La riforma della cittadinanza in Italia: gli effetti dell’introduzione dello Ius soli temperato e dello Ius culturae sulle seconde generazioni dell’immigrazione

Alberta De Fusco illustrala proposta di riforma della legge sulla cittadinanza italiana, con i nuovi principi dello ius soli temperato e dello ius culturae, al vaglio del Senato e delinea gli effetti della nuova normativa sui beneficiari immediati e futuri, i figli degli immigrati. De Fusco richiama anche i punti salienti della recente indagine dell’ISTAT su “L’integrazione sociale e scolastica delle seconde generazioni” ed in particolare i problemi emersi rispetto non soltanto all’acquisizione della cittadinanza, ma anche alla titolarità del permesso di soggiorno.

E’ finalmenteall’esame dell’assemblea del Senato della Repubblica, pur tra roventi polemiche, il DDL S. 2092: “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza”. Il testo approvato il 13/10/2015 dalla Camera dei Deputati, cheè stato in discussione per mesi in Commissione Affari Costituzionali, oggetto di innumerevoli emendamenti e che quasi certamente verrà votato con la fiducia, si concentra essenzialmente sulla questione dell’acquisizione della cittadinanza italiana da parte delle seconde generazioni dell’immigrazione ovvero dei figli degli immigrati nati e/o cresciuti in Italia.

La nuova normativa consente, attraverso l’introduzione dei principi dello “ius soli temperato” e dello “ius culturae”, l’acquisizione della cittadinanza da parte dei bambini nati in Italia con almeno uno dei genitori titolare del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo o del diritto di soggiorno permanente, oppure dei minori stranieri nati in Italia o arrivati nel territorio italiano entro i 12 anni, che abbiano concluso positivamente le scuole elementari o frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione per almeno 5 anni o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale; nonché, in presenza di particolari condizioni e discrezionalmente, da parte dei ragazzi arrivati in Italia oltre i 12 ma entro i 18 anni di età.Il testo prevede una disciplina transitoria per coloro che abbiano maturato i requisiti per l’acquisto della cittadinanza secondo il principio dello “ius culturae” e abbiano già compiuto i 20 anni di etàprima dell’entrata in vigore della nuova riforma di legge.Nel caso dello “ius soli”, per le associazioni che si occupano di diritti degli immigrati, la richiesta del possesso da parte di uno dei due genitori del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo è una condizione discriminante, soprattutto da un punto di vista economico. Tale permesso, infatti, è rilasciato ai cittadini stranieri di paesi non appartenenti all’UE solo a determinate condizioni: soggiorno regolare in Italia da almeno 5 anni, disponibilità di un alloggio idoneo, superamento di un test di conoscenza della lingua italiana e possesso di un reddito non inferiore all’importo annuale dell’assegno sociale (nel 2017 pari a 5.824,91 euro).

Per comprendere gli effetti che avrebbe la riforma della cittadinanza, va evidenziato che al 1 gennaio 2016 in Italia i minori stranierirappresentano il 24% dei cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti e nel corso dell’anno 2015, la percentuale degli stranieri di età inferiore a venti anni che ha acquisito la cittadinanza italiana, principalmente per trasmissione dai genitori o per elezione di cittadinanza sulla base dell’attuale legge in vigore, è stata pari al 42%. Sulla base dei dati ISTAT e MIUR e del testo in discussione al Senato, la Fondazione Leone Moressa ha stimato che ci sarebbero 800 mila nuovi italiani immediati, di cui 635.000 attraverso lo ius soli temperato in quanto figli di immigrati ancora minorenni nati in Italia le cui madri risiedono nel nostro Paese da più di cinque anni e circa 178 mila grazie allo ius culturaein quanto alunni nati all’estero che hanno già completato 5 anni di scuola in Italia, nonché 50-60 mila naturalizzazioni ogni anno. A questi andrebbero aggiunti anche i beneficiari della norma transitoria che, secondo le stime del Ministero dell’Interno, sarebbero circa 127.000.

