti dai sindacati (come ad esempio la Gilda) risulta che circa diecimila cattedre scompariranno. In pratica diecimila insegnanti andranno ad ingrossare lo stuolo dei disoccupati.

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