Con particolare riferimento ai dati sull’istruzione, nel 2015 l’ISTAT, in collaborazione con il Ministero dell’Interno e il MIUR, ha condotto un’indagine campionaria sull’Integrazione scolastica e sociale delle seconde generazioni (disponibile nel sito web ISTAT).

Come dichiarato dal Presidente dell’ISTAT Giorgio Alleva questa ricerca“ha consentito di approfondire e documentare il senso di appartenenza dei giovani con background migratorio, superando il concetto di cittadinanza ‘formale’”.

La rilevazione ha interessato 821 comuni, si è svolta in circa 1.400 scuole statali secondarie di I° e II° grado,con almeno 5 alunni di cittadinanza straniera, e gli studenti intervistati sono stati oltre 68.000,per metà italiani e per metà stranieri.Nell’ambito dell’indagine, le informazioni sono state raccolte per rilevare in particolare:la provenienza, la presenza della famiglia nel percorso scolastico, i rapporti con i pari e con i docenti, il ruolo della scuola nelle aspirazioni dei futuri cittadini italiani.

Con riferimento all’anno 2015, il 30,4% degli studenti stranieri presenti nelle scuole secondarie è nato in Italia, il 23,5% è arrivato in Italia prima dei 6 anni, il 26,2% è immigrato tra i 6 e i 10 anni e il 19,9% a 11 anni e più. Considerando la provenienza di origine, la maggioranza degli alunni cinesi (59,3%) e filippini (55,4%) è nata in Italia, mentre, in oltre un terzo dei casi, sono entrati in Italia a 11 anni e più gli alunni originari dell’Ucraina (36%) e della Moldavia (43,2%).

Tra i dati più significativi emersi dall’indagine,in primo luogo vi è la complessità del percorso scolastico dei ragazzi con background migratorio, anche come conseguenza dell’influenza dei diversi modelli migratori seguiti dalle collettività di appartenenza. Perquanto concerne l’inserimento degli stranieri immigrati, si rileva che solo il 49% dei nati all’estero viene collocato in una classe adeguata alla propria età; il restante 51% nelle classi antecedenti. Inoltre, per il rendimento scolastico, che rappresenta un altro scoglio importante per gli studenti stranieri, la rilevazione mette in evidenza che il 27,3%degli alunni stranieri, compresi quelli nati in Italia, ha dichiarato di aver ripetuto uno o più anni scolasticia fronte del 14,3% degli alunni italiani.

Molto interessante è quella parte dell’analisi che riguardala socializzazione, poiché spesso per i ragazzi stranieri la scuola è il primo luogo in cui avviene l’incontro con il mondo e con la cultura del paese di accoglienza, ed è il primo momento in cui essi colgono le differenze culturali della propria famiglia.Ponendo maggiore attenzione al rapporto con i compagni di scuola ed alla più estesa rete amicale,emerge che:

  • Il 21,6% di alunni stranieri delle scuole secondarie di I° grado dichiara di non frequentare i compagni di scuola al di fuori dell’orario scolastico,rispetto al 9,3% degli alunni italiani;
  • oltre il 50% dei ragazzi stranieri nati in Italia o arrivati in età prescolare frequenta, al di fuori della scuola, solo ragazzi italiani, mentre più del 35% incontra sia ragazzi italiani che stranieri. La quota di coloro che frequentano coetanei italiani decresce se si è arrivati in Italia successivamente al compimento del sesto anno di età;
  • i ragazzi cinesi incontrano più degli altri solo stranieri, soprattutto connazionali, anche nel luogo di lavoro dei familiari; seguono i filippini, che frequentano maggiormente oratori e luoghi di culto. Ucraini, albanesi e romeni, invece, vedono più spesso solo italiani.

L’indagine ha coinvolto non solo gli studenti, ma anche i dirigenti scolastici e i docenti. Il 73,1% dei dirigenti scolastici, tenendo conto della crescente presenza straniera, dichiara la necessità di programmare adeguate strategie nella gestione della scuola al fine di facilitare l’integrazione dei ragazzi stranieri. Più del 90% dei docenti ritiene che il livello di integrazione, fatti salvi i problemi legati alle lacune linguistiche, sia buonoo addirittura ottimo.

Per quanto riguarda il senso di appartenenza al nostro Paese, dalla rilevazione emerge che la quota di coloro che si sentono italiani si avvicina al 38%. I ragazzi originari della Romania si sentono “più italiani” per il 45,8%, quelli del Marocco per il 36%,quelli di un paese europeo non UE per più del 40%, mentre le percentuali sono più basse per chi proviene dall’Asia e dall’America Latina. Tra i ragazzi arrivati dopo i 10 anni, si sente straniero quasi il 53%, mentre per i nati in Italia o per i nati all’estero ma arrivati prima dei 6 anni, la percentuale di chi si sente straniero si riduce a circa il 24%.

Sulle prospettive rispetto al futuro, si nota una quota considerevole, pari al 46,5%, di ragazzi stranieri che vogliono vivere all’estero ed in primo luogo negli Stati Uniti,nel Regno Unito e in Germania. Per contro, la propensione a restare in Italia spesso non è legata al sentirsi italiani. Nel caso dei cinesi, a fronte di una quota contenuta di ragazzi che dichiarano di sentirsi italiani, si riscontrano elevate percentuali di giovani che vogliono vivere nel nostro Paese, nati sia in Italia sia  all’estero. La più elevata quota di coloro che prevedono di vivere nel nostro paese da grandi è rappresentata, comunque, dai moldavi(49,4%) e dagli ucraini(46,1%).

Dal punto di vista della distribuzione territoriale, la presenza di alunni di origine non italiana nelle scuole risulta molto più consistente nelle aree del Centro-Nord. Tuttavia, nelle regioni del Mezzogiorno sono più alte le quote di ragazzi stranieri che si sentono italiani (oltre il 45%), che da grandi vogliono vivere in Italia (oltre il 33%), che frequentano compagni italiani (intorno al 90%), che registrano migliori performance scolastiche con percentuali più basse di ripetenze.

Le problematiche incontrate attualmente dalle seconde generazioni dell’immigrazionenon riguardano solamente l’acquisizione della cittadinanza italiana secondo la normativa vigente, ma anche la titolarità del permesso di soggiorno, soprattutto nel passaggio dalla minore alla maggiore età. Infatti, i minori non cittadini sono titolari di diritti e di garanzie in misura maggiore rispetto ai maggiorenni non italianie al compimento del 18° anno anche il possesso di un permesso di soggiorno comporta importanti conseguenze. Il minore straniero che ne è già in possesso per “motivi familiari” o “per minore età” può richiederne il rinnovo o la conversione. Chi ne è sprovvisto è irregolare, anche se nato in Italia e non ha contatti con il paese d’origine dei propri genitori. Al 1° gennaio 2016 sono 952.446 i minori stranieri ad essere titolari del permesso di soggiorno, di cui 285.637 di un permesso con scadenza e 666.809 di un permesso di lungo periodo.

La proposta di riforma al vaglio del Senato introducesicuramente cambiamenti importanti nel percorso di acquisizione della cittadinanza italiana da parte delle seconde generazioni dell’immigrazione, ma risponde solo parzialmente alle loro crescenti esigenzein quanto, pur riequilibrando in parte la normativa in materia, si basa ancora sulla prevalenza del principio dello “ius sanguinis” per ascendenza italiana su quello dello “ius soli”. La legge sulle acquisizioni di cittadinanza dovrebbe essere più aperta nei confronti dei figli dell’immigrazione che come “italiani non cittadini” contribuiscono concretamente allo sviluppo economico e sociale dell’Italia edhanno pertanto il diritto di completareil proprio status sociale e giuridico.

